Habemus presidentem, ora vedremo con quali funzioni reali. Il giuramento di Sergio Mattarella ha confermato appieno il tentativo delle classi dirigenti di superare la “seconda repubblica”, marciando a rovescio e tornando ai fasti della prima. Ma non ci sono più i grandi partiti di massa, le “grandi famiglie ideali” che convogliavano la partecipazione popolare alla politica, anche per via di un conflitto serrato e violento.
Tutto avviene oggi in cerchie molto ristrette, tra personaggi avventurosi e di breve orizzonte, strizzati tra indicazioni sovranazionali e interessi contingenti, di piccoli gruppi. Lo stesso Renzi, il “rottamatore”, sembra perdere colpi anche quando sembra trionfare.
Nel caso della scelta di Mattarella, per esempio, si è poi saputo che il nome era stato fatto da Bersani due mesi prima ed anche candidato a suo tempo a successore di Napolitano. Si sarebbe dunque trattato di un compromesso interno al PD, per evitare una scissione che cominciava a profilarsi come vicina, facendo aleggiare la nascita di una formazione-contenitore alla sua sinistra. Renzi ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco anche al prezzo di mettere in soffitta contemporaneamente il “patto del Nazareno”, come dichiara esplicitamente ora FI, ed il fragile rapporto con il partitino alfaniano (ovvero il percorso delle “riforme” e la stabilità del governo).
Il rinnovamento renziano è tornato ad essere un teatrino da prima repubblica, appunto, confermata persino dalle diverse indicazioni del candidato presidente (“Mattarella Sergio”, “Mattarella S.”, “S. Mattarella”, ecc.) per marcare chiaramente le diverse componenti che convergevano su quel nome.
D’altra parte questa scelta può rappresentare anche la crisi della strategia di Renzi che si proponeva finora di occupare il centro dello scenario istituzionale, aiutato dal defunto patto del Nazzareno, facendo fuori la sinistra del PD, la CGIL ed eliminando ogni spazio di contrattazione politica e sociale con una sorta di redivivo decisionismo craxiano, anche questo da prima repubblica. Il metodo Mattarella ha prodotto questa inversione di marcia, si presenta come eccezionale risultato della capacità dinamica di Renzi, ma difficilmente frenerà le contraddizioni accumulate nel PD in questi mesi.
Probabilmente i “giovani” della sinistra del PD, quelli che sono andati a “Human Factor” di Vendola, illudendolo, vorranno limitare più decisamente i poteri di Renzi; Bersani invece da vecchio navigante punterà ad un rientro della pecorella nell’ovile, ma non è da escludere che si potrebbe avviare una fase di logoramento del presidente del consiglio.
Infine il discorso di giuramento del presidente non ha dato particolari suggestioni su come verrà gestito il ruolo di “arbitro” e “garante della Costituzione”. Qualcosa in più si può immaginare dall’insistenza sulla necessità delle “riforme” già avviate dal governo Renzi, dal “coniugare il consolidamento di bilancio e la spinta alla crescita”, dall’interpretazione “dinamica” della difesa della stessa Costituzione (da “riformare senza tradirne lo spirito”), dal segnale di “preferenza” lanciato a Israele. Qualcosa di peggio è venuto dal declinare la visita alle Fosse Ardeatine, quindi dal richiamo alla Resistenza, in chiave però di “guerra al terrorismo” jihadista. Una distorsione seria e probabilmente irrimediabile dei “valori di riferimento” che costituiranno l’asse del suo settennato.
Dall’altra parte della bilancia pesa il recente ruolo di membro di quella Corte Costituzionale che ha bocciato – soltanto un anno fa – il “porcellum” sui due punti fondamentali del voto di preferenza e del “premio di maggioranza”. Due perni confermati nel disegno di legge elettorale chiamata “italicum”, che tra qualche settimana finirà sul tavolo dello stesso Mattarella. Si vedrà in quell’occasione – ma anche in ogni disegno di legge o decreto presentato dal governo – se il democristiano silenzioso agirà da “guardiano riformatore” o da complice di un governo che ha fatto della destrutturazione della Costituzione un punto di programma centrale.
Una lunga lista di “se”, che accentua l’incertezza sulle dinamiche istituzionali e lo scenario politico nel breve periodo. Le uniche tendenze stabili appaiono:
a) la scelta di fare della Lega di Salvini “l’unica opposizione legittima” al governo e polo aggregatore di un centrodestra allo sbando;
b) la sterilizzazione della dissidenza “riformista moderata”, lasciati nell’impotenza politica ma impossibilitati a seguire la mitologia “tsiprasista”;
c) il tentativo del governo di procedere comunque sul piano delle riforme istituzionali e antisociali come assi di riferimento di ogni opzione o coalizione sul campo.
Un Presidente non fa mai primavera.
Rete dei Comunisti
5 Febbraio 2015
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