Il dibattito politico è pesantemente viziato dalla ricerca del consenso facile. “Vincono” quasi sempre i falsari di bassa lega, perché è difficile controbattere le stronzate propagandistiche discutendo di dati, strutture produttive, scelte strategiche (anche di collocamento internazionale). Ci vorrebbero molte lauree a testa per esprimere pareri non campati in aria.
Quindi le “emergenze” che riescono ad assumere centralità sono quelle che non esistono, o vengono create ad arte, per solleticare il pensiero corto, le reazioni da Napalm51. Gli immigrati, ma solo quelli di pelle scura, sono il bersaglio preferito, perché facile da indicare. Se questi inviti arrivano da forze rappresentate in Parlamento, automaticamente si promuove l’instupidimento di massa, in una corsa sempre più veloce verso il fondo.
Naturalmente, non si può pensare di contrastare questa deriva nazi-imbecille con il finto “buonismo” rivestito in slogan altrettanto semplici ma di presa infinitamente minore. Bisogna sapere come sta messo questo paese, quali comparti reggono e quali no, quali regioni soffronto di più la crisi, quali figure sociali ne sono investite inmisura maggiore e quali se ne rendono conto meglio.
Bisogna studiare la situazione, altrimenti si dicono fesserie. Magari di buona volontà e piene di comprensione umana, ma efficaci come preghiere in tempo di guerra.
Dietro gli slogan ci sono organizzazioni politiche labili, fatte soprattutto di “contoterzisti” senza alcuna progettualità di lungo periodo. A muovere queste organizzazioni sono interessi strutturati, molto diversi tra loro e, in parte, indifferenti anche agli slogan che i “propri campioni” usano quotidianamente.
Interessi che “badano al sodo”, ovvero alle politiche economiche possibili (con grande competizione sulle poche risorse disponibili all’arbitrio politico nazionale), all’occupazione delle postazioni politiche che possono determinarle (governo, autorithy, regioni, comuni metropolitani e non).
Questi interessi, nel corso dell’ultimo anno, hanno subito sollecitazioni molto forti. E “l’immigrazione clandestina” non c’entra nulla. La chiave di volta è la notevole crisi tedesca, in specifico della manifattura di quel paese, che – avendo riscritto le filiere produttive del Vecchio Continente sotto il proprio “comando” – ora rilascia ordinativi in calo là dove prima faceva da traino selettivo per imprese medio-piccole, distretti produttivi, aree locali. Il Nordest italiano in testa, o perlomeno alla pari con Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Ungheria (il “gruppo di Visegrad” ha una ragione unificante che non è l’ideologia…). Per averne un’analisi, basta guardare le Statistiche flash dell’Istat sulle “esportazioni delle regioni italiane” (Esportazioni-regioni).
L’espressione politica fin qui “vincente” di quel mondo territorialmente limitato – la Lega – aveva sfruttato la crescita per proporsi come “partito nazionale”, supplendo con gli slogan “populisti” all’assenza di programma reale per le altre regioni italiane. E dove gli slogan non bastavano, come nel Mezzogiorno, con l’ennesimo sdoganamento delle clientele peggiori, fino a quelle in odor di mafie (del resto già incistate abbondantemente anche nel Nordest, Lombardia in testa).
La caduta di Salvini ha dimostrato la pochezza politica di quel gruppo dirigente, ma gli interessi che ha fin qui rappresentato non scompaiono con il suo confinamento all’opposizione. E dunque non consentono di “snobbare” spinte che continuano ad attivarsi anche quando le leve del governo non sono più in “mani amiche”; o meglio, teleguidate.
Una tentazione che sembra attraversare il BisConte, dove si riversano senza limiti interessi sociali differenti ma con eguale forza competitiva che preme sulle poche risorse a disposizione. Gli ululati “nordisti” di fogliacci come Libero, La Verità, Il Giornale, ecc, sono la formulazione isterica – forse addirittura controproducente – di interessi imprenditoriali che si sentono improvvisamente sottovalutati dalla “politica” e morsi al sedere dalla crisi di Berlino.
L’editoriale di Guido Salerno Aletta, su Milano Finanza, fotografa abbastanza bene la strutturazione sociale e territoriale di questi interessi. Forse in modo troppo bonario nei confronti del Pd – cui viene attribuita ancora la volontà di promuovere una “azione pubblica perequatrice attraverso i servizi sociali ad accesso universale”, che proprio i governi D’Alema-Versani-Prodi-Letta-Renzi ha delegittimato smantellato in misura feroce – ma comunque utile a leggere il “sottostante” di un chiacchiericcio pubblico altrimenti senza capo né coda.
Buona lettura.
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Il Nord sbuffa, sotto il peso della crisi tedesca
Guido Salerno Aletta – Milano Finanza
La Lega è fuori dal governo a Roma, ma è il partito più forte nell’Italia settentrionale, là dove si concentra la gran parte della produzione. Se la nuova alleanza di governo tra M5S e Pd, da cui la componente renziana si è ora resa autonoma, vuole esorcizzare ad ogni costo il sovranismo salvinista, occorre comunque evitare un pericolo: “non si può accelerare la crescita andando in contrasto con chi è detentore della crescita del Paese. Il 35% del pil viene da Lombardia e Veneto. Se si aggiunge il Piemonte si arriva oltre il 40% e se mettete anche l`Emilia-Romagna fate un altro 10%”. L’ammonimento di Carlo Messina, amministratore delegato e ceo di Intesa SanPaolo non poteva essere più chiaro.
Questa frattura di rappresentanza, ad un tempo politica e territoriale, ha implicazioni sociali ed economiche profonde soprattutto per via della recessione della economia tedesca, esito di un rallentamento iniziato oltre un anno fa.
Non solo si ripercuote già in modo diretto sulla struttura produttiva dell’Italia per via delle strette interdipendenze, ma ne condizionerà in modo determinante il futuro: se la crisi tedesca non è congiunturale, anche l’Italia dovrà assumere scelte strategiche per il futuro della sua collocazione nell’ambito della catena internazionale della produzione.
C’è un dato recentissimo dell’Istat, sulle esportazioni delle Regioni italiane, che rende indispensabile questa riflessione: “Nel periodo gennaio-giugno 2019, si rileva un sostenuto incremento tendenziale delle vendite sui mercati esteri per il Centro (+17,4%), molto più contenuto per il Sud (+2,5%) e il Nord-est (+1,5%), mentre il Nordovest mostra una contenuta diminuzione (-1,1%) e le Isole una marcata contrazione dell’export (-11,9%).”
La conferma viene dall’analisi del commercio con l’estero: “Nei primi sette mesi del 2019, l’aumento su base annua dell’export (+3,2%) è determinato principalmente dalle vendite di articoli farmaceutici, chimico-medicinali e botanici (+27,9%), prodotti tessili e dell’abbigliamento, pelli e accessori (+7,9%) e prodotti alimentari, bevande e tabacco (+8,0%)”. Il Nord manifatturiero è in panne.
Il fatto è che, ad una Lega che nasce storicamente con l’aspirazione di rappresentare il Nord dei produttori, ora al governo si sono insediati due partiti che hanno entrambi come asse portante la funzione della distribuzione: il Pd, oltre a sostenere la azione pubblica perequatrice attraverso i servizi sociali ad accesso universale, agevola una corposa struttura di cooperative e di associazioni che operano principalmente a livello locale nel settore della assistenza, dalle carceri agli ospedali, ai consultori, e nei comuni con i lavori socialmente utili.
Il M5S, che nasce con una violenta pulsione anti-casta, sostiene a sua volta le ragioni di chi ha bisogno di reddito: ha rivolto la sua attenzione ai giovani, innanzitutto, con il Reddito di cittadinanza, la sua bandiera elettorale. Una volta approvatolo, aboliti i vitalizi e penalizzate le pensioni d’oro, ha perso inevitabilmente quota.
Mentre i recentissimi incontri tra gli esponenti del nuovo governo ed i sindacati, per affrontare il tema della rappresentanza e del salario minimo, testimoniano ancora una volta la volontà si sostenere i diritti dei lavoratori, si tace dei problemi del mondo della produzione: il taglio del cuneo fiscale si risolverà, sembra, solo in una riduzione su proiezione triennale, della tassazione a totale vantaggio dei redditi da lavoro.
Anche sulla autonomia differenziata è stata messa la sordina: pur reclamata a gran voce dai Governatori delle Regioni settentrionali e della Emilia Romagna durante il precedente governo, era stata bloccata per la resistenza della stessa Presidenza del Consiglio e del M5S: fu insuperabile il timore che desse l’avvio ad una secessione silenziosa. Di fatto, le Regioni del Nord chiedono a Roma poteri amministrativi, di pianificazione e gestione, e non solo la riduzione del residuo fiscale. La sanità e la formazione professionale non possono più essere gli unici ambiti concreti di azione regionale: non giustificano un apparato politico ed amministrativo ormai consolidato, che ambisce ad una funzione di rappresentanza generale, tanto più necessaria quanto meno è forte la capacità progettuale a livello nazionale. D’altra parte, è l’intero modello di area vasta che rimane disfunzionale, aggravato dalla soppressione delle provincie e dal proliferare di entità di scopo a livello sovracomunale.
Chi spera in un ribaltone all’interno della Lega, per disfarsi del salvinismo, in realtà milita per un rafforzamento della componente storica che ha prevalentemente aspirazioni territoriali, quelle che un tempo sostenevano la secessione da “Roma ladrona” e la creazione di una Repubblica del Nord che non a caso aveva come confini quelli della Linea Gotica.
Un Nord forte giova soprattutto al Mezzogiorno, perché sente meno il peso della solidarietà territoriale. E la mappatura attenta del registrato rinvigorirsi della capacità delle Regioni dell’Italia centrale e meridionale di essere protagoniste dell’incremento dell’export è la premessa per una migliore comprensione delle vocazioni e delle specializzazioni produttive. C’è vitalità, voglia e dimostrata capacità di fare. C’è bisogno di sostenere la produzione, ovunque sia localizzata, ma soprattutto di delineare il posizionamento dell’industria non solo manifatturiera dell’Italia settentrionale nel quadro delle nuove relazioni industriali globali.
Noi, invece, ci attardiamo sulla questione dei migranti, facendone addirittura il tema assorbente delle relazioni internazionali. Anche i colloqui con i Presidenti di Francia e Germania, che si sono infatti precipitati in questi giorni a Roma per prendere riannodare i rapporti con il nuovo governo, si sarebbero concentrati sulla questione degli sbarchi e dei ricollocamenti. L’emergenza securitaria proclamata dalla Lega si è trasformata così nel suo opposto; l’accoglienza obbligata ai migranti economici cui nessun Paese europeo darà mai accesso.
Nel frattempo, in Europa si ipotizza di istituire un Future Wealth Fund, con 100 miliardi di dotazione e capacità di intervento a leva di dieci volte superiore, per costituire campioni globali nei settori di punta, dall’auto a guida autonoma alla intelligenza artificiale. Per favorire la transizione ecologica, il governo tedesco pensa ad un fondo obbligazionario privato da 50 miliardi, con una cedola di interessi del 2% a carico dello Stato. Non meravigliamoci, dunque, se al Nord sbuffano. E non solo.
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