Nonostante la vittoria elettorale della sinistra greca e complessivamente delle forze politiche critiche nei confronti dell’austerity e dei memorandum imposti al paese negli ultimi anni e che hanno prodotto un massacro sociale senza precedenti, le istituzioni e i governi dell’Unione Europea hanno continuato a tenere con Atene un atteggiamento improntato al ricatto e alla richiesta di mera obbedienza.
Di fronte all’evidente sconfitta dei diktat della troika, sia sul piano dell’efficacia rispetto alla riduzione del debito – obiettivo dichiarato ma non reale – sia su quello politico, le istituzioni dell’Unione Europea e i governi del suo nucleo duro non hanno fatto altro che ribadire al nuovo esecutivo quanto fatto finora, imponendo aut aut e ultimatum inaccettabili. Chiarendo così una volta per tutte che la democrazia e la sovranità hanno ancora un (minimo) senso solo per alcuni paesi ed alcune classi sociali, mentre tutto il resto è “a sovranità limitata” e non può fare altro che adeguarsi ai diktat, obbedire senza possibilità di appello. La gerarchia delle regole, dei trattati, l’architettura antidemocratica ed oligarchica sulla quale è stata fondata e si sta rafforzando l’Unione Europea prevalgono su tutto il resto: sul buonsenso, sulle richieste dei singoli governi, in fin dei conti sulla democrazia, il consenso, la partecipazione popolare alle scelte politiche ed economiche. Neanche quegli scarsi livelli di democrazia parlamentare e di mediazione tra interessi e classi diverse che hanno contraddistinto per decenni ‘il modello europeo’ sono oggi tollerabili per un meccanismo continentale votato alla costruzione di un polo imperialista all’altezza della competizione con i poli concorrenti.
In nome della competizione globale ogni debolezza – e la democrazia e il consenso popolare sono ritenuti tali – ogni contraddizione vanno rimossi o svuotati. Una corsa sfrenata che porta i popoli intrappolati all’interno dei confini della Ue verso il massacro sociale, in particolare quelli dei paesi designati come periferie interne, e che al di fuori dei propri confini diffonde instabilità e prepara la guerra come strumento di affermazione dei propri interessi, di rapina delle risorse, di controllo dei territori e dei corridoi.
Pensare di riformare, di democratizzare o di manipolare un meccanismo simile, lo abbiamo scritto più volte, è a nostro avviso impossibile, illusorio e velleitario. Quanto sta avvenendo in Grecia nelle ultime settimane conferma questa chiave di lettura. Utilizzando una metafora potremmo dire che l’Unione Europea è una ghigliottina, e che metterci la testa dentro pensando di bloccarne la lama appare una mossa autolesionistica votata ineluttabilmente al fallimento.
Il massimo che l’establishment e i meccanismi di governance dell’Unione Europea sembrano voler – e poter – concedere al governo e al popolo greco è una ‘rivoluzione semantica’ che cambia le etichette per lasciare immutato un meccanismo di dominazione che va mantenuto non solo per impedire alla Grecia di sottrarsi al tritacarne del debito e dell’austerità, ma soprattutto per evitare ogni eventuale effetto domino agli altri paesi sottoposto in questi anni a trattamenti simili. Perché l’Unione Europea che esiste e agisce in questo modo è l’unica possibile; una Unione Europea Imperialista nel senso più stretto della parola, pronta alla guerra sociale interna ed alla guerra guerreggiata all’esterno.
A sinistra ci si chiedeva e si auspicava prima delle elezioni se fosse possibile intervenire sugli effetti delle politiche economiche europee – l’austerità, i tagli, le privatizzazioni – senza mirare a far saltare i meccanismi e le architetture che quelle politiche hanno generato, imposto e gestito. Allo stato dei fatti risulta evidente che non è possibile, e che approcciarsi ad una tale macchina da guerra senza mirare in maniera esplicita e spregiudicata a una rottura dell’Unione Europea e del suo sistema politico, economico ed istituzionale equivale alla rinuncia di ogni velleità anche solo riformista. Di fronte a un tale spietato meccanismo di dominazione non si può che puntare a far saltare il tavolo, e non certo a rispettare le regole del gioco pensando di ottenere risultati tangibili.
Oggi Syriza e l’intera sinistra ellenica si trovano davanti ad un vero e proprio bivio: prendere atto che la realtà dei fatti è assai peggiore di quella che si era immaginata, che non esistono spazi di mediazione possibili, che certi meccanismi sono immanenti e non possono essere modificati, e agire di conseguenza, oppure votarsi ad una sconfitta che avrà effetti tragici non solo per il popolo greco ma per tutti i popoli del Mediterraneo. Purtroppo ci sembra che il governo Greco si appresti ad una capitolazione tradendo la fiducia che il popolo greco aveva in esso riposto, come ha affermato nei giorni scorsi il novantunenne partigiano Manolis Glezos. A leggere i 12 punti della dichiarazione di intenti inviata da Tsipras ad Eurogruppo e Troika, frutto tra l’altro di un rimaneggiamento operato sulla base dei ricatti dell’Ue e del Fmi, appare chiaro che accanto ad alcune condivisibili misure di natura sociale dirette ad affievolire l’emergenza umanitaria ve ne sono altre improntate a quella che potremmo definire ‘austerity dal volto umano’, mentre altri provvedimenti promessi solo pochi giorni fa sono già stati sacrificati sull’altare della trattativa con i ‘creditori internazionali’.
Di fronte alle critiche l’esecutivo ellenico chiede tempo per prendere fiato. Ma è oggi, sull’onda della recente vittoria elettorale, della legittimazione e del consenso popolare ottenuti che il governo di Atene e le forze di classe elleniche devono operare una rottura nei confronti dei paletti, delle regole, dei recinti fissati dalla controparte. Il rischio è che l’impasse, l’impossibilità di rispettare le promesse elettorali e di modificare sostanzialmente il quadro precedente di subordinazione della Grecia rispetto al meccanismo ‘prestiti contro riforme’ indebolisca, logori Syriza e il movimento popolare.
Alla strategia della controparte occorre rispondere con una propria strategia e non certo navigando a vista.
Occorre oggi, a partire dall’esperienza greca, attrezzarsi politicamente fomentando organizzazione e mobilitazione per impedire la stabilizzazione di un progetto europeo imperialista, autoritario e guerrafondaio.
Occorre riproporre anche qui in Europa una rottura che crei le condizioni per un’alleanza dei popoli del mediterraneo, costruendo una propria prospettiva alternativa – l’ALBA euro mediterranea – che ci sembra acquisti oggi maggiore necessità e credibilità a partire proprio dalle vicende elleniche.
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