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Dalla Catalogna un no a Ue, Euro e Nato che parla a tutto il Mediterraneo

Le elezioni regionali catalane hanno segnato un importante risultato. Intanto, nonostante una martellante campagna intimidatoria nei confronti delle forze indipendentiste portata avanti dal mondo finanziario, dai poteri forti interni e addirittura da alcuni leader politici internazionali – Merkel, Cameron, Obama, Sarkozy – i movimenti che si battono per l’autodeterminazione della Catalogna hanno ottenuto un risultato che sfiora la maggioranza assoluta dei voti e ottiene quella assoluta dei seggi.

E ciò nonostante uno storico tasso di affluenza alle urne che ha favorito indubbiamente i partiti nazionalisti spagnoli grazie alla “mobilitazione straordinaria” di parte dell’elettorato conservatore e unionista tradizionalmente meno attivo.
L’altro risultato importante delle elezioni regionali catalane di ieri è stata la grande affermazione della Candidatura d’Unità Popolare, la Cup. All’interno di un panorama politico che, al di là del diverso giudizio sull’indipendenza, sostiene trasversalmente i diktat dell’Unione Europea e le politiche neoliberiste e di austerità, o comunque si limita anche a sinistra a critiche relative e a proposte di aggiustamento e di impossibile miglioramento, l’affermazione straordinaria della Cup – 8.2% dei voti e 10 seggi – dimostra che è possibile, per una forza che mette apertamente in discussione i dogmi del capitalismo e la permanenza all’interno dell’Eurozona e della Nato, conquistare radicamento sociale e credibilità di massa.
Esattamente il contrario di quanto hanno fatto in questi ultimi anni diversi partiti della sinistra radicale europea che hanno visto i propri slogan e propositi infrangersi contro il muro del dogma della permanenza all’interno dell’Unione Europea, dei suoi apparati coercitivi, dei suoi meccanismi autoritari.
L’affermazione di una coalizione politica autenticamente anticapitalista come la Cup, che non teme di pronunciarsi apertamente per la rottura dell’Unione Europea e per l’inizio di una campagna di disobbedienza di massa rispetto alle imposizioni di Madrid e di Bruxelles, non può che essere salutata come una buona notizia e come un segnale che va raccolto e rilanciato anche negli altri paesi, in particolare in quelli maggiormente stretti nella morsa del processo di integrazione imperialista del continente.
L’ottimo risultato conseguito dalla sinistra anticapitalista catalana è il frutto di una coerente e intelligente campagna che assieme alla questione nazionale pone come centrale anche quella sociale, in una concezione all’interno della quale non ci può essere liberazione dall’oppressione nazionale senza una contemporanea liberazione dallo sfruttamento capitalistico. Una forza anticapitalista, per intendersi, che non lotta per creare un nuovo stato qualunque esso sia, ma che concepisce la rottura degli assetti istituzionali come aspetto, tappa e volano per una altrettanto necessaria rottura del sistema economico e delle relazioni sociali vigenti.
Molti dei voti che hanno permesso l’exploit della Cup arrivano da ex elettori di partiti come Erc – repubblicano ma socialdemocratico ed europeista – o come la sezione locale della Sinistra Unita o dagli eco-socialisti di ICV, incapaci di indicare ai settori popolari una prospettiva chiara di lotta e di trasformazione, tanto sulla questione nazionale quanto rispetto alla rottura della gabbia dell’Unione Europea. La stessa ambiguità che in Catalogna ha fortemente penalizzato Podemos, movimento le cui precedenti caratteristiche antisistema sembrano affievolirsi man mano che passa il tempo e che la sua direzione sceglie di spuntare alcune delle storiche rivendicazioni di rottura.
Che nel campo indipendentista diventi centrale e determinante una forza politica antagonista come quella incarnata dalla Cup è positivo anche per l’opera di demistificazione che questa coalizione compie nei confronti della strumentalizzazione della rivendicazione indipendentista operata dall’ex governatore. Artur Mas, infatti, è responsabile di politiche rigoriste e autoritarie non dissimili da quelle applicate in tutto lo stato dalla destra spagnolista sotto dettatura della Troika. Il comune intento di creare un nuovo stato repubblicano catalano non può nascondere le evidenti differenze ideologiche e di programma tra forze che rappresentano gli interessi di settori sociali distanti quando non opposti.
Il drammatico impatto sociale delle politiche imposte ai singoli stati dall’Unione Europea dopo il manifestarsi della più grave crisi del capitalismo nell’ultimo secolo ha scatenato in Catalogna una vasta e crescente mobilitazione indipendentista, in un contesto in cui alle rivendicazioni di carattere sociale si sono sovrapposte quelle nazionali.
Bene fa la Cup a tentare di contendere ai settori sovranisti della borghesia catalana – che intendono l’indipendenza da Madrid esclusivamente come una leva per gestire al meglio i propri interessi – l’egemonia all’interno del vasto fronte che lotta per l’autodeterminazione, contestando i tagli, le privatizzazioni, la repressione dei movimenti sociali e mettendo in discussione, come già detto, Ue e Nato.
Se il flop di Podemos può essere considerato un segnale estendibile anche allo scenario politico statale in vista delle elezioni legislative spagnole di fine anno, nel campo unionista il boom sperimentato da Ciutadans indica che il sistema politico sul quale si è basato il paese a partire dalla morte di Franco e dall’autoriforma del franchismo sembra trovare un nuovo punto di equilibrio che movimenti populisti come Podemos non sono in grado di mettere in discussione. Se è vero infatti che il Partito Popolare crolla e che i socialisti perdono molta del proprio consenso – anche se rimangono una forza politica tra le principali – è vero anche che molti dei voti in fuga dai due partiti dell’establishment vengono attratti da una formazione come Ciudadanos, anch’essa di natura populista e schierata a destra su posizioni centraliste e liberiste nonostante l’utilizzo di un messaggio “anticasta”. Il vecchio regime bipartitico fondato sull’alternanza tra PP e PSOE sembra puntare, per sopravvivere, a trasformarsi in tripartitico, mantenendo così intatta la propria natura autoritaria e antipopolare. Se non saprà uscire dalle ambiguità che contraddistinguono la propria linea Podemos rischia seriamente di seguire la parabola che ha già consumato Syriza e di diventare la quarta gamba di un sistema politico-istituzionale spagnolo inamovibile quanto oppressivo.

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