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Salvabanche, sfiduciamo governo e Ue perché avevano un’alternativa

La “comunicazione” governativa, in qualsiasi parte del mondo, giustifica le proprie scelte con l’affermazione apodittica “non ci sono alternative”. Più è complicatala materia, più facile è il gioco. Tanto più in materia finanziaria, dove non solo si registra una “grande ignoranza diffusa”, ma soprattutto una superproduzione di “offerte”, pacchetti, pacchi veri e propri, “innovazioni, ecc, a cavallo di molte materie altrettanto complesse (diritto, economia, regole europee, regole nazionali, costituzione, ecc).

Perciò ci sembra importante far conoscere questo articoo di Lidia Undiemi, pubblicato nel suo blog su Il Fatto Quotidiano, che dà conto in modo chiaro di alemno una cosa certa: per “salvare” le quattro banche c’erano alternative. Hanno scelto di proposito quella che colpiva di più i piccoli depositanti, completamente all’oscuro di tutto e abituati a “fidarsi” del direttore di filiale, nella profonda provincia italiana.

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Non è soltanto la Boschi ma tutto il governo e l’Unione europea che vanno “sfiduciati” per avere messo in piedi un sistema di salvataggi bancari che non lascia scampo ai risparmiatori italiani.

Dall’anno della grande crisi finanziaria che ha travolto anche l’eurozona, l’Ue e gli stati membri, anziché affrontare le reali cause della crisi, ossia il fallimento dell’attuale modello capitalistico-finanziario globale hanno operato in senso diverso, predisponendo una serie di regole finalizzate a garantire proprio la sopravvivenza del sistema con le sue anomalie. A norma di legge, il costo delle grandi crisi finanziarie e dei salvataggi delle grandi banche viene fatto ricadere sui cittadini, e ciò attraverso due meccanismi: i fondi gestiti dalla Troika (fondi Mes), direttamente a carico degli Stati e dunque dei contribuenti, e il cd salva banche (meccanismo o fondo di risoluzione) – include lo strumento del bail in – che colpisce i cittadini in qualità di risparmiatori.

Dal 1 gennaio 2016, non soltanto le azioni e le obbligazioni subordinatema anche altre tipologie di passività possono essere colpite dal meccanismo di risoluzione, compresi i depositi superiori a 100 mila euro (almeno per il momento).

La normativa è ampia e di difficile interpretazione (ecco alcuni riferimenti) ed è assurdo pensare che i risparmiatori possano trasformarsi in scienziati della finanza, della tecnica bancaria e di almeno sette branche del diritto (societario, tributario, lavoro, bancario, internazionale, europeo, penale, ..). Tra l’altro, ed è questo un aspetto centrale delle nuove regole sulle crisi bancarie, tali conoscenze non sarebbero nemmeno sufficienti per proteggere i piccoli risparmi, in quanto la procedura di risoluzione non viene attivata in caso di fallimento della banca (la risoluzione persegue l’obiettivo della prosecuzione dell’attività) ma in base ad una serie di valutazioni da parte degli esperti competenti, non arbitrarie ma certamente altamente discrezionali, che inducono a ritenere che una banca sia in crisi (anche solo potenziale) per una serie di circostanze, da cui deriva la legittimazione ad “espropriare” i risparmi dei cittadini. Una volta attivato il commissariamento, si procede con la valutazione degli elementi patrimoniali attivi e passivi, i quali, sempre con ampi margini di manovra, possono essere smembrati e canalizzati in altre società e così via. Come può un risparmiatore governare tutte queste variabili? Impossibile, serve il controllo pubblico, che evidentemente non ha funzionato.

Quindi, anziché fantasticare sull’alfabetizzazione dei risparmiatori, bisogna discutere dell’inadeguatezza del sistema di regole, che antepone la sopravvivenza della “stabilità finanziaria” europea (questo è il principio base della nuova legislazione) alla tutela del risparmio in tutte le sue forme prevista dall’art. 47 della Costituzione.

Il governo ha accettato senza fiatare la proposta dell’Europa di ridurre ai minimi termini una tutela così importante. E’ un problema molto serio, perchè le nuove regole sul salva banche sono state progettate per crisi sistemiche ben più grandi rispetto a quelle di Banca Etruria e degli altri istituti di credito su cui si sta sperimentando la “risoluzione”.

Eppure in sede europea la Banca d’Italia aveva provato ad alleggerire l’impatto del salva banche con un approccio meno aggressivo e doloroso(coinvolgere passività dopo l’entrata in vigore delle nuove norme o rinviare il bail in al 2018). Non solo. Bankitalia aveva proposto di utilizzare il Fondo nazionale Interbancario di Tutela dei Depositi, ma la Commissione europea si era messa di traverso in quanto tale intervento è assimilabile ad un aiuto di Stato. Qui però casca l’asino. Nel 2014, come mette bene in evidenza sempre la Banca d’Italia, sono stati attuati ingenti salvataggi pubblici delle banche degli altri paesi europei: Germania (238 miliardi), Spagna (52 miliardi), Irlanda (42 miliardi) e Grecia (40 miliardi). Ciò è stato possibile grazie ai fondi europei guidati dalla Troika e finanziati dagli stati dell’Eurozona.

L’atteggiamento della Commissione europea era dunque facilmente contestabile, spettava al governo far pendere l’ago della bilancia in favore dei risparmiatori italiani. Ma non lo ha fatto, per questo devono essere sfiduciati. Anche per tale ragione, infine, l’Italia dovrebbe “sfiduciare” le istituzioni europee responsabili.

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