“..si deve concludere che la disciplina del bail in non è sostenibile. Una prima prova di una parziale applicazione di essa – solo cioè per quel che attiene alla risoluzione delle quattro banche, richiesta dalla Commissione Europea e che comporta il previo addossamento delle perdite ad azionisti e obbligazionisti subordinati – dovrebbe essere idonea a farci capire quel che può avvenire in un prossimo caso. La tutela del risparmio non viene in tal modo pienamente assicurata, in contrasto con l’art. 47 della Costituzione, e, con tale mancanza, può essere travolta anche la tutela della stabilità sistemica”.
Angelo De Mattia, “Le norme Ue sulle risoluzioni bancarie vanno riviste. Il bail in è contrario alla Costituzione”. Milano Finanza 15 dicembre 2015.
“Vedo invece un’Europa che cresce con contraddizioni e che quindi si muove un po’ a zig-zag con figli e figliastri, una specie di Europa matrigna”.
Antonio Patuelli, Presidente ABI (Associazione Banche Italiane), “Tempi lunghi per le fusioni”, Milano Finanza 16 dicembre.
Chi pensa che la vicenda delle quattro banche fallite sia una questione di truffe, malversazioni e raggiri si sbaglia di grosso. Non è solo questo, è ben altro. Ha a che fare con l’assetto europeo, con l’hausmanizzazione monetaria e con il predominio tedesco nell’eurozona.
Partiamo da una decisione presa circa due anni fa, vale a dire l’Unione Bancaria. Con questo nuovo assetto, la Vigilanza è passata alla Banca Centrale Europea, con l’eccezione, guarda caso, delle Sparkassen e delle Landesbanken tedesche, al vortice della crisi bancaria del 2009. Da allora sono stati chiesti ratios patrimoniali alla banche sempre più stringenti e aumenti di capitali, con stress test che obbligavano il sistema bancario italiano a restringere l’area di operatività della funzione di banche commerciali con relativo credit crunch.
Si è passati al paradosso che mentre la Bce inonda di liquidità il sistema bancario, quest’ultimo deve accantonare sempre più risorse ai fini dei ratios patrimoniali, a tal punto che uno studio Fitch informa che di 4 mila miliardi di nuova liquidità solo 40 siano finiti nell’eurozona in nuovi prestiti.
La questione è particolarmente grave nel nostro Paese giacché il 90% dei prestiti è fatto dal sistema bancario. Inoltre, quel che Salerno Aletta (E l’Europa non impara, Milano Finanza 5 dicembre) definisce “manovre fiscali di inusitata violenza”, hanno provocato una feroce recessione che si è riflessa nell’esplosione dei crediti deteriorati.
Attualmente sono pari a circa 300 miliardi di euro, il 20% del Pil, mentre le sofferenze vere e proprie sono circa 200 miliardi, secondo fonti Bankitalia di fine settembre. Le sofferenze sono pari a circa il 13%, prima della crisi erano pari al 2% del Pil.
Il sistema bancario italiano non è stato colpito dalla crisi finanziaria statunitense, al contrario di quello tedesco, perché operava sostanzialmente come banca commerciale e le funzioni di investment banking, tra cui i derivati, avevano poco peso, anche grazie alla pluridecennale esperienza di vigilanza della fu banca centrale italiana.
In effetti, la crisi dei subprimes colpì la City londinese, i sistemi bancari francesi, spagnoli, olandesi e, in particolar modo, il sistema bancario tedesco che fu salvato con 268 miliardi di fondi pubblici e garanzie statali pari a 680 miliardi di euro. L’apporto dello Stato italiano sul sistema bancario è stato minimo, giusto i Tremonti bond e i Monti bond per Monte dei Paschi di Siena, pagati a carissimo prezzo, con guadagno finale per le casse pubbliche.
Il problema per il sistema bancario italiano viene con il governo Monti e con “l’inusitata violenza” delle politiche fiscali restrittive, che causano il definitivo crollo dell’economia italiana e la deindustrializzazione, prassi di finanza pubblica e di erosione dei diritti sociali e del lavoro continuati con Letta e, soprattutto, Renzi.
E’ da qui che assistiamo all’esplodere delle sofferenze bancarie: di 200 miliardi, circa 144 provengono dal sistema delle imprese. Il problema si acuisce a tal punto che si pensa di fare come in altri paesi europei, cioè creare una bad bank che si accolli le sofferenze e le smaltisca nel tempo, in modo da liberare capitale da destinare, eventualmente, ai prestiti alle imprese.
A quel punto la politica dei due pesi due misure dell’Ue diventa chiara: si impedisce all’Italia di ricorrere alla bad bank perché violerebbe il principio comunitario degli aiuti di Stato. E questo nello stesso periodo in cui, quest’anno, non nel 2009…, la Commissione Europea autorizza la Germania al salvataggio pubblico della banca Hsh Nordbank.
E’ l’esempio lampante della scarsa lungimiranza e soprattutto di inesistente capacità negoziale della classe dirigente italiana nei confronti di Bruxelles e Francoforte. Dunque, in questi anni tutti i paesi europei sono ricorsi alla bad bank e/o al salvataggio pubblico dei loro sistemi bancari tranne l’Italia, senza che la Commissione Europea ponesse veti circa le norme sugli aiuti di Stato. Nel momento in cui l’Italia presenta alla autorità europee un progetto di una propria bad bank se la vede bocciare come aiuto di Stato senza che l’Italia batta i pugni.
Non finisce qui: con l’approvazione dell’Unione Bancaria si attua quel che è avvenuto a Cipro nel 2013, cioè un meccanismo di risoluzione di crisi bancarie dove a pagarne il costo saranno obbligazionisti e azionisti e i depositanti oltre 100 mila euro. Tali norme, in vigore dal 1° gennaio, sono state applicate in Italia per la crisi delle famose quattro banche, dunque in anticipo sui tempi. Questo perché i collaborazionisti italiani vogliono dimostrare a chi comanda in Europa di essere più realisti del Re.
Se queste quattro piccole banche coinvolte nel salvataggio hanno provocato i primi sintomi di una crisi sistemica (vale a dire sfiducia nel sistema bancario con relativa fuga dei depositanti e obbligazionisti), cosa potrebbe succedere se fosse coinvolto qualche grande istituto nel prossimo anno, vista la mole di sofferenze bancarie e visto il fatto che la Commissione Europea nega all’Italia la creazione di una bad bank? Il tutto poi con il meccanismo del bail in delle risoluzione bancarie, che fa pagare obbligazionisti, azionisti e grandi depositanti. Sarebbe una bomba per l’Italia.
Che lezioni trarne da Popolare Etruria e altre banche, al di là del moralismo di tanti soggetti politici che guardano il dito ma non la luna? Un eventuale scoppio di una crisi bancaria sistemica, corollario all’hausmanizzazione monetaria in corso da anni che ha fatto crollare l’economia italiana, si inquadrerebbe in quel che più volte abbiamo definito come “guerra tra capitali” nell’eurozona, i cui prodromi sono stati i progetti di costruzione di unità monetaria con il Piano Werner del 1972.
Dopo aver distrutto l’apparato produttivo, concorrente diretto di quello tedesco, dopo aver demolito in 4 anni l’architettura giuridica a difesa della tutela del lavoro, della salute, dell’istruzione, ecc., ora i collaborazionisti italiani provocano una crisi sistemica che causerà la fuga del risparmio italiano, ben 4 mila miliardi, verso Francoforte, Londra e New York. La capitolazione sarebbe, in quel caso, totale, e il Piano Werner praticamente realizzato.
Ci si chiede, dunque, è il caso di parlare del padre di un ministro? La posta in gioco è ben più alta, è la contraddizione tra la costruzione europea e il nostro ordinamento, quel che Vladimiro Giacché nel libro “Costituzione italiana contro trattati europei” (Imprimatur 2015) definisce un “conflitto inevitabile”.
E’ in questo contesto che A. De Mattia, già responsabile del credito del Pci e successivamente Segretario del Direttorio di Bankitalia, nel sopracitato articolo, parla anche di “illegittimità costituzionale del Fiscal Compact”. La modifica dell’art. 81 con il pareggio di bilancio, spiega Giacché, è incompatibile con la tutela dei diritti fondamentali ed inalienabili della prima parte della Carta Costituzionale, così come l’Unione Bancaria e la normativa europea sulla Vigilanza e il bail in cozzano con l’art. 47 della Costituzione che tutela il risparmio. Prima o poi questa contraddizione esploderà e forse sarà tardi.
“L’inusitata violenza” di questi anni, forse, sbatterà il muro contro qualcuno della Consulta che ancora fa il suo mestiere. L’esempio lampante è stato il pronunciamento della Consulta sulla mancata indicizzazione delle pensioni stabilita da Monti e Fornero, per poi passare agli stipendi dei lavoratori pubblici, alle norme che stanno affossando la Sanità, alla Buona Scuola fino al Jobs Act e la riforma elettorale. Sono norme che violano palesemente la Carta.
La Boschi dovrebbe essere dimessa innanzitutto per la riforma del Senato e per l’Italicum e per il suo contributo allo scardinamento della Costituzione della Repubblica, piuttosto che per il coinvolgimento del padre nelle vicissitudini della Banca Etruria!
Nel panorama politico attuale quasi nessuno pone queste questioni, ci si focalizza sugli aspetti scandalistici del caso, senza minimamente andare alla radice. Che essenzialmente è una: l’euro è insostenibile per il nostro Paese e la guerra pluridecennale tra capitali lo ha ormai dimostrato.
Il Piano Werner ha come scopo la distruzione del nostro Paese, diretto concorrente dell’apparato produttivo tedesco, in modo che quest’ultimo possa accaparrarsi nei prossimi decenni le quote di mercato italiane, e non solo…, a livello mondiale, al fine di sopravvivere e cercare di superare la quarantennale crisi da sovrapproduzione mondiale. Mors tua, vita mea. Non esistono uniformità di giudizio, di regole e di norme a livello comunitario, ci sono solo rapporti di forza dove il successo dell’uno dipende dalla capitolazione degli altri.
E’ un gioco a somma zero, e l’Italia rischia di perdere definitivamente il suo status di paese industrializzato. Al padronato italiano l’Europa serve per ammazzare il proletariato, non sapendo che nel frattempo si sta dando una mazzata tremenda sui piedi, e la prossima crisi bancaria lo dimostrerà. Il loro non è un mondo di furbi, è un mondo di idioti.
da http://www.marx21.it/
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