Menu

Verità e giustizia per Giulio Regeni

L’omicidio brutale di Giulio Regeni ha portato alla luce fuori da ogni ragionevole dubbio la natura repressiva e brutale dello stato di emergenza instaurato dal Governo Al Sisi in Egitto, dopo che questi ha estromesso dal potere il Governo, altrettanto pericoloso, espressione della Fratellanza Musulmana.

Secondo quanto denunciano attivisti e movimenti sociali egiziani, la tortura, e gli arresti che in molti casi si concludono con scomparse ed esecuzioni, sono praticati con quotidiana meticolosità dalla polizia e dagli apparati repressivi. A finire nel mirino ci sono molti sindacalisti indipendenti, lavoratori, militanti della sinistra egiziana e ora anche uno scomodo ricercatore italiano di 25 anni.

La morte di Giulio ha portato una attivista egiziana a invitare gli stranieri a rimanere a casa perché in Egitto a fare troppe domande si rischia la vita. Le domande Giulio sembrava rivolgerle alle condizioni dei lavoratori egiziani, alle lotte sindacali e all’indipendenza dei sindacati egiziani, in un contesto di crisi economica e che vede il Governo Al Sisi promuovere un processo di privatizzazioni e politiche di austerità in linea con i dettami del FMI.

Un omicidio quello di Regeni che lascia molte domande sulle responsabilità degli uomini e delle strutture del ministero degli esteri italiano, così poco reattivo nei giorni della scomparsa e risulta altrettanto impacciato ora che dovrebbero seguire atti formali nei confronti del governo egiziano responsabile della vita e della morte di Giulio e della repressione che quest’omicidio ha portato a galla.

I militari in Egitto rappresentano il principale blocco di interessi economici e industriali, con cui fanno affari aziende come Pirelli, Saipem, Eni, Ansaldo, Iveco e Intesa San Paolo.

Per questo il Governo Renzi è un buon amico e sostenitore del Governo Al Sisi, un amicizia che vale 5 miliardi di import export, dove industriali, banchieri italiani e soci egiziani trovano molto utile l’ombrello dello stato di emergenza imposto da Al Sisi.

La verità e la giustizia per Giulio Regeni passano per la denuncia dello stato di polizia del governo Al Sisi e dei suoi complici partire dal Governo e dagli industriali italiani.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

2 Commenti


  • Enea Bontempi

    Non sono per nulla d’accordo. Con queste posizioni fate solo il gioco dell’imperialismo americano. Giulio Regeni era un nostro giovane connazionale che, oltre alla capacità di parlare correntemente almeno tre lingue, tra cui l’arabo, poteva vantare una brillante carriera di studente ad Oxford e successivamente di ricercatore a Cambridge. A leggere gli articoli della stampa sulla tragica vicenda che ha portato alla sua morte, si riceve tuttavia l’impressione che il suo fosse l’‘identikit’ perfetto dell’agente segreto. Secondo quanto riferiscono i giornali, egli era anche un collaboratore del “manifesto”, alla cui redazione inviava articoli sul Vicino Oriente firmati con uno pseudonimo e caratterizzati da un orientamento politico ostile al regime di Al Sisi e vicino alla variegata opposizione egiziana, non esclusa quella rappresentata dal fondamentalismo islamico più oltranzista. In sostanza, se si considera l’equazione tra la politica estera statunitense nel Vicino Oriente e la simulazione della guerra all’ISIS, si può ipotizzare che Regeni fosse un agente filoamericano al servizio dell’Occidente. Il “manifesto”, un giornale non nuovo a coinvolgimenti nelle ‘spy story’, come dimostrato dal sequestro della giornalista Giuliana Sgrena in Iraq, che costò la vita all’agente segreto italiano Nicola Calipari nel 2005, ne era a conoscenza? In caso affermativo, dovrebbe spiegare ai suoi lettori il significato di queste sue iniziative che si pongono in un contrasto stridente con la propria ispirazione politica; se invece la redazione del “manifesto” non era a conoscenza del ruolo svolto da un suo collaboratore, ancorché occasionale, meglio sarebbe per essa cambiare mestiere

    Giulio Regeni è morto a soli 28 anni, probabilmente a causa delle torture e delle sevizie inflittegli dai servizi di sicurezza di Al Sisi, mentre svolgeva la missione che gli era stata affidata. La stessa imbarazzante polemica, sorta tra i famigliari del giovane e la redazione del “manifesto” sulla tardiva pubblicazione di un articolo da lui inviato, rende più densa la coltre di ambiguità che circonda una vicenda di per sé tragica, ma anche tutt’altro che indecifrabile. Sorge allora spontanea la domanda: è possibile che Regeni non lavorasse unicamente per i servizi segreti italiani? Una domanda che chiama in causa, anche su questo terreno minato, la questione della sovranità nazionale, poiché legittima il sospetto che il ruolo dei nostri servizi segreti (così come quello del nostro paese nella competizione imperialistica) possa essere quello dell’asino che porta sulla groppa la botte di vino, ma beve l’acqua. È prevedibile che queste domande, queste ipotesi e questi sospetti siano destinati a restare senza risposta. Meno problematica sembra essere invece la risposta a chi afferma che la mitica testata di Luigi Pintor e Rossana Rossanda si è ormai ridotta, da lunga pezza, a svolgere, in un sistema dove il potere si sceglie e si costruisce le sue opposizioni, il ruolo sussidiario di “agenzia” di propaganda imperialista per signorini ‘radical-chic’.


  • Michele Castaldo

    Cari compagni,
    quando il complottismo viene assunto a strumento per spiegare tutto vuol dire che ci sforziamo poco per capire le cause che generano un fenomeno. Regeni spia al servizio della Cia con la copertura consapevole o inconsapevole del Manifesto? No. Molto più vero l’articolista de Il fatto quotidiano che fa riferimento all’interesse della classe lavoratrice di Regeni come causa della sua morte, indipendentemente dalla consapevolezza dei suoi assassini. Semmai dovremmo affermare con forza che i mandanti stanno fra “noi” occidentali in generale e in Italia in particolare e si chiamano aziende che hanno spostato investito in quel paese perché è più basso il costo della forza lavoro e tenuta sotto controllo da Mubarak prima, dai Fratelli Musulmani poi e dall’attuale governo militare ancora. Siamo seri!!!! per favore.
    Michele Castaldo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *