Da giorni le autorità politiche e militari italiane sono impegnate a descrivere l’uso della base militare di Sigonella come un’operazione militare di tipo difensivo. Una poco credibile rincorsa a placare gli animi dopo che la notizia del coinvolgimento diretto dell’Italia nella nuova campagna militare contro il Nord Africa era stata rivelata al mondo – e al Parlamento italiano in primo luogo – non dal premier Renzi e dal ministro della Difesa ma dal Wall Street Journal secondo il quale ormai da un mese l’esecutivo di Roma ha concesso all’esercito statunitense l’utilizzo della base siciliana per sferrare attacchi in Libia – e in altre località non meglio specificate – utilizzando i droni telecomandati.
Quelle stesse macchine di morte che, secondo dati diffusi dagli stessi apparati militari occidentali, uccidono al 90% civili inermi e solo nel 10% dei casi eliminano i leader e i miliziani delle organizzazioni jihadiste.
Il governo Renzi sta cercando di accreditare la versione, di comodo, di una partecipazione italiana di secondo piano e non diretta alle operazioni militari che oltre alle forze armate statunitensi vedono impegnati sul campo, da tempo, i corpi speciali francesi e quelli britannici. E secondo indiscrezioni di stampa anche le forze speciali italiane sarebbero già schierate sul campo a difesa degli impianti dell’Eni.
Ma a sbugiardare la propaganda di Renzi ci ha pensato il Presidente della Repubblica e capo delle forze armate italiane, Sergio Mattarella, che avendo ben compreso la natura della partecipazione italiana all’ennesima campagna bellica ha riunito al Quirinale il ‘Consiglio Supremo di Difesa’, cioè il massimo organo istituzionale in tema di guerra.
Alla riunione convocata al Quirinale hanno partecipato oltre a Mattarella il premier Matteo Renzi, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, il ministro dell’Interno Angelino Alfano; il ministro della Difesa Roberta Pinotti; il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, il Ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi, il Capo di Stato Maggiore della Difesa, Gen. Claudio Graziano. E poi il sottosegretario alla Presidenza del consiglio dei ministri Claudio De Vincenti, il segretario generale della Presidenza della Repubblica Ugo Zampetti, il segretario del Consiglio Supremo di Difesa, Gen. Rolando Mosca Moschini.
Ieri sera, affermano i comunicati ufficiali, il Consiglio Supremo di difesa ha valutato “la situazione in Libia, con riferimento sia al travagliato percorso di formazione del governo di accordo nazionale sia alle predisposizioni per una eventuale missione militare di supporto” ed ha deciso l’invio di nuove truppe in Iraq accompagnate da carri armati, elicotteri ed artiglieria: 130 militari ad Erbil con il “compito di recuperare i feriti” (!) e circa 500 a protezione della diga di Mosul, i cui lavori di messa in sicurezza sono stati affidati all’impresa Trevis Spa di Cesena.
Al di là delle formule di circostanza è più che evidente che i massimi organi dello stato stanno di nuovo coinvolgendo il nostro paese in una campagna bellica le cui conseguenze, sia interne che internazionali, sono imprevedibili.
D’altronde è da tempo che gli Stati Uniti insistono con Renzi affinché l’Italia si esponga in prima linea per rimediare agli immani disastri compiuti in Libia proprio a causa della insensata guerra del 2011 che ha distrutto il paese nordafricano come stato unitario, lo ha fatto deflagrare in mille entità di tipo tribale ed ha creato il terreno fertile per l’affermazione e l’espansione politica e militare di quelle formazioni islamiste e jihadiste che ora mirano alla conquista di ampi territori. Naturalmente la copertura ideologica del nuovo intervento militare occidentale in Libia non può che essere quella dell’operazione di polizia internazionale, dell’intervento umanitario, dell’obbligo di arrestare l’espansione di quelle stesse milizie che fino a pochi mesi fa venivano ampiamente tollerate, se non foraggiate, quando si trattava di destituire il locale governo e impiantare un esecutivo fantoccio agli ordini dei paesi e delle multinazionali europee e statunitensi.
Ma in Libia più che in altri contesti le ragioni materiali e geopolitiche dell’ennesima guerra in cui il governo di Roma si imbarca su pressione delle sue imprese energetiche oltre che dei governi ‘alleati’ è più che esplicita.
Appare ovvio che l’operazione militare in Libia esporrà il nostro paese a ritorsioni terroristiche e al pericolo di attentati che verranno utilizzati dal governo per sostenere l’intervento imperialista e per zittire tutti quelli che vi si oppongono.
La Rete dei Comunisti chiama all’immediata mobilitazione contro il coinvolgimento dell’Italia nell’ennesima campagna militare di tipo imperialista e contro la propaganda di guerra dei media e del quadro politico istituzionale. Invitiamo a rafforzare da subito l’organizzazione degli appuntamenti di lotta e di denuncia già previsti nell’ambito della giornata di lotta contro la guerra, la militarizzazione della società e la Nato del 12 marzo, e dove possibile a prevedere altre iniziative oltre a quelle già in cantiere.
Rete dei Comunisti
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