Ad ogni era, appartiene una propria retorica. Ad ogni tempo è consona una determinata interpretazione dei fatti. Così è accaduto per il passato, così accade oggi, come per i fatti relativi alle semplici richieste di pianificazione delle turnazioni e di adeguamento delle condizioni lavorative, elevate dalle sigle sindacali, tra cui l’USB, presso la Reggia di Caserta, al nuovo “Stakanov”, eretto dal PD di Renzi al rango di eroe nazionale, ossia l’indefesso Direttore della Reggia di Caserta Prof. Felicori, cui, per carità, nessuno intende negare la passione per la propria materia e professione.
Ci sono stati però tempi diversi. C’erano giorni in cui, seppur nella cornice di uno stato borghese, il lavoro, inteso non quale mera condizione di impiego bensì come concetto fondante il patto sociale alla base della, in qualche misura, oggi compianta democrazia rappresentativa di questo Paese, risultava quale elemento cardine per l’esercizio della piena cittadinanza in maniera talmente generalizzante da far sì che pure chi ne risultasse escluso, declinava politicamente allo stesso modo la propria condizione d’essere, sulla base della prossimità o meno ad esso. E tutto ciò era possibile solo ed esclusivamente grazie agli immensi contributi conflittuali di donne e uomini, tali da rendere al “lavoro” quel carattere di centralità che dovrebbe ancora appartenervi. Ci sono state donne e ci sono stati uomini i quali hanno saputo coniugare anche un’eccellente erogazione di servizi pubblici, senza nonostante tutto fare passi indietro e pericolose concessioni sulle soglie di prestazione lavorativa, o peggio proferire rinunce qualificate a diritti considerati acquisiti e consolidati. E, contestualmente, esisteva, al di fuori, un mondo non composto esclusivamente da “utenti” o “turisti” (che dir si voglia) sussistenti quali categorie univoche ed unilaterali, come se quegli stessi “utenti” o “turisti” non fossero a loro volta dei lavoratori, capace di tenere in considerazione alta e di pari grado, sia l’interesse pubblico alla fruizione dei servizi che la difesa dei diritti dei dipendenti, nonché di provare spontaneamente un senso di naturale empatia con chi quegli stessi servizi li assicurava, nella coscienza e convinzione di trovarsi di fronte a “gente che sta lavorando”.
Esisteva tale mondo, ed in realtà, a ben guardare l’oggettività dei fatti, dovrebbe esistere ancora oggi. Ma quant’è importante la portata delle reali condizioni di impiego delle lavoratrici e dei lavoratori, nel caso di specie, dipendenti delle strutture dei Beni Culturali e più in genere lo status attuale dei rapporti di forza tra classi sociali rispetto alla narrazione dell’epica produttivistica ed alla edificazione di una nuova retorica del “fare, sempre di più, con ogni mezzo possibile”?
Sono questi i momenti in cui davvero sembra che l’immaginario collettivo, indotto in maniera esogena dalla nuova e mendace “etica della produttività” così come veicolata dallo scellerato Governo Renzi, campione di ultraliberismo, sia capace di superare la veridicità dei fatti, con malcelata e quasi dichiarata volontà di ignoranza, esponendo pezzi di verità e nascondendo colpevolmente il nucleo vivo delle ragioni della classe lavoratrice.
Già quasi solo un anno fa, un duro attacco ai diritti dei lavoratori, di quelli davvero conquistati con fame, sudore e sangue, veniva inferto proprio nel settore dei Beni Culturali, colpendo in particolare i lavoratori dipendenti della struttura Colosseo a Roma; in quell’occasione gli atti che secondo i media avrebbe arrecato immane nocumento e costituito grave sciagura per l’intera nazione, sarebbero dovuti essere rappresentati dalle ore di assemblea sul posto di lavoro, indette da svariate sigle sindacali (anche in questo caso l’USB era tra esse), regolarmente proclamate ai sensi dell’art. 20 della legge 300 del 1970. Quasi un caso di scuola quindi, prezioso per comprendere le dinamiche vigenti in relazione alle condizioni di agibilità democratica sui posti di lavoro. L’esercizio di un diritto, attualmente ancora riconosciuto formalmente, fu al tempo tramutato su tutti i maggiori organi di stampa e televisivi nazionali, come una vera e propria sorta di azione di “sabotaggio” contro il patrimonio artistico e culturale dello Stato; con il preciso intento di buttare tutto in “caciara” e con un’insolita celerità sempre il Governo Renzi, cavalcando l’immotivata onda emotiva creata ad arte da una propaganda di regime scientemente escludente da ogni resoconto le ragioni, anche giuridiche, a sostegno dell’iniziativa di mobilitazione, ricomprese l’intero settore dei Beni Culturali nel novero dei “Servizi Pubblici Essenziali”, equiparandolo pertanto, con decreto legge, ad altri comparti come la sanità, l’igiene ambientale o la viabilità. Sia permesso aggiungere che, per quanta considerazione, cura ed attenzione si possano avere da parte di tutti i lavoratori per quei beni artistici di interesse nazionale, sembra forse un po’ azzardato assimilare l’indubbia importanza per la collettività di un complesso monumentale, anche del massimo valore, alle indispensabili prestazioni che possono assicurare un ospedale o un centro di smaltimento rifiuti! La verità è che il principale effetto, assolutamente nefasto, di quel decreto fu di aggravare le procedure per la proclamazione di qualsivoglia sciopero o iniziativa sindacale, divenendo infatti obbligatorie le previe procedure di raffreddamento ai sensi della legge 146 del 1990, con l’intento di disarmare ulteriormente i lavoratori; e la beffa fu resa ancora più dolorosa dalle tracotanti argomentazioni secondo cui tale scelta si rendeva necessaria nell’interesse di questo presunto nuovo pezzo di società, formato da utenti o visitatori generici, quasi come se davvero si trattasse di un corpo sociale separato dal mondo del lavoro! Come se si fosse “turisti” di professione! Come se chi fosse rimasto in fila davanti al Colosseo quel giorno sia da considerarsi realmente quale portatore di interessi non solo diversi, ma addirittura contrapposti ai residuali diritti dei lavoratori!
Ma ai “rottamatori” del PD, non è bastato l’ “incidente” del Colosseo. Per portar maggior confusione nell’argomento già di per sé soggetto a forti pregiudizi, per contribuire a restituire al Paese un’immagine di dipendenti pubblici fannulloni in presunta contrapposizioni a funzionari onesti e laboriosi, quale miglior occasione dei fatti relativi alla Reggia di Caserta?
Tutto è cominciato da una nota del collegio RSU dei dipendenti, sottoscritta da rappresentanti USB, UIL ed UGL, nella quale venivano segnalate, in maniera puntuale e precisa, allo stesso Prof. Felicori, una serie di anomalie e problematiche nell’organizzazione dei “tempi e metodi” del lavoro, sempre tenendo in mente il preciso scopo della massima tutela del complesso museale. In particolar modo si denunciava l’apertura del sito museale che avveniva senza tener conto del personale effettivamente in servizio, la decisione di destinare parte del personale addetto al servizio di vigilanza all’area amministrativa, sottraendolo così agli spazi più propriamente museali, con conseguente decremento dei livelli di sicurezza, la distrazione del personale per l’organizzazione di eventi con altrettanto conseguente decremento dei livelli di presidio del sito ed infine, giusto perchè questi “scansafatiche” probabilmente non lo sono poi così tanto, si proponeva l’adozione tempestiva del sistema telematico di rilevazione ingressi e presenze.
Ecco. Questi i punti, reali, della nota RSU indirizzata al Direttore del sito Reggia di Caserta. Stampa e tv avrebbero magari potuto soffermarsi sul merito delle questioni poste dai rappresentanti dei dipendenti, sull’esigenza di fornire un servizio nelle migliori condizioni di sicurezza possibili e magari rilevare anche quanta pignola attenzione i medesimi dipendenti sanno riversare, con passione, nel loro lavoro quotidiano di “curatori e custodi” di un patrimonio comune.
E invece no. Invece si è preferito soffermarsi sull’affermazione, riportata nella nota ma di secondaria importanza, secondo cui “Il Direttore permane nella struttura fino a tarda ora, senza che nessuno abbia comunicato e predisposto il servizio per tale permanenza. Tale comportamento mette a rischio l’intera struttura museale”, trasformata, nel giro di qualche minuto nella letteralmente inesistente illazione “Il Direttore lavora troppo!”, quasi fosse una lamentela tesa a decrementare i ritmi lavorativi, senza neanche per un momento considerare la fondatezza delle asserzioni relative alla sicurezza del plesso. E di certo, un’affermazione, seppur inventata di sana pianta come appunto “Il Direttore lavora troppo!”, non può non essere apparsa a quanti si fanno promotori del nuovo corso liberista in Italia, come una pietanza saporita direttamente servita a tavola per figurare, ancora una volta, al pubblico ludibrio, un consesso di dipendenti pubblici fannulloni che addirittura oserebbero riprendere il loro Direttore che “lavora troppo!”; insomma, per i media di regime, quella che era un’articolata piattaforma di rivendicazione sindacale è divenuta una sorta di formula con cui esorcizzare ogni propensione ad esuberare il lavoro dovuto, se non addirittura a sacralizzare la fannullaggine, con, sullo sfondo, la figura quasi “eroicizzata” del buon funzionario, di alto rango, laborioso e dedito, quasi un supereroe in una palude di nullafacenti!
Tutta questa vera e propria macchinazione e deformazione della realtà dei fatti, della comunicazione e delle “relazioni aziendali”, non può essere un mero errore materiale. Essa è certamente tesa a comunicare, a reti unificate, per l’ennesima volta, l’immagine di una Pubblica Amministrazione decadente e inidonea a svolgere le proprie funzioni istituzionali, quindi destinata, con somma giustificazione, a divenire oggetto di ulteriori, future e potenziali, misure e provvedimenti tesi a restringere ancora di più i già angusti percorsi tramite i quali è possibile esercitare la democrazia sul posto di lavoro, se non a veicolare l’idea della necessità di introdurre nuove formule per una flessibilità maggiore, in uscita (leggasi possibilità di licenziare) anche in settori di irrinunciabile importanza, come appunto quello del pubblico impiego, ed operare tagli in odore di austerità, concetto che oggi più che mai diviene unico criterio di interpretazione di tale nuova “costituzione”, non scritta ma vigente di fatto, ossequiosamente aderente ai dettami dell’Unione Europea.
Noi non ci stiamo: abbiamo smesso di credere all’esistenza dei supereroi da quando abbiamo capito che ognuno di noi, in parte, può divenirlo con la consapevolezza e l’azione. E se proprio dobbiamo guardare, senza alcuna retorica, ai fatti in argomento, non possiamo che concordare con la totalità delle argomentazioni e delle preoccupazioni dei rappresentanti sindacali in materia di sicurezza del sito museale, rimandando al mittente il pattume mediatico cui pure siamo stati costretti ad assistere. Non fa onore a nessuno, tanto meno alla stampa, l’aver voluto assecondare i “peana” produttivistici di questo “nuovo ordine nazionale”, dal quale ormai sappiamo bene cosa aspettarci. La sicurezza sul lavoro, le tutele dei lavoratori, i limiti di impiego orario, il divieto di demansionamento, il diritto di assemblea, quello di sciopero ed agitazione, lo stesso posto di lavoro: nulla è più garantito, nulla è più immanentemente sicuro e “per sempre”. Basta lavorare di cancelletto e proporre alla platea di spettatori, purtroppo sempre più intellettualmente passivi, la barzelletta del giorno, spacciata per “notizia”.
Per tutte queste ragioni, la Federazione di Caserta dell’Unione Sindacale di Base, esprime la propria netta solidarietà e “complicità” con i dipendenti del MIBACT presso la Reggia di Caserta, investiti indebitamente da tale ciclone di immeritato fango mediatico, facendo proprie tutte le argomentazioni realmente esposte al Direttore Felicori, nella consapevolezza che solo la ricomposizione di classe, di quel blocco sociale antagonista che riunisce lavoratori pubblici e di aziende private, disoccupati, migranti e senza casa, possa davvero “rottamare” i nemici della democrazia in Italia, rompere ogni catena che ci imponga austerità e sacrifici ad uso e consumo di padroni e banchieri e restituire alla classe lavoratrice il suo ruolo di protagonista, avanguardia della società.
Per ultimo, un invito al Direttore: se il caro Prof. Felicori vorrà lavorare fino a tardi, sia pure libero di farlo, ma senza compromettere l’organizzazione del lavoro e la sicurezza del plesso.
Caserta, 5.3.2016
Unione Sindacale di Base
Caserta
La lettera “incriminata”:
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