Per la prima volta nella storia recente, un Bollettino della Bce e un discorso di Mario Draghi non sono finiti in prima pagina su tutti i giornali e i tg nazionali.
Cosa può aver detto di così pericoloso? Lo scrivevamo ieri:
“le condizioni di inflazione estremamente bassa non si radichino in effetti di secondo impatto sul processo di formazione dei prezzi e salari”. Tradotto: non vi fate tentare dalla golosità di profitto drogato, abbassando ulteriormente i salari, perché – è sottinteso – vi potreste trovare con una dinamica deflazionistica ancora peggiore, con i potenziali “clienti” impossibilitati a comprare.
Eresia, nel panorama mediatico italiano in ginocchio alla corte di Renzi e Marchionne…
Sarà un caso, ma se ne sono accorti soltanto quelli dell’area più massacrata dalla crisi e dalla criminale politica di austerity: il Mezzogiorno.
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Ieri, in conferenza stampa, la Cancelliera Merkel si è rivolta al Presidente Renzi con queste parole ” apprezzo molto i provvedimenti che il premier ha realizzato e sta portando avanti. Sono un contributo all’Europa”. Ma quali sono i provvedimenti cui si riferisce la Merkel? Sostanzialmente due: il Jobs Act e il mantenimento della riforma delle pensioni dell’ex Ministro Fornero. Occorre ricordare una cosa fondamentale: l’Italia ha avviato riforme delle pensioni sempre quando Bruxelles ha chiesto di ridurre i costi del sistema pensionistico. Ac cadde con la riforma dell’allora presidente Dini nel 1995 per ché lo chiedeva il trattato di Maastricht sottoscritto nel 1992.
E’ accaduto nel 20112 durante il Go verno Monti perché lo chiedeva la nuova versione del Patto di Stabilità: infatti le direttive del Six Pack e il Trattato del Fiscal Compact avevano ulteriormente irrigidito il Patto. Oggi Renzi non può as solutamente permettersi di aumentare il debito pubblico: di conseguenza i pensiona menti anticipati saranno approvati solo con una riduzione delle pensioni; nel contempo il Fondo per lo Sviluppo e Coesione per il Sud è stato tagliato di 17 miliardi.
L’incontro tra Renzi e Merkel è avvenuto dopo tre passaggi importanti: 1) il 26 aprile, Weidmann, il presidente della Bundesbank (la Banca Centrale tedesca), ha criticato il Ministro dell’Economia Padoan per il suo eccessivo ottimismo sul calo del debito ita liano rispetto al nostro Pil); 2) il 3 maggio la Commissione Europea ha diffuso le sue pre visioni di primavera: la crescita del Pil italiano per il 2016 è stata ridotta dall’1,4 all’1,1%; 3) ieri il Bollettino della Banca Cen trale Europea presieduta da Mario Draghi ha ammonito sui rischi di bassa inflazione per l’area Euro. Qualora le previsioni della Bce di una bassa inflazione si avverassero, il Rap porto Debito/Pil esploderebbe nel 2017 al 138,5%: è lo stesso Ministro Padoan a scri verlo nel Def.
Ma andiamo per ordine. Se condo il bollettino della Bce l’inflazione com plessiva nell’area dell’euro si è mantenuta attorno allo zero negli ultimi mesi. Tale bas so livello è dovuto all’impatto del tasso di variazione sui dodici mesi fortemente ne gativo dei prezzi dei beni energetici. Insom ma il ribasso del prezzo del petrolio causa deflazione. «Al tempo stesso, gran parte delle misure dell’inflazione di fondo non mostra una chiara tendenza al rialzo. Le spinte in terne sui prezzi rimangono moderate». E così, «le misure delle aspettative di inflazione a lungo termine ricavate dai dati di mercato» si sono stabilizzate su livelli bassi; cosa an cora più grave, le aspettative per l’inflazione «rimangono sostanzialmente inferiori a quelle basate sulle indagini».
Concretamen te, la crisi permane, i cittadini hanno pochi soldi in tasca e non spendono, quindi i prezzi rimangono fermi. Non solo, la stagnazione economica è così forte che la Bce ritiene «probabile che il tasso d’inflazione si collochi su valori lievemente negativi nei prossimi mesi». Risalirebbe lentamente solo negli ul timi mesi del 2016.
Ora occorre rilevare pragmaticamente un fatto: Mario Draghi ha aumentato da 60 a 80 miliardi di euro al mese il suo programma di acquisto di titoli pubblici e privati, il Quan titative Easing (Qe): ha dovuto farlo perché il Qe finora ha tenuto basso il cambio Eu ro/Dollaro ma non ha fatto ripartire l’economia (e nemmeno i prezzi).
Ma cosa succede se l’inflazione rimane bassa? Purtroppo il ministro Padoan lo prevede nella prima se zione del Def ipotizzando tre differenti si mulazioni pessimistiche sull’aumento del rapporto Debito/Pil nel caso di inflazione inferiore al 2%. In caso di fallimento del Quantitative Easing di Draghi il rapporto Debito/Pil avrebbe una sorta di esplosione: nel 2016 salirebbe al 135,3%, nel 2017 al 138,4%, nel 2018 arriverebbe al 140,2%, nel 2027 raggiungerebbe il 144,8%. In caso di decoupling (disaccoppiamento tra deflazione e politiche strutturali) vi sarebbe comunque un aumento del rapporto Debito/Pil: nel 2016 salirebbe al 135,3%, nel 2017 al 138,5% e nel 2018 giungerebbe al 140,6%.
Vediamo come varierebbe l’andamento del rapporto in caso di bassa crescita: nel 2016 salirebbe al 133,8%, nel 2017 al 134,4%; dal 2018 inizierebbe a calare al 133,6%: ma solo nel 2027 arriverebbe
al 117,7 %. Ma il problema è il seguente: poiché il Bollettino di Mario Draghi ipotizza uno scenario di bassa inflazione per i pros simi anni, si verifica proprio quella condi zione che, secondo Padoan, farebbe esplodere il rapporto Debito/Pil al 138,5% nel 2017.
In conclusione, se Weidmann avesse letto il Def avrebbe concluso che il Ministro Padoan non è assolutamente ottimista sul calo del nostro debito.
Rimane una perplessità a margine delle previsioni della Commissione Europea. Da un lato Bruxelles ci bacchetta e riduce le nostre ipotesi di crescita. Dall’altro lato, nel Country Report (la Relazione Paese) sull’Italia, Bruxelles ammette che nel 20112013, la «politica di bilancio restrittiva» ha aggravato «l’impatto della crisi». Ma se il Fiscal Com pact impone una tassazione alta e impedisce di indebitarci per investire, forse, è la causa della nostra recessione.
da La Gazzetta del Mezzogiorno
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