La gara presidenziale americana assume contorni sempre più definiti: da un lato Trump, che ha sbaragliato i contendenti, malgrado l’apparato Repubblicano abbia speso fino all’ultima goccia di energia (e di milioni, inutilmente bruciati in tambureggianti campagne negative contro il magnate populista) per sbarrargli la strada, dall’altro lato la Clinton che prevarrà quasi certamente su un Bernie Sanders assai più amato dalla base Democratica e dagli indipendenti, ma impossibilitato a sfuggire alla trappola di dispositivi e regole elettorali appositamente studiati per imporre la volontà dei vertici del partito (e delle lobby che lo foraggiano).
Questa contesa si prospetta come uno scontro fra un outsider sempre più isolato e una grande coalizione fra Democratici “istituzionali”, Repubblicani decisi a espellere il corpo estraneo che si è insinuato nelle loro fila, Democratici di sinistra e indipendenti rassegnati a votare la Clinton come il minore dei mali (scelta che lo stesso Sanders, salvo sorprese, finirà per appoggiare). Ma gli eventi imboccheranno davvero una via così semplice e lineare? E soprattutto: siamo sicuri che l’ascesa al potere di un nuovo membro della dinastia Clinton sarebbe il minore dei mali?
Per tentare una risposta, partiamo dagli argomenti con cui la stampa americana (ma anche quasi tutta la stampa occidentale, schierata contro il pericolo populista) spiega ai lettori che una vittoria di Trump “sarebbe un disastro sia per i Repubblicani che per l’America”. A finire sotto accusa sono in primo luogo le idee razziste, sessiste e omofobe di Trump? Ebbene no. Benché questi temi siano ovviamente ricorrenti, l’attenzione si focalizza con più decisione su economia e politica estera.
Nell’appena citato articolo dell’Economist, per esempio, il “disastro” paventato consiste nel fatto che Trump: 1) per difendere gli interessi dei colletti blu massacrati dal processo di globalizzazione e finanziarizzazione dell’economia, promette di stoppare gli accordi internazionali di libero scambio e costringere le multinazionali a tornare e a investire in patria, sotto minaccia di pesanti sanzioni; 2) propone di reintrodurre dazi a protezione dell’economia nazionale; 3) promette di imporre regole più stringenti a Wall Street, per impedire che si ripetano i disastri del 2008 e che i cittadini siano chiamati a pagarne i danni al posto delle banche che li hanno provocati; 4) parla di ridurre l’impegno militare degli Stati Uniti all’estero, arrivando addirittura a prospettare lo smantellamento della NATO, considerata un anacronismo dopo il crollo del Muro.
Carlo Formenti
da http://temi.repubblica.it/micromega-online/e-se-la-clinton-non-fosse-meglio-di-trump
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Vincenzo
Mister Trump-etta non lo si conosce affatto, anche se in molti affermano che è un uomo pericoloso, (come tutti i repubblicani americanioti d’altronde).
Ma la signora Clinton (della quale dovremo ancora conoscere i suoi gusti in merito al boy che troveremo sotto la sua scrivania) ha già confermato di essere una donna falsamente democratica e molto “amica” del potere finanziario americaniota costituito dalle banche mondiali.
Sicché, inaffidabile per il ruolo che richiede la nomina del presidente di uno stato che ha dimostrato la sua pericolosità in tutto lo scacchiere medio-orientale ed oggi preoccupato per la perdita della sua leadership in campo economico e mondiale a seguito della espansione territoriale del BRICS.
Da non dimenticare, tra l’altro, la sua esultanza quando apprese la notizia dell’uccisione di Gheddafi.
Ella era preoccupata, non tanto del potere che codesto rais esercitava nell’ambito del nord africa e che stava programmando l’apertura di una banca etica musulmana in Africa, quanto della impossibilità che le banche che ella rappresentava (per esempio il FMI), non potevano insediarsi nello scacchiere medio orientale sin tanto che Gheddafi fosse stato in vita.
Mic
Che la Clinton non sarebbe meglio di Trump è poco ma è sicuro.
Per farsi un’idea di come sarebbe una presidenza Clinton, consiglio il recente libro “Hillary Clinton Regina del Caos” di Diana Johnstone, edito da Zambon.