«Il signor Hood era un galantuomo», cantava Francesco De Gregori nella sua canzone dedicata a «M. con autonomia». M. era Marco, anzi Giacinto detto Marco. Pannella di cognome, Radicale di professione.
Nato a Teramo il 2 maggio del 1930 è morto a Roma il 19 maggio del 2016. In mezzo a queste due date ne sono successe di cose. Amato e odiato, esaltato e vilipeso, eroe di guerra in tempo di pace e mostro di pace in tempi di guerra. Difficile da inquadrare, la fotografia viene mossa, per forza di cose. Atlantista e filoamericano convinto, filoisraeliano per vocazione, a favore della guerra in Yugoslavia e di tanti altri conflitti (quasi sempre dalla parte sbagliata), liberista fino all’ultimo secondo, berlusconiano a-tratti-ma-anche-no, disposto a vendere l’anima ogni volta che gli è servito.
Con i compagni ha sempre avuto un rapporto complicato: respinto durante un corteo per le legalizzazione, l’ex deputato di Rifondazione Maurizio Acerbo lo ricorda con un aneddoto che vale da solo più di un ritratto. «L’estate scorsa avevamo lanciato un presidio notturno contro lo sgombero del mercatino dei senegalesi a Pescara. Mi arrivò la telefonata di Marco Pannella da Roma: “compagno comunista se ti fa piacere avrai al tuo fianco un vecchio compagno radicale. A che ora devo essere lì a Pescara?”. Gli risposi che l’appuntamento era per le 4 del mattino. Mi rispose:”Sarò lì puntualissimo”. Poi alle 23 il Comune fece marcia indietro e cominciammo ad avvisare i compagni che non c’era bisogno di svegliarsi. Fortunatamente riuscimmo a avvisare anche Marco che altrimenti si sarebbe ritrovato solo sull’area di risulta all’alba».
Marco Pannella è stato tanta roba. Alfiere dei diritti civili quando parlarne era un reato, uomo disposto a non mangiare e non bere per farsi ascoltare (che poi davvero non mangiava e non beveva? Boh, è importante?), sostenitore della «giustizia giusta» e dello «Stato di diritto» contro la «ragion di Stato», socialista, laico, clericale, liberale, ecologista, federalista, europeista e tanto altro ancora. Servirebbe un elenco del telefono per dire tutte le cose che Pannella è stato, con convinzione e devozione, con una foga difficile da eguagliare. Spiazzando sempre tutti, in fin dei conti. «Io non credo nelle ideologie – disse una volta in un’intervista –, non credevo nelle ideologie codificate e affidate ai volumi rilegati e alle biblioteche e agli archivi. Non credo nelle ideologie chiuse, da scartare e usare come un pacco che si ritira nell’ufficio postale. L’ideologia te la fai tu, con quello che ti capita, anche a caso. Io posso essermela fatta anche sul catechismo che mi facevano imparare a scuola, e che per forza di cose poneva dei problemi, per forza di cose io ero portato a contestare».
Memorabili i suoi scazzi con il direttore di Radio Radicale Massimo Bordin: le loro conversazioni domenicali nel tempo sono diventate una specie di fenomeno stracult, tra discorsi ai limiti del comprensibile, subordinate aperte e mai chiuse, appelli, contrappelli, litigi, bisbigli, sospiri, sigari e sigarette. La sua eredità è difficile da inquadrare prima ancora che da gestire. Chi è stato Marco Pannella? Un contestatore? Sicuramente. Ma anche un politico scaltro, uno che dovevi inseguire e che non si faceva mai prendere, un padre padrone per il suo movimento e i suoi militanti, un leader politico che ha fagocitato quasi tutti i suoi delfini, veri o presunti, costruiti o capitati lì per caso. Uno le cui idee potevano essere tutto e il contrario di tutto. Appunto: da amare o da odiare. Destinato per questo a non lasciare indifferenti.
Mario Di Vito
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