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Le convergenze tra sinistra “radicale” e sinistra “liberale” a Roma

La novità dell’esplicitarsi di interessi diversi tra Stati Uniti ed Europa, che apre una crisi di fondo nel blocco del capitalismo occidentale, è un evento storico, ancor prima che politico, le cui conseguenze profonde potranno essere valutate dagli studiosi solo negli anni a venire.

Ma la politica si occupa del presente, anche quando il presente si mostra abbastanza misero, rispetto alla vastita degli orizzonti che i processi storici evocano. Ed è quindi opportuno ragionare sulle conseguenze che i grandi eventi storici hanno sulla politica, anche quand’essa è ridotta al teatrino che ogni giorno si rappresenta sui media, al fine di mistificare i reali processi che si producono e i concreti interessi che li alimentano.

Tale riflessione va ovviamente affrontata per comprendere la rappresentazione attualmente in scena, che in ogni singolo paese dell’Occidente, ci mostra la contrapposizione tra una destra razzista, liberticida, nazionalista, tendenzialmente protezionista, ma meno dichiaratamente guerrafondaia, che guarda a Trump come alleato ed una “sinistra” liberale, che affermando i valori dell’inclusione, delle libertà civili, dell’integrazione sovranazionale europea e del libero mercato, è pronta ad affermare tali valori, con i bombardieri, i missili e i cannoni.

Ma forse è opportuno soffermarsi anche sulle conseguenze che tale rappresentazione ha nei singoli contesti, anche locali e soprattutto sulle scelte e i comportamenti che in quegli ambiti locali vengono assunti da chi vi opera, con particolare attenzione al nostro piccolo mondo, quello che possiamo genericamente definire “sinistra radicale”.

Provo così a svolgere alcune considerazioni sulla “sinistra radicale” romana, e sulle non dichiarate ma evidenti divaricazioni che la attraversano.

Almeno fino a qualche anno fa era possibile individuare una “sinistra radicale” romana, in cui si riconoscevano spezzoni diversi, ma in grado nelle occasioni più significative, di esprimersi almeno in piazza, come un soggetto relativamente unitario.

C’era il mondo dei centri sociali eredi di una storia più che trentennale di protagonismo giovanile, c’erano le varie realtà del sindacalismo di base che mostravano la volontà di resistenza nel mondo del lavoro, c’era un forte movimento per il diritto all’abitare, dove la presenza di lavoratori immigrati era fortemente significativa, c’era poi un’area di opinione che si esprimeva principalmente a livello elettorale, di cui il PRC, prima della nascita di PaP, era la principale espressione.

Il fatto che questo composito, ma significativo mondo, non sia riuscito ad esprimere una comune soggettività politica, rientra nelle occasioni perdute, per ragioni su cui al momento è inutile soffermarsi, anche perché quasi tutti i soggetti che furono protagonisti di quella stagione sono più o meno ridimensionati.

Oggi quel che resta della “sinistra radicale”, oltre ad apparire più debole, sembra anche confuso e diviso nel misurarsi con il nuovo contesto prodotto dalla lacerazione nel fronte del nemico di classe.

Una lacerazione che se da un lato vede il nemico indebolirsi nel contesto della competizione economica e politica a livello globale, vede altresì entrambi i contendenti, destra reazionaria e “sinistra” liberale, condurre in parallelo un attacco alle condizioni delle masse popolari su terreni diversi, anche se in ultima analisi, convergenti.

E di fronte a questi attacchi, diversi ma convergenti, quel che resta della “sinistra radicale” sembra a mio parere divisa sul tema delle “priorità”: un tema la cui soluzione dovrebbe ovviamente tener conto di valutazioni tattiche e strategiche comuni, ma di fronte al quale si evidenziano scelte diverse, spesso condizionate da valutazioni di opportunità più o meno confessabili.

Così di fronte ad una destra fascista al governo, la cui azione si rappresenta principalmente come un attacco alle libertà democratiche e civili, nella negazione dei valori costituzionali e antifascisti, nella rivendicazione di politiche razziste e xenofobe, nella negazione dei diritti delle donne, politiche che di fatto sono vissute come un pericolo reale soprattutto in quei luoghi e in quei settori sociali in cui, un po’ velleitariamente, si è tentato di costruire “pratiche alternative“, accade che si ripresentino suggestioni “frontiste” e di alleanza con la “sinistra” liberale guerrafondaia, nella speranza che un risultato elettorale, possa infine liberarci dei fascisti al governo, del loro Ddl Sicurezza, delle deportazioni di migranti ecc… e magari tutelare l’ultima illusione: vivere da “alternativi” in un mondo sempre peggiore.

Ovviamente in tale ipotesi nemmeno ci si pone il tema di una propria autonoma soggettività politica, delegando alla “sinistra” liberale, magari ammantata di alternativa alla AVS, la propria rappresentanza politica ed elettorale.

E’ una visione per certi versi umanamente comprensibile, che ovviamente dimentica o finge di dimenticare, che in tema di migranti la “sinistra” liberale nulla ha fatto di diverso dalla destra reazionaria, che non si è fatta mai scrupolo di limitare le libertà democratiche, quando esse erano strumento di lotta degli sfruttati, che ha contribuito in modo determinante a sdoganare il fascismo e posto le condizione per l’attacco alla Costituzione e che ovviamente è stata protagonista negli attacchi ai diritti del lavoro e nelle privatizzazioni; ma soprattutto dimentica o finge di dimenticare, che oggi la “sinistra” liberale è la punta di lancia del fronte guerrafondaio, che porta i suoi amici nazisti ucraini e i genocidi sionisti, fin nelle piazze del 25 aprile.

Che tra quanti dimenticano o fingono di dimenticare questi importanti elementi, ci sia anche qualcuno che lo fa non solo per difendere il suo “spazio alternativo” ma anche per garantire il piccolo strapuntino istituzionale e magari anche i piccoli vantaggi paraclientelari, che tali strapuntini possono offrire, è un fatto che attiene alle miserie dell’opportunismo, un male fisiologico di scarsa rilevanza politica, ma fastidioso.

Che spesso tale opportunismo si celi dietro una fraseologia “antagonista” e barricadera e qualche scelta di piazza “militante” è solo la versione da avanspettacolo del “teatrino della politica”, messo in scena da una filodrammatica di paese.

D’altra parte la possibilità di “portare a casa il risultato”, cacciando dal governo le destre fasciste, magari solo per difendere le illusioni sull’Europa democratica, è una suggestione più semplice e “tatticamente” praticabile, che non il misurarsi con il tema vero dell’attuale fase politica, quello del riarmo e della guerra, che definiranno l’Europa del futuro e tutto ciò che ne consegue, e a cui anche le destre reazionarie, al di là delle chiacchiere fatte dall’opposizione, si adattano quando vanno al governo.

In realtà, ancor prima che le libertà civili, di cui poco si cura chi non arriva alla fine del mese, ancor prima della difesa dei migranti, terreno ostico come ben sa chiunque operi in una borgata, al di là di un antifascismo dietro cui spesso si celano gli alleati delle SS ucraine e dei genocidi sionisti, della difesa di una Costituzione, già snaturata dal pareggio in bilancio e dalle subalternità all’UE, è sul terreno della guerra e del riarmo che andrebbe condotta prioritariamente l’opposizione alla destra fascista al governo.

Un terreno questo su cui la destra fascista al governo può perdere i consensi che negli ultimi decenni essa ha ottenuto tra i settori popolari, approfittando dei tradimenti della “sinistra liberale” e dei limiti della “sinistra radicale”.

Ma quello della lotta alla guerra e al riarmo è un terreno “strategico”, che non offre vittorie di Pirro tattiche, che non garantisce piccoli interessi di bottega agli “alternativi a casa loro”, che non si alimenta di qualche “piazzata” a beneficio dei media, che non si soddisfa di identitarismi minoritari, ma richiede visione di lungo e medio periodo, lavoro certosino quotidiano, una nuova capacità di operare nel mondo della comunicazione e soprattutto una capacità di interlocuzione con quel vasto, maggioritario e contraddittorio mondo che la guerra non vuole, che nel riarmo vede solo un’altra depredazione economica condotta dal mondo della finanza, un mondo spurio, “populista”, “sovranista” e forse poco sensibile a temi pur importanti, e che in qualche modo ha trovato espressione contraddittoria anche nella manifestazione del 5 aprile.

E per un simile impegno il soggetto necessario forse non è più una “sinistra radicale” che si muove a casaccio tra linguaggi antagonisti e subalternità alla “sinistra” liberale, ma un soggetto politico comunista, in grado di attraversare la difficile fase che si apre, producendo un accumulo di forza, offrendo una prospettiva ad un mondo giovanile dal futuro fosco, presidiando territori e luoghi di lavoro con il conflitto e l’autorganizzazione mutualistica, selezionando quadri politici e avanguardie sociali in grado di produrre direzione politica.

E infine di re-immaginare una nuova visione di società, contro un capitalismo occidentale ormai in crisi di egemonia, e oltre gli esperimenti di socialismo del ‘900, messi in crisi dalla fase di sviluppo del modo di produzione capitalistico alla fine di quello stesso secolo.

Un lavoro da comunisti, perché di fronte ai grandi eventi storici che stiamo vivendo, solo i comunisti hanno gli strumenti dialettici per interpretarli e cogliere in essi le opportunità che inevitabilmente essi producono. Un lavoro in cui la ricostruzione della soggettività politica diviene l’impegno prioritario; perché senza direzione politica, anche l’impegno più generoso è terreno di coltura per l’opportunismo

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3 Commenti


  • Giancarlo Staffo

    Inutile perdere altri anni a ricorrere certi opportunisti eurocentrici incalliti, andiamo oltre ci sono nuove energie da organizzare, e altre unità sia comuniste che democratiche e contro la guerra in un fronte a, timperialista


  • Pasquale

    Ultimo concetto, di leniniana memoria, tutto da sottoscrivere. La costituzione di un grande partito Comunista, che si ponga come avanguardia e si assuma la responsabilità di guida per costruire dal basso la vera Rivoluzione.


  • Peppe

    un articolo che non fa capire nulla a chi non abiti entro il Grande Raccordo Anulare. che significato ha? dite chiaramente cosa è successo e cosa spinge a questa critica alla sin. rad. romana (presumo ci si riferisca al PRC) altrimenti è poco più che un esercizio di stile.

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