Carlo Calenda rappresenta al meglio la casta renziana. Esperienze manageriali sin dalla prima elementare e un’abilità, superiore a quella di Tarzan sulle liane, nel saltare tra le cordate di potere e da un incarico all’altro. Cosi il nostro è balzato agilmente da Montezemolo a Monti e poi da quest’ultimo a Renzi. Che lo ha nominato all’inizio dell’anno nella Commissione Europea, salvo poi ripensarci dopo pochi mesi e collocarlo al vertice del Ministero dello Sviluppo Economico.
Il nuovo salto di Calenda c’é stato il 10 maggio e già il 13, intervenendo da neo ministro a Bruxelles, il nostro ha subito schierato l’Italia tra gli ultras del TTIP. Mentre il governo francese e tedesco cominciavano ad esprimere dubbi sul micidiale trattato che concederebbe licenza di far tutto alle multinazionali, il nostro si è lamentato del fatto che le opinioni pubbliche ed i parlamenti nazionali abbiano rallentato il negoziato. I popoli a volte contano ancora qualcosa rispetto al mercato, che scandalosa arretratezza!
Ora il ministro chiarisce in una intervista sul Corriere della Sera la sua posizione, che evidentemente è anche quella del governo.
L’Italia, sostiene il ministro, è il paese che più avrebbe da guadagnare dalla piena attuazione del TTIP. Non solo non avremmo più il formaggio Asiago prodotto nel Minnesota, ma le nostre piccole imprese avrebbero la possibilità di sconfiggere la prepotenza e i privilegi delle multinazionali e quella di invadere i mercati del mondo, compresi quelli degli USA. E le preoccupazioni per gli OGM, i diritti sociali e del lavoro, le legislazioni ambientali non avrebbero alcuna ragione d’essere, in quanto queste materie non farebbero parte del negoziato.
Neppure l’addetto stampa di una multinazionale del petrolio oggi sarebbe capace di affermare seriamente un tale concentrato di sciocchezze. Per altro clamorosamente messe alla berlina dalle rivelazioni di GreenPeace sulle clausole segrete dei negoziati. Rivelazioni che, accanto alla crescente mobilitazione della opinione pubblica, hanno convinto diversi governi europei a mettere un freno ai negoziati.
Per altro le affermazioni del ministro risultano ancora più ridicole di fronte a ciò che si è sempre saputo essere il cuore del TTIP, cioè quella clausola di arbitrato che sottrarrebbe gli investimenti esteri alle legislazioni nazionali. Per il ministro Calenda tali clausole sarebbero utilizzabili meglio e con più risultati dalle Formaggerie Prealpine, piuttosto che dalla Monsanto. Neppure quando hanno istituito l’Euro, vantandone tutti i magnifici guadagni che ne avrebbe ricevuto l’Italia, i suoi sostenitori si erano spinti a tanto.
Ma ora c’è il rischio che tutto questo sia messo in discussione, lancia l’allarme Calenda, anche perché negli Stati Uniti le amministrazioni pubbliche intendono continuare a privilegiare le aziende del posto in tutti gli appalti. Ma guarda che strano….
Non comprendiamo se il Corriere della Sera condivida il pensiero del ministro in tutto, o in fondo si vergogni un poco della sua sconclusionata rozzezza. Elogi della globalizzazione come quelli che abbiamo letto nell’intervista, oggi farebbe fatica a farli, almeno senza ridere, persino un manager della Banca Morgan.
Ma ciò che dobbiamo purtroppo ricordare è che l’entusiasta fautore del TTIP, che oggi piange sui rischio che esso non si possa realizzare, non è un venditore di obbligazioni che deve convincere un pensionato a dargli i sui risparmi, ma un ministro della Repubblica che vuole convincere il suo paese a mettere in vendita sé stesso.
Sempre più spesso si afferma che Renzi voglia essere il leader di un moderno partito della nazione, e che a questo fine voglia trasformare il PD e smantellare la Costituzione. Ora Calenda chiarisce che quel partito, se si realizzasse ed avesse successo e noi speriamo di no, sarebbe quello della nazione in vendita.
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