La Turchia saluta nervosamente l’Occidente? L’incontro Putin-Erdogan oggi a San Pietroburgo può apparire, dopo il fallito golpe del 15 luglio e le purghe nelle forze armate, un’altra rottura traumatica con la Turchia kemalista e filoccidentale. Per decenni ci eravamo abituati a ritenere Ankara, con le sue 24 basi Nato, armi nucleari annesse, una sorta di irrinunciabile avamposto dell’Ovest per il contenimento della Russia e dell’Iran.
Le manifestazioni oceaniche di domenica a Istanbul a sostegno di Erdogan potrebbero essere state, se ci fosse davvero un piano strategico, la sanzione popolare della svolta, pena capitale e addio all’Unione compresi.
Ma ancora prima del tentato golpe, Erdogan era stato costretto a correggere il tiro per rimediare a un quinquennio di spericolato avventurismo, per altro avallato dagli Stati Uniti: la Turchia è stata sconfitta nella guerra per abbattere Assad, nonostante l’afflusso dai suoi confini di migliaia di combattenti sull’”autostrada della jihad”. Per correggere il tiro era già stato costretto a riprendere i rapporti con la Russia, interrotti dopo l’abbattimento del caccia Sukhoi, con Israele e l’Iran: insieme a Putin gli ayatollah sono stati i primi a congratularsi calorosamente con lui per lo scampato pericolo.
Mai gli iraniani avrebbero immaginato di vedersi recapitare dall’insipienza altrui un terzo regalo “strategico” dopo l’Afghanistan dei talebani e l’Iraq di Saddam: la Turchia da spina nel fianco può trasformarsi in una controparte malleabile e ora scrutano con attenzione come Mosca saprà manovrare Erdogan.
La questione siriana è centrale: i curdi del Rojava, un magnete anche per l’irredentismo del Kurdistan turco, possono costituire uno stato o un’area a forte autonomia. Erdogan voleva far fuori il regime di Damasco, mettere le mani su Mosul e Aleppo e ora, svanite le velleità espansioniste, si trova un incubo strategico sulla porta di casa: nessuno finora gli ha dato garanzie che non si materializzi.
Sarà Putin il nuovo garante del risiko mediorientale? Se la partnership tra Russia e Turchia fosse davvero strategica ci sarebbe un rivolgimento epocale. È pensabile che la Turchia, portabandiera insieme ai sauditi del fronte sunnita anti-Assad, possa entrate nell’asse sciita della resistenza con Mosca, Teheran, Damasco ed Hezbollah? Una mossa del genere sarebbe in totale contraddizione con la politica estera di Ankara e comporterebbe un divorzio con l’Arabia Saudita. Ma se Erdogan inghiotte l’amaro calice di Assad al potere, può aspirare a chiedere in cambio una “zona cuscinetto” nel Nord della Siria per il contenimento di curdi.
Per suscitare timori in Occidente, Erdogan vorrà far vedere che la Turchia si avvicina alla Russia. Mentre con Usa ed Europa litiga su tutto, dall’estradizione di Fethullah Gulen all’accordo sui migranti, in questo momento a Oriente per il presidente turco tutto appare negoziabile, forse persino il sostegno al gruppo qaedista Al Nusra, appena riciclato come opposizione rispettabile con l’appoggio americano e saudita, lanciato alla controffensiva sul fronte di Aleppo. Putin vorrebbe liberarsene: è una delle carte in mano a Erdogan per trattare.
Ma quali sono le altre contropartite della Turchia? Il golpe ha accelerato un riavvicinamento con la Russia descritta, prima della rottura, come un partner strategico di Ankara. Un anno e mezzo fa, se si fosse realizzato il gasdotto South Stream, l’interscambio bilaterale veniva proiettato intorno ai 100 miliardi di dollari. Ancora oggi la Turchia importa da Mosca circa il 60% del gas. Ed ecco che Erdogan, alla vigilia del meeting, dichiara di essere pronto a realizzare il Turkish Stream, il tratto turco sottomarino del South Stream, assai inviso agli americani protesi a contenere Mosca nei suoi progetti energetici.
In realtà quella tra Putin ed Erdogan appare più un’alleanza di convenienza che una partnership strategica. La Siria sarà la cartina di tornasole di questa “relazione speciale” ma tormentata. E comunque Mosca difficilmente può rimpiazzare i rapporti con Usa, Nato ed Europa: è da questa area che affluiscono in Turchia i tre quarti degli investimenti stranieri diretti e la maggior parte delle tecnologie industriali e militari. Una cosa è certa però: Erdogan apprezza più la diplomazia “muscolare” della Russia dei moniti occidentali sulla democrazia. Chissà se Stati Uniti ed Europa questa volta imparano la lezione.
da IlSole24Ore
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