Ancora oggi, giornata di interrogatori di garanzia, dieci compagni sono rinchiusi nelle carceri di Regina Coeli e Rebibbia per la manifestazione antifascista di sabato scorso a Magliana. La loro liberazione e la difesa nei processi che seguiranno saranno il primo banco di prova di un “movimento” che sabato scorso ha dato la peggiore prova di sé. Non solo dieci compagni, però. Altri cinquanta, arrestati sabato e scarcerati nella mattinata di domenica, si troveranno a gestire processi con gravissime e sconclusionate imputazioni da cui sarà difficilissimo difendersi, visto il clima politico repressivo che indicavamo nel nostro ragionamento di lunedì. Una brutta situazione, che richiede la massima solidarietà e freddezza, ma che non può impedire una riflessione politica sulla giornata. Necessaria, doverosa, per la credibilità nostra e del movimento antifascista romano.
Sabato scorso si è prodotto un disastro politico mai accaduto in queste forme e proporzioni a Roma. Non un errore riducibile alla sola giornata o al solo momento della manifestazione “sfuggita di mano”. Non un errore, o una catena di errori “tecnici”. Quanto, piuttosto, il punto di arrivo di una modalità politica. L’impianto repressivo fuori dal normale messo in campo contro i compagni arrestati è evidente, e su questo dovrebbe avviarsi una riflessione che faccia luce sul cambio di paradigma avvenuto nella Questura romana. Ma non basta affidarsi alla consolante accusa della ferocia repressiva di Forze dell’ordine e Magistratura, in questo caso. Quello di sabato non è “conflitto”. Non è “antifascismo”. Non è “pratica dell’obiettivo”. Non è “scontro con le guardie”.
Quello di sabato è un modus operandi, una visione del mondo, riprodotta altre volte in questi anni, che però calata nella specifica realtà della periferia storica romana ha prodotto danni incalcolabili alla sinistra cittadina. Quello di sabato è riot onanistico di una composizione militante residuale e completamente scollegata da qualsiasi rapporto con la società, che rappresenta solo sé stessa in uno scontro campale tra bande con l’altra fazione. E’ la logica degli opposti estremismi, che la sinistra – tutta – ha sempre rifiutato come lettura borghese dell’antifascismo, ma che da sabato viene legittimata.
Sabato abbiamo giocato agli opposti estremismi, sconfitti politicamente dalla destra, militarmente dalle guardie e socialmente dal quartiere. Un fallimento, e qualsiasi posizione che non prenda atto di tale fallimento è, di fatto, intelligenza col nemico e automaticamente fuori da ogni possibile compatibilità politica con noi e col resto del movimento romano. Non siamo più disponibili a legittimare martirii nichilistici basata su una volontà di (im)potenza che ci sta facendo fare – a tutti – passi indietro storici inenarrabili, in termini di consenso, di internità nei quartieri, di legittimazione politica delle istanze della sinistra di classe, di vera capacità conflittuale. La modalità da riot nordeuropeo, prodotto tipico di una società polverizzata in cui la sinistra non ha più un ruolo nel mondo, non verrà più tollerata, non perchè “sbagliata”, ma perchè frutto e prodotto di un fallimento politico che lascia dietro di sè solo macerie e repressione.
Non veniteci a parlare di “conflitto”. Non c’è bisogno di ricordare che, da queste parti, si è legittimata e difesa politicamente non solo la giornata del 14 dicembre 2010, ma anche – e soprattutto – quella del 15 ottobre 2011 (ricordiamo che per tutte e due le giornate abbiamo pagato e stiamo ancora pagando le conseguenze processuali). Da queste parti, ed eravamo davvero in pochi allora come oggi, si sono legittimati e difesi politicamente gli scontri di corso Buenos Aires a Milano nel 2006 contro l’adunata nazista. Non è la rivolta popolare e/o militante che ci spaventa o da cui dobbiamo prendere le distanze, ma la parodia nichilistica e narcisistica di quella rivolta, l’estetica fine a se stessa, la riduzione della sinistra a scontro manicheo tra “amici di Sel” e i “duri e puri”. Qualche compagno ha scambiato la politica come arena in cui riversare le proprie frustrazioni esistenziali. Noi non siamo più disponibili a tollerare tutto questo.
Cristina, Zoe, Noemi, Cecilia, Alberto, Eddy, Matteo, Flavio, Felice e Riccardo LIBERI! L’antifascismo non si processa.
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