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La ministra Fedeli compia un gesto politico

Questo pomeriggio, attraversando viale Manzoni, a Roma, mi sono imbattuto in vistosi manifesti che ritraevano un primo piano del nuovo ministro per l’Istruzione, e contrapponevano la necessità per gli insegnanti di possedere laurea, abilitazione e superamento di concorso per poter svolgere la professione, alla condizione più discussa dell’attuale titolare del dicastero di viale Trastevere.

Quel manifesto confonde terreni molto diversi, e propone un argomento polemico sostanzialmente sbagliato. L’insegnante svolge una professione che esige delle competenze tecniche e specialistiche, mentre il ruolo di ministro è un ruolo politico. Questo significa che è aperto a tutto l’elettorato attivo e passivo. Per esprimere posizioni politiche e dare una linea alla gestione della cosa pubblica non occorre alcun titolo di studio specifico. Certo poi ci sono i tecnici di supporto, ma l’indirizzo politico deve rimanere espressione di interessi e istanze democratiche, per cui nulla vieta che un manovale possa rappresentare meglio di un dottore di ricerca le necessità progressiste e civili di una collettività. La deriva tecnocratica non concerne soltanto i sistemi di governo, ma è in primo luogo una struttura culturale.

Il ministero dell’Istruzione governa un settore intimamente connesso a problematiche economico-sociali, oltre che educative e scientifiche. Le politiche dell’istruzione attraversano temi come il diritto allo studio, le opportunità individuali e collettive, la trasmissione della memoria e l’amministrazione di un’ampia comunità di dipendenti pubblici. Perché mai un laureato dovrebbe garantirne una gestione più saggia o meglio orientata? Quando fu nominato un governo di professori universitari, personalmente ho tremato. E con ragione.

L’idea che il titolo di studio sia garanzia di competenza politica è una sciocchezza. È una superstizione tecnocratica in cui forse pure la ministra Fedeli è scivolata, attraverso quella gestione contorta del proprio curriculum. Ecco, semmai la principale criticità nella sua auto-presentazione sta proprio nell’aver in qualche modo cercato di arricchire la propria storia personale con una qualifica accademica non compiuta.

Ma se la ministra Fedeli è espressione di un approccio squisitamente politico ai temi dell’istruzione, in virtù del suo passato da sindacalista credo che dovrebbe saper cogliere la necessità di esprimere subito questa sua qualità con atti chiari e concreti.

Forse il suo primo gesto politico dovrebbe essere quello di un decreto ministeriale che vada a disinnescare quanto prima una mina collocata nel mondo della scuola dal precedente esecutivo. Mi riferisco al bonus per la premiazione del merito dei docenti. La ministra non può ignorare che quel grottesco gettone rischia soltanto di erodere la già flebile capacità collaborativa dei dipendenti della scuola. In questi giorni, dopo l’erogazione di una quota – assai poco significativa in termini economici – del bonus 2016, in molte scuole si stanno manifestando plasticamente drammatiche scene di malcontento, invidie, irrisioni, assurdi confronti tra chi ha lavorato di più o di meno, meglio o peggio degli altri. Troppo difficile individuare criteri oggettivi di assegnazione, tali da apparire condivisibili da tutti i soggetti interessati.

Questo è quel che accade nel migliore dei casi. In qualche circostanza, mi dicono, alcuni dirigenti hanno utilizzato il bonus come strumento di premiazione rispetto alla mera condivisione degli obiettivi della presidenza.

Una vera ferita in un corpo dello Stato, che oltre a umiliare i lavoratori e le lavoratrici, infiacchisce la dignità, e forse anche il corretto funzionamento, dell’istituzione scolastica.

In alcune scuole i docenti hanno rinunciato al bonus, ma anche questo è sbagliato. Al salario non si deve mai rinunciare, e quel bonus va trasformato in aumento salariale.

Dunque: un gesto politico chiaro, univoco e significativo, da parte della ministra, potrebbe essere l’immediato dirottamento dei fondi per la premialità in un incremento, magari potenziato, degli aumenti salariali per tutti i docenti, che permangono in una situazione di grave sofferenza, a causa dei forti ritardi nei rinnovi contrattuali.

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5 Commenti


  • Andrea Bongiovanni

    Assolutamente d'accordo su tutto. Aggiungerei anche l'eliminazione dell'obbligatorietà dell'alternanza scuola-lavoro nei licei, che ha come effetto nel migliore dei casi la sottrazione di ore utili alla formazione degli studenti e lo sperpero di risorse pubbliche a beneficio delle aziende che vi lucrano, nel peggiore lo sfruttamento di forza lavoro a salario zero.


  • roberto

    "Quel manifesto confonde terreni molto diversi, e propone un argomento polemico sostanzialmente sbagliato", sacrosanto.

    ma anche non chiedere le dimissioni della ministra, riducendo la questione nei termini di "laurea e non laurea" è completamente sbagliato.

    perché la vergogna che non deve passare sotto silenzio è che un ministro della repubblica (se pure di "questa" repubblica) menta squallidamente nel proprio curriculum dimostrando la propria statura lillipuziana, quando qualunque lavoratore pagato a voucher che avesse mentito su una precedente esperienza professionale, una volta sbugiardato, sarebbe stato preso a calci dal suo datore di lavoro.

    qualche tempo fa, ricordo che un ministro della tanto vituperata germania, si sia dovuto dimettere sol perché si scoprì che una parte della sua tesi di laurea (vera) fu ricopiata da un testo.

    e qui siamo a chiedere un gesto politico a 'sta miserabile?


  • Giuseppe Pipino

    Assolutamente in disaccordo. Sono un insegnante in pensione con 35 anni di insegnamento alle spalle e ho ben chiara la differenza di indirizzo impressa alla scuola quando il ministro è stato un eminente cattedratico, dotato oltre che di titoli anche di indiscusso prestigio oltre che di irreprensibile onestà e moralità, come Luigi Berlinguer o Tullio De Mauro, da quelli impresse da mezze calzette ignoranti e telepilotate dal leader, come Mariastella Gelmini (quella del tunnel dei neutrini!). Essere Ministro della Pubblica Istruzione è il ruolo più importante che un politico possa assumere, perchè dall'istruzione, dalla università e ricerca, dipende il futuro della nazione. Sono una gioventù adeguatamente istruita sui propri diritti/doveri, educata ad una civile convivenza, istruita sull'importanza del rispetto della salute e dell'ambiente, al corrente degli sviluppi scientifici e tecnologici, adeguatamente indirizzata a realizzare se stessa nel lavoro più congeniale alle proprie capacità ed attitudini, più mantenere il Paese in grado di competere coi paesi industriali a tecnologia avanzata,    e di non scivolare viceversa verso il terzo mondo.
    Tutto ciò richiede capacità e competenze che solo una personalità straordinaria può possedere.
    E, se tali capacità ci fossero state, in Valeria Fedeli, ce ne saremmo già accorti. Al di là della sua ben sviluppata capacità di mentire.


  • Eros Barone

    La composizione del governo Renziloni (per tacere della sua genesi extra-elettorale che lo accomuna ai tre precedenti governi) è una continua fonte di stupore per i cittadini di questa repubblica. Che dire infatti del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Valeria Fedeli, la quale, arrivata a farne parte (non si sa in virtù di quale selezione o cooptazione), non si è peritata, nel rendere noto sulla Rete il proprio curriculum, di attribuirsi una laurea in scienze sociali, laurea che, dopo opportuni controlli, è risultata essere un semplice diploma triennale? Orbene, il fatto scandaloso non è che il ministro sia una maestra di scuola materna, distaccatasi da questa rispettabile attività per intraprendere una carriera sindacale che l’ha portata anche alla guida di un sindacato dei lavoratori tessili (e noi che, come seguaci di Lenin, sosteniamo la validità della celebre direttiva del grande rivoluzionario russo secondo cui anche una cuoca, in una società comunista, potrà dirigere lo Stato, siamo gli ultimi a sollevare obiezioni sulla provenienza lavorativa della Fedeli); il fatto scandaloso, si diceva, è semmai che questa signora, per una sorta di ‘pruderie’ ideologica di chiara impronta piccolo-borghese, abbia falsificato una dichiarazione pubblica così rilevante per un neo-ministro, come quella inerente ai propri titoli di studio, per tentare di accreditarsi al vertice di un dicastero che, senza richiamare antecedenti illustri come Croce (anche lui senza laurea, ma anche senza il relativo complesso…) e Gentile, ha avuto tra i suoi titolari, per limitarci agli ultimi anni, uomini come Luigi Berlinguer e Tullio Di Mauro.
    In effetti, che un dicastero così prestigioso fosse scivolato su un piano discendente era apparso chiaro sin dai tempi della Moratti e della Gelmini, l’una uscita dalle file dell’algido mondo dei manager e l’altra segnalàtasi, quando era già ministro, per la sua catabasi meridionale in quel di Reggio Calabria al fine di sostenervi l’esame di abilitazione all’avvocatura. Del resto, è vero che, come recita il proverbio, il peggio non è mai morto; tuttavia, mai ci saremmo immaginati di avere alla Minerva una persona che mentisce nel dichiarare i propri titoli di studio (la Fedeli, tra l’altro, non ha mai sostenuto alcun esame di maturità, pur dovendo come ministro sovraintendere alla preparazione, allo svolgimento e alla valutazione di questo tipo di prova). Sennonché basta dare un’occhiata agli altri ministri (dall’impagabile Lotti all’inossidabile Padoan, dall’ilare Del Rio all’efebico Orlando, il quale, pur essendo ministro della Giustizia senza laurea in giurisprudenza, si è astenuto dal truccare le carte, senza tralasciare Etruria Boschi, riciclata dopo la cocente sconfitta referendaria come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio) per rendersi conto che molto probabilmente, all’origine della catena decisionale che, passando da Mattarella a Renzi (ma sempre sotto la superciliosa vigilanza della ‘troika’ UE-BCE-FMI), ha prodotto il Renziloni, questo aborto di governo-fotocopia, ebbene all’origine della suddetta catena vi deve essere stata la consulenza di Crozza. Ma di ciò non è il caso di stupirsi, poiché, come ebbe a dire Antonio Labriola quando il trasformismo celebrava la sua stagione inaugurale, l’Italia è il paese della tragedia che fa ridere e della commedia che fa piangere. Il numero, veramente sproporzionato, dei comici e dei vignettisti che affollano non solo le redazioni dei giornali e della tivù, ma anche il “teatrino della politica”, è lì a dimostrarlo.


  • Carlo

    Appunto. La riforma Berlinguer mi pare avesse un distinto carattere classista, introduceva sistema dei crediti, e con l'autonomia ha innescato il processo della concorrenza tra scuole. Tralascio ogni considerazione sul "concorsone". Quell'esperienza mi pare un esempio lampante di come il prestigio accademico non abbia nulla a che fare con le politiche a sostegno del diritto allo studio (che in quegli anni fu gradualmente demolito) né con quelle di qualificazione del lavoro. Nessun pregiudizio nei confronti dei professori universitari, ma il prestigio internazionale non ha reso la ministra Fornero una speranza per milioni di lavoratori, lavoratrici e pensionati.

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