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Tra origini e sviluppi della crisi siriana

Mentre la maggior parte dei mezzi di informazione statunitensi ed europei ripete a pappagallo che il nostro supporto militare all’insurrezione siriana è puramente umanitario, in molti vedono l’attuale crisi come una nuova guerra per procura, in cui giocatori esterni si combattono indirettamente per interessi geopolitici ed energetici [1]. Sarebbe giusto analizzare gli abbondanti elementi a supporto di questa chiave di lettura.

Di fatto le tensioni contro il presidente siriano Bashar Assad non sarebbero iniziate con le proteste pacifiche della Primavera Araba del 2011, ma diversi anni prima.

Per sottolineare i forti e differenti interessi regionali, si consideri ad esempio che nell’agosto del 2009, l’emiro del Qatar e il presidente della Turchia iniziarono ad avviare ad Istanbul dei negoziati per la costruzione di un gasdotto strategico che, partendo dal Qatar e attraversando il Medio Oriente, avrebbe dovuto raggiungere la Turchia e da lì l’Europa [2] [3]. Il Qatar infatti condivide con l’Iran il giacimento del Sud Pars/Nord Dome, il più grande “deposito” di gas naturale del pianeta. Ma può far giungere il suo gas in Europa solo attraverso la liquefazione e il trasporto via nave; col gasdotto proposto avrebbe invece raggiunto il mercato europeo dell’energia più facilmente (abbattendo tempi e costi) attraverso terminali di distribuzione in Turchia (che a sua volta avrebbe messo in tasca ricche tasse di transito) [1].

Un simile progetto avrebbe rafforzato i regni sunniti del Golfo Persico, a cominciare ovviamente dal Qatar, uno dei più stretti alleati arabi degli Stati Uniti, il quale ospita due delle principali basi militari americane e il quartier generale dell’esercito Usa in Medio Oriente [1]. Anche l’Unione Europea, che acquista circa il 30% del gas che utilizza dalla Russia, ne avrebbe tratto vantaggio. Così come la Turchia, tra i principali acquirenti di gas russo, che si sarebbe ritrovata in una posizione geografica ed economica più privilegiata [1].

D’altro canto, la Russia vedeva questo progetto come una forte minaccia ai propri interessi economici all’interno del mercato europeo [4]. In ogni caso il gasdotto avrebbe dovuto attraversare necessariamente la Siria o l’Iraq (se non entrambi).

Questo progetto sembrò venir bypassato già nell’agosto 2010, quando il ministro siriano Sufian Allaw andò a Teheran per iniziare a discutere di un altro gasdotto che, partendo dall’Iran, avrebbe raggiunto l’Europa attraversando il territorio siriano; nel gennaio 2011 fu firmato un accordo in proposito [5]. E a luglio dello stesso anno fu sottoscritto un memorandum per il gasdotto dai ministri di Siria, Iran e pure Iraq, dal valore progettuale stimato di circa 10 miliardi di dollari [6]. Questo progetto avrebbe reso l’Iran sciita, e non il Qatar sunnita, il principale fornitore mediorientale di gas nel mercato energetico europeo [1].

Si può affermare che appaiono fin d’ora chiari i forti interessi contrapposti, benché alcuni “giocatori” coinvolti debbano ancora essere citati. E’ opportuno a questo punto notare la presenza dei due storici blocchi rivali mediorientali: quello iraniano-russo e quello saudita-statunitense; i due Stati del Medio Oriente sono avversari che si contendono da decenni la leadership nel mondo islamico, e sono uno sciita (l’Iran), l’altro sunnita (l’Arabia Saudita). Inoltre mentre l’Arabia Saudita ha una tradizione di forti legami commerciali (armi e petrolio prima di tutto [7]) con Stati Uniti, Inghilterra e Francia, invece l’Iran è in ottimi rapporti economici con la Russia (e la Cina) sin dai tempi della rivoluzione iraniana del 1979 (e apparirebbe superfluo ricordare le ostilità nei confronti degli Stati Uniti).

Il Qatar, anch’esso sunnita, come detto ospita le principali basi militari statunitensi del Medio Oriente, e volendo restare in tema di armi, nel 2014 ha firmato un accordo con gli Usa per l’acquisto di attrezzature da guerra del valore di 11 miliardi di dollari [8]. La Siria invece ospita l’unica flotta navale russa del Mediterraneo [9], attiva sin dai tempi della Guerra Fredda; non a caso la Russia ha recentemente dichiarato di volerla potenziare [9], ed è pure il principale fornitore d’armi della Siria.

In merito alla situazione politica siriana, va tenuto presente che la famiglia di Assad è alawita, una branca sciita. Ma il suo regime era laico, e la Siria, oltre che stabile, era piuttosto multiculturale. Si pensi infatti che dal punto di vista religioso (prima della guerra) la maggior parte della popolazione (il 75%) era sunnita, il 12% alawita e circa il 10% cristiana [10], ma la maggior parte dei comandanti dell’esercito era alawita. L’inclinazione alla violenza da parte del governo siriano, prima della guerra civile, era piuttosto moderata se comparata a quella di altri stati del Medio Oriente (a cominciare dall’Arabia Saudita, ambiguo alleato dell’Occidente). Il giornalista del New Yorker, Seymour Hersh, aggiungeva in proposito che in Siria “di certo non venivano tagliate le teste ogni mercoledì, come fanno i sauditi a La Mecca” [1]. Le manifestazioni pacifiche della Primavera Araba del 2011 inoltre coinvolsero la Siria così come gli altri paesi del Medio Oriente (a cominciare dall’Arabia Saudita, la quale represse le proteste col sangue, nella quasi totale indifferenza occidentale [11]).

A questo punto va rilevato che email e report, trovati da WikiLeaks e non solo [12] [13], evidenziano come le agenzie di intelligence di Stati Uniti, Arabia Saudita, Israele e altri, fossero già intenzionate almeno dal 2006 ad indebolire il governo di Assad, rifornendo i suoi oppositori, per cercare quantomeno di renderlo più mansueto nei loro confronti [13]. Roland Dumas, ex ministro degli esteri francese, dichiarò inoltre in un’intervista televisiva che nel 2009 alti ufficiali inglesi gli avevano detto che il loro governo stava già pianificando operazioni di copertura con uomini armati in Siria. Ed email recuperate da WikiLeaks mostrano come nel 2011, durante la Primavera Araba, fosse già in atto un’operazione segreta delle forze inglesi e statunitensi per armare le opposizioni siriane [14]. Julian Assange ha inoltre dichiarato che documenti provenienti dai ministri sauditi, trapelati attraverso WikiLeaks (di cui è il fondatore), mostrano come nel 2012 Arabia Saudita, Qatar e Turchia fossero d’accordo per rovesciare il governo siriano di Assad [15].

Dopo il secondo veto di Russia e Cina nei confronti di una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (febbraio 2012) in cui si sarebbe voluto sanzionare il regime siriano di Assad per l’uso eccessivo della violenza nei confronti dei civili, alcune potenze in gioco decisero di dar vita alla “Coalizione degli amici della Siria” (non a caso tra gli 11 membri effettivi vi erano Stati Uniti, Arabia Saudita, Qatar, Turchia, Inghilterra e Francia) [16]. Queste potenze offrirono nello stesso periodo la supervisione alla creazione di un esercito ribelle di riferimento (l’Esercito Siriano Libero), la produzione di un’interfaccia politica di questo esercito (la Coalizione Nazionale Siriana, o Cns) e una macchina propagandistica (l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, espressione della Cns e finanziato e ospitato dall’Inghilterra) [17].

Le petromonarchie sunnite avrebbero però voluto un maggiore coinvolgimento in campo degli Stati Uniti. Ad esempio, il 4 settembre 2013, il Segretario di Stato John Kerry dichiarava in una seduta del Congresso statunitense che i regni sunniti avevano “offerto di pagare il conto se gli USA avessero invaso la Siria per cacciare Bashar Assad” [18] (come già avvenuto in Iraq con Saddam Hussein).

A questo punto è necessario tenere presente che la lotta armata iniziata nel 2011, benché connessa con la rivolta che l’ha preceduta, non è ad essa storicamente sovrapponibile, ed ha avuto bisogno, per sua stessa natura, di una pianificazione, un’organizzazione e un equipaggiamento che la popolazione civile non sarebbe stata in grado di procurarsi [17].

Come previsto da molti, la dura reazione di Assad ad una crisi legata ad interessi stranieri, pur di non lasciare il potere – il lancio di barili bomba nelle roccaforti dei ribelli così come le (almeno) decine di migliaia di vittime civili causate anche dall’esercito governativo, come sottolineato pure da analisti indipendenti quali Robert Fisk e Noam Chomsky [19] [20]– accentuò la crisi e permise ai politici occidentali di “vendere all’opinione pubblica” l’idea che si trattasse di un dramma il cui evolversi fosse legato a ragioni umanitarie (invece che una lotta esterna per lo sfruttamento delle risorse e il cambio dei giochi di forza in Medio Oriente). In tutto ciò, il “mito” dell’Esercito Siriano Libero come forza di opposizione non era destinato a durare nella realtà dei fatti. Invero la dissoluzione, dopo i primi tempi, di una struttura centrale ha portato alla nascita di centinaia di milizie indipendenti, molte delle quali comandate da, o alleate a, militanti jihadisti che erano i più impegnati ed efficaci [1], come riportato nel 2013 anche dalla NBC [21]. E nel novembre 2014 lo stesso Robert Fisk dichiarava presso la ABCnews24 a proposito dell’Esercito Siriano Libero: “Penso sia un mito che in realtà non esiste” [22].

A ciò si aggiunga che il dramma di Aleppo Est degli ultimi mesi è stato raccontato dalla maggior parte dei media occidentali in modo distorto, dipingendo quella parte della città contro cui combattevano le truppe governative quasi come un luogo fino ad allora felicemente occupato dai ribelli “moderati”, mentre sempre più report, soprattutto ora che l’assedio è finito, narrano quella che è stata per anni la terribile realtà di una taciuta occupazione jihadista (consiglio, tra gli altri, l’articolo dei primi di gennaio di Fulvio Scaglione sull’argomento [23]). A criticare ulteriormente questa narrazione spesso distorta è stato anche l’arcivescovo cattolico maronita di Aleppo, che i primi di ottobre del 2016 alla Commissione Esteri del Senato italiano ha dichiarato: “Non vedo Assad come il diavolo. In Siria prima stavamo bene, era un mosaico vivibile, con un islam moderato e aperto. […] Papa Francesco ha individuato bene il problema: in Siria non ci sono né una rivoluzione né una guerra civile. C’è la terza guerra mondiale per procura” [24].

Una prova, forse la più significativa, di questa trama già tessuta, è mostrata da un documento della Defence Intelligence Agency degli Stati Uniti risalente all’Agosto 2012 (cioè due anni prima che l’ISIS venisse fuori), e reso pubblico grazie al gruppo Judicial Watch nel maggio 2015 [25], in cui veniva riportato testualmente che “i Salafiti [sic!], i Fratelli Musulmani e AQI [al Qaeda in Iraq] sono le maggiori forze che guidano la rivolta in Siria” [25]. Il documento notava come l’insurrezione fosse divenuta una guerra civile settaria supportata da “potenze religiose e politiche” sunnite. Il report dipingeva il conflitto siriano come una guerra mondiale per il controllo delle risorse, con “l’Occidente, i Paesi del Golfo e la Turchia a supportare le opposizioni [contro Assad], mentre Russia, Cina e Iran a supportare il regime”. Inoltre, veniva aggiunto che “se la situazione peggiora, c’è la possibilità che si stabilisca un dichiarato o non dichiarato principato salafita nella Siria orientale, e questo è ciò che vogliono le potenze che stanno supportando le opposizioni per isolare il regime siriano”. Il report avvertiva pure che questo principato avrebbe potuto “dichiarare uno Stato Islamico attraverso la sua unione con altre organizzazioni terroristiche in Iraq e Siria” [25]. Il memorandum comprendeva con AQI sia al-Nusra che l’ISIS. Cioè gli Stati Uniti sapevano già allora che i loro principali alleati della zona erano jihadisti radicali, parte dei quali avrebbero voluto anche creare un Califfato Islamico sunnita nelle regioni di Siria e Iraq. Come è poi avvenuto. Si può ben dire che la guerra è atroce, le menzogne la peggiorano.

Si arrivò così al 2014, quando l’ISIS fece inorridire l’opinione pubblica mondiale con attentati e decapitazioni degli ostaggi occidentali, mentre dalla Siria continuava la fuga di milioni di persone, dirette anche in Europa. La stessa Casa Bianca cominciò a parlar di meno della deposizione di Assad e di più della stabilità regionale [1]. Anche se il dramma della Siria è continuato. Va sottolineato comunque che la questione dei gasdotti sia da intendere come “uno degli elementi” legati a questa crisi, non l’unico; altri sono stati qui al più accennati.

In ogni caso, ciò che notano in tanti è che (oltre a donne, bambini e anziani) anche molti dei possibili combattenti moderati stanno scappando in Europa da una guerra che non è più la loro guerra, sempre che lo sia mai stata. Vogliono semplicemente fuggire da quello che è un Risiko per il dominio delle risorse del Medio Oriente. E non possiamo di certo biasimare la gente che non accetta di prendere parte ad un progetto legato ad interessi geopolitici esterni.

A questo punto vorrei aggiungere poco altro. Come avranno notato in molti, nell’ultimo anno la posizione della Turchia (del dittatore Erdogan) è drasticamente cambiata. Dopo il colpo di Stato, vero o presunto, in ogni caso fallito del 15 luglio 2016, si è avvicinata alla Russia, ha preso sempre più le distanze dall’ISIS iniziando anche a bombardarlo e ha subìto diversi attentati rivendicati da questo gruppo [26]. Il primo incontro ufficiale tra Erdogan e Putin, dopo l’abbattimento nel 2015 del caccia russo, è avvenuto il 9 agosto 2016 a San Pietroburgo [27]. Il presidente turco in quelle settimane ha accusato l’Unione Europea e gli Stati Uniti di essere stati troppo tiepidi nella condanna del golpe [27], non gradendo inoltre le loro critiche alle pesanti misure repressive da lui adottate in patria [28]. La Russia ha sfruttato al meglio la situazione dimostrando “di saper avviare il dialogo anche con avversari e rivali, pur di ridimensionare in alcune regioni fondamentali per le fonti energetiche l’influenza di Usa ed Europa”, come scriveva Michele Giorgio in proposito [28]. Infatti, il 20 dicembre 2016, è stata presentata la “Dichiarazione di Mosca”, con cui Russia, Iran e Turchia si impegnavano a spingere per la soluzione politica del conflitto siriano. Di fatto Erdogan ha abbandonato la richiesta, suo cavallo di battaglia fino a pochi mesi prima, della rimozione di Assad, come naturale conseguenza dell’entrata nell’orbita russa [29]. In molti hanno intravisto, tra le varie monete di scambio, oltre ai benefici economici anche una maggiore libertà d’azione concessa dalla Russia alla Turchia nei confronti dei curdi del Rojava [28] [29].

Non sono inoltre entrato nel merito della questione del Rojava perché lì i curdi stanno combattendo si una rivoluzione, ma per l’autonomia solo di una parte della Siria, quella del nord [30] [31], connessa al Kurdistan (mi si perdoni se semplifico). E’ opportuno sottolineare lo spirito sociale, egalitario e confederale che contraddistingue questa rivoluzione [30], in cui le donne hanno un ruolo di primo piano [32], ma di fatto viene vista da molti come “una guerra diversa”, che non determinerà gli esiti del resto del conflitto. E va aggiunto come una serie di discussioni (altalenanti e piene di incertezze) e collaborazioni siano state avviate pure con lo stesso governo di Assad, essendo l’ISIS adesso il principale nemico da combattere per entrambi [33] [34], anche se il futuro del Rojava rimane tuttora incerto e, come già notato, il nuovo asse turco-russo aumenta la vulnerabilità dei curdi.

Per non lasciare un discorso caldo in sospeso, voglio concludere prendendo una posizione, forse un po’ “rischiosa”, sull’attuale crisi siriana. Parafrasando quanto detto in un’intervista di pochi mesi fa da un grande intellettuale indipendente come Noam Chomsky: “Può apparire brutto ma l’unica alternativa realistica che vedo consiste nel prevedere un governo di transizione con Assad coinvolto, probabilmente in carica. A meno che non si voglia assistere alla totale distruzione della Siria e del suo popolo” [20].

 

FONTI:

[1] Why the Arabs don’t want us in Syria – di Robert F. Kennedy Jr (su www.politico.eu)

[2] Qatar discusses LNG pipeline project with Turkey – di Andy Sambridge (su www.arabianoilandgas.com)

[3] Qatar seeks gas pipeline to Turkey – di Tamsin Carlisle (su www.thenational.ae)

[4] The US-Russia gas pipeline war in Syria could destabilise Putin – di Nafeez Ahmed (su www.middleeasteye.net)

[5] Islamic pipelines states meet in Baghdad – su www.tehrantimes.com)

[6] Iran inks gas pipeline deal with Iraq and Syria – (su www.worldaffairsjournal.org)

[7] LIBRO: The shadow world. Inside the global arms trade – di Andrew Feinstein

[8] Qatar buying US helicopters, missiles in multi-billion dollar deal – (su www.thehindubusinessline.com)

[9] Russia plans permanent navy base in Syria – di Tim Hume e Lindsay Isaac (su www.cnn.com)

[10] Guide: Syria's diverse minorities – (su www.bbc.com)

[11] Saudi Arabia's secret Arab Spring – di Kevin Sullivan (su www.independent.co.uk)

[12] Syrian intervention plan fueled by oil interests, not chemical weapon concern – di Nafeez Ahmed (su www.theguardian.com)

[13] WikiLeaks: US, Israel and Saudi Arabia planned overthrow of Syrian government in 2006 – di Ivan Stamenkovic (su www.mintpressnews.com)

[14] Special Report: Syria intervention plans fueled by oil interests, not chemical weapon concerns – di Nafeez Ahmed (su www.nafeezahmed.com)

[15] WikiLeaks founder: Saudi Arabia, Qatar and Turkey had secret deal in 2012 to topple Syrian government – (su www.almasdarnews.com)

[16] What does it mean to be a 'friend' of Syria? – di Chris Doyle (su www.middleeasteye.net)

[17] Aleppo: ciò che è necessario sapere per prendere posizione – (su www.infoaut.org)

[18] Kerry: Arab countries offered to pay for military strike – (su www.washingtonpost.com)

[19] Exclusive interview: Robert Fisk on Syria's civil war and the refugee crisis – di Paul Weinberg (su http://rabble.ca)

[20] Noam Chomsky on Syria: a "grim" set of Alternatives – di Saul Isaacson (su www.truth-out.org)

[21] Extremist element among Syrian rebels a growing worry – (su http://www.nbcnews.com)

[22] Robert Fisk: SAA Strongest Institution, FSA Doesn't Exist, Rebels Targeting Christians – (su www.youtube.com)

[23] “Così si viveva ad Aleppo Est” – di Fulvio Scaglione (su www.occhidellaguerra.it)

[24] Arcivescovo Aleppo, è terza guerra mondiale per procura – (su www.agi.it)

[25] Pgs. 287-293 (291) JW v DOD and State 14-812 – (su www.judicialwatch.org)

[26] Isis claims Istanbul nightclub attack as perpetrator remains at large – di Jamie Grierson (su www.theguardiancom)

[27] Gli interessi in comune tra Erdoğan e Putin – (su www.internazionale.it)

[28] Turchia/Russia. Erdogan-Putin, il vertice della svolta – di Michele Giorgio (su “Il Manifesto”)

[29] Siria. La road map di Russia, Iran e Turchia – (su www.nena-news.it)

[30] Rojava si “stacca” e proclama la regione autonoma a nord – Chiara Cruciati (su ilmanifesto.info)

[31] Syrian Kurds declare new federation in bid for recognition – (su www.middleeasteye.net)

[32] The women leading a social revolution in Syria’s Rojava – di Lucy Clarke-Billings (su www.newsweek.com)

[33] Analysis: the Kurdish “frenemies” aid Assad in Aleppo – di Arwa Ibrahim (su www.middleeasteye.net)

[34] Siria. Kurdi raggiungono il cuore di Manbij ma l’Esercito Libero li ostacola – (su www.nena-news.it)

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