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Parla come un fascista dei Parioli e fa il finto “popolano”

Matteo Salvini ora fa la faccia addolorata per le contestazione di massa che lo accoglie a Napoli. Ma basta un attimo ed il velo di ipocrisia che ricopre le sue parole si squarcia, spinto dalla sua stessa brutalità, e torna il Salvini vero, con qualche piccola correzione.

I napoletani ricordano ancora il dirigente della LegaNord che cantava sulla loro puzza, ma Salvini ora dice che sono errori di gioventù dovuti al calcio, che quei cori non li canta più per nessun italiano, ma li riserva solo ai migranti. È un caso di esternalizzazione del razzismo, giustamente il popolo di Napoli ne diffida: e se poi lo riporta in Italia nel nome del patriottismo?

Spostandosi verso il sud Matteo Salvini ha cercato adottare altri linguaggi, in modo da essere più comprensibile da tutto il paese. È bene ricordare che per una certo leghismo il Mezzogiorno d'Italia comuncia sotto il Po, quindi il leader della Lega ha creduto di diventare meridionalista adottando un insulto tipico dei fascisti della Roma bene.

"Zecche rosse" ha definito coloro che a Napoli non lo vogliono, dimostrando così il salto di qualità e sensibilità compiuto dall'epoca in cui li avrebbe apostrofati come "sporchi terroni". Solo che quell'insulto, zecche, è quello da sempre usato dai giovani riccastri dei Parioli contro i comunisti.

Ecco, il finto popolano Matteo Salvini usa il linguaggio dei peggiori figli di papà del quartiere più per bene di Roma. E poi dice che sono figli di papà coloro che lo contestano. Ma si guardi allo specchio! Io sto con coloro che contestano il pariolino Salvini e dico grazie ai meridionali che non si fanno imbrogliare da lui.

Grazie cari compagni terroni, da tutti noi.

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