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G7: il fallimento inevitabile e la repressione preventiva

Appare davvero sconcertante che la maggior parte degli analisti e dei commentatori si stupisca – o addirittura si lamenti – per il fallimento totale del recente G7 di Taormina. 

Eppure i presupposti c’erano tutti e assai evidenti, incubati negli scorsi anni e sulla base del fallimento di altri organismi internazionali come il WTO o dei trattati multinazionali come il TTIP.

Fino a che il mondo era dominio incontrastato di una superpotenza egemone, gli Stati Uniti, l’allora G8 – poi mutilato della presenza della Russia su accordo di Usa e Ue – era di fatto improntato ai diktat dell’inquilino della Casa Bianca al quale, al massimo, i vari rappresentanti dei paesi satellite o subalterni chiedevano qualche prebenda, qualche deroga, qualche privilegio all’interno di una spartizione delle risorse e dei mercati che andava indiscutibilmente a vantaggio di Washington.

Ora, in un mondo animato dalla competizione globale tra poli imperialisti, potenze regionali e internazionali di vario tipo ed in concorrenza aperta, è impossibile che si trovi un equilibrio tra progetti, interessi, egemonismi diversi quando non opposti e irriducibili.

E’ per questo che un meccanismo di governance come il G7 non può funzionare, essendo ormai obsoleto in un mondo improntato al ‘tutti contro tutti’. Oltre che per il fatto che, tra i ‘7 grandi della Terra’, mancano molte delle potenze determinanti, a partire dalla Cina e dall’India.

Quando esisteva il mondo unipolare a dominanza statunitense in molti auspicavano un mondo multipolare, più equilibrato. Ma un mondo multipolare, in un contesto capitalistico in piena e interminabile crisi, non può che tendere al caos, allo scontro e in ultima istanza alla guerra. Gli Stati Uniti, da decenni in crisi di egemonia sul fronte economico, politico e culturale, non abbandoneranno certo lo scranno più alto della piramide mondiale senza colpo ferire e difenderanno la propria posizione con le unghie e con i denti.

Senza una coscienza piena delle caratteristiche prevalenti del mondo in cui viviamo e dei rischi che la situazione comporta ogni protesta, ogni mobilitazione contro ‘i grandi della terra’ e contro la guerra, pur importante e necessaria, non potrà che essere testimoniale, se non folkloristica.

Ammesso che sia ancora possibile protestare in un paese in cui ormai, ai cortei, le imponenti ed esagerate blindature poliziesche impediscono di partecipare a suon di arresti, sequestri, fogli di via, denunce. A Taormina e Giardini Naxos abbiamo visto il consueto schieramento di migliaia di uomini in divisa diretto più a impedire ogni legittima protesta che ad assicurare l’incolumità delle delegazioni dei vari governi.

Com’era già avvenuto in occasione della manifestazione nazionale di Eurostop lo scorso 25 marzo ed in altre occasioni più recenti, le forze di sicurezza agli ordini del ministro Minniti hanno, prima e durante il corteo manifestazione, operato esplicitamente per impedire la partecipazione alla mobilitazione. Come era più volte accaduto negli ultimi mesi, la repressione preventiva e indiscriminata ha colpito nuovamente i lavoratori aderenti al sindacato Usb che, provenienti dalla Calabria, sono stati fermati per ore e infine impossibilitati ad arrivare in Sicilia.

Urge a questo punto la costruzione di una mobilitazione ampia e generale contro la criminalizzazione delle lotte sociali e del dissenso ed il complesso delle politiche autoritarie che portano la firma dei dirigenti del Pd Minniti ed Orlando ma i cui ispiratori sono da ricercare a Bruxelles.

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