Alle elezioni del 2008, pochi mesi dopo lo scoppio della grande crisi irrisolta, PD e PDL contavano, assieme, oltre il 70 per cento dei voti. Il centrosinistra, dopo aver fatto una manovra economicamente regressiva nel 2007, ufficialmente negava pure le proporzioni della crisi. Il centrodestra, che non ha mai oltrepassato il cortile in cui ha vissuto, di questo livello di crisi non ne ha mai veramente parlato.
A settembre 2008, quando furono chiare anche per il nostro paese le conseguenze del crack di borsa globale, era evidente una cosa che gli storici del rapporto tra economia, finanza e politica conoscono: a una crisi così forte, intrecciata con i cambiamenti tecnologici, non poteva che corrispondere una forte, feroce mutazione del panorama politico. Dopo dieci anni, e a crisi irrisolta, basta vedere i risultati di domenica 4 marzo. Pd e Forza italia, assieme, raggiungono meno della metà dei voti complessivi del 2008. La Lega quasi il doppio delle migliori stagioni di Bossi, un movimento allora neonato, il M5S, sfonda quota 30 raggiungendo, almeno per adesso, una centralità politica un tempo appartenuta alla democrazia cristiana (e con ampi distacchi dai partiti concorrenti).
Non c’è naturalmente da stupirsi: le grandi crisi finanziarie, le grandi guerre della moneta e dei suoi derivati, restringono economia e bilancio dello stato. Sono fenomeni che, in un veloce depauperamento della società, misto ad evoluzioni tecnologiche come in ogni crisi, alimentano mutazioni politiche accelerate. Come accaduto nel 2013 al M5S (da zero a circa 25 per cento), a Renzi nel 2014 (un improvviso 42 per cento) e alla Lega oggi (dal 4 al 18 per cento).
Se vogliamo alzare il naso, cosa infrequente in Italia, sia la primavera araba del 2011 e il voto tedesco del 2017 sono il risultato di choc sociali che seguono quelli finanziari (quello tedesco avvertito dagli strati più bassi ma evidente). Siccome lo choc finanziario non riguarda solo gli indici di borsa, ma la materialità delle risorse di una società, la sua composizione sociale, su questo piano di realtà, tutto torna. La società si comporta come un animale impazzito alla ricerca della prima via di fuga possibile.
Le spiegazioni psicologistiche, politicistiche, o legate a chi ha azzeccato il marketing o meno dello choc politico italiano del 2018 rischiano quindi di spiegare poco. La crisi del 2008, quella debito sovrano italiano 2011, quella delle banche 2016-17 spiegano invece molto. Ci fanno capire che un’ondata di restrizione della massa monetaria a disposizione nella società, dei livelli di credito, della presenza dello stato nel sociale genera mutazioni politiche profonde e potenzialmente centrifughe in modo permanente. E vale poco l’affermazione, tipica della stupidità del politico, che “la gente capisce zero di finanza”. La mitica “gente” non percepisce lo Standard & Poor’s ma avverte le crisi, reagisce anche in modo elettoralmente accelerato cercando di volta in volta la soluzione ( individuata in un partito poi in un altro) per uscire subito da questa situazione.
Ovviamente non è così: non esiste partito che potrà ripristinare la “normalità” ma soggetti elettorali che, di volta in volta, provano a cavalcare la tigre degli eventi. Oggi i movimento 5 stelle è di fronte al desiderio, oltre che alla necessità, di cavalcare questa tigre. Non sarà facile dovendo trovare giocoforza i numeri in un parlamento impaurito e sotto l’attenzione di chi vota tutti i giorni: i mercati finanziari che decidono della addizione o della sottrazione delle risorse liquide in un paese. Non sarà facile in una Unione Europea che ha di fronte scenari non facili (Brexit, ristrutturazione interna) e che vede una maggioranza a 5 stelle come qualcosa da trattare stile Grecia o, comunque, come qualcosa da isolare.
Molti sono gli scenari possibili in questo momento, francamente storico, ma uno sembra invariabile. Quello di una Weimar italiana, dove accade di tutto, dove la società è lacerata e impaurita, i partiti sopravvivono tra conflittualità e le trattative più ciniche e indecenti (basta vedere cosa accadde nella politica berlinese prima del fatidico gennaio ’33, con governi di minoranza da far invidia all’Italia di oggi e una crisi galoppante del debito). Eccoci a Babylon Italia. Comunque vada segnerà la storia.
* da Senza Soste
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