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Un nuovo “caso italiano”?

Nelle more del post–elezioni del 4 marzo si profila la possibilità del verificarsi di un nuovo “caso italiano”, del tutto anomalo perlomeno rispetto al quadro europeo.

Un “caso italiano” ben diverso da quello degli anni ’60 – ’70 del secolo scorso, allorquando la sinistra nel nostro assunse il ruolo di punta avanzata sotto il predominio del Partito Comunista fondandosi socialmente su quella che era considerata la classe operaia “forte, stabile, concentrata” fornendo così dall’opposizione (almeno sul  piano nazionale, ma con robuste quote di governo nelle amministrazioni locali) un eccezionale contributo alla modernizzazione e alla costruzione del welfare. Il tutto in tempi di bipolarismo, sia interno, sia esterno.

Oggi l’interrogativo che si pone è ben diverso.

Potrà essere canalizzata nel quadro della “governabilità” una protesta diffusa (con punte significative di vero e proprio “rancore sociale”: un “rancore sociale” che emerge anche , ad esempio, in Francia e negli Stati Uniti esprimendosi in forti conflitti locali) proveniente da diverse parti, al Nord come al Sud e orientata da due forze politiche che hanno assunto nel frattempo precise caratteristiche proprie sul piano dell’identità socio – geografica e della struttura, obbedendo ai canoni imposti dall’innovazione tecnologica delle relazioni sociali e offrendo l’immaginario della personalizzazione della politica?

Tanto più che questa “governabilità” resterà fortemente condizionata, in perfetta continuità con le sue espressioni immediatamente precedenti, da un fortissimo vincolo esterno rappresentato dalla politica monetarista dai “cerchi ristretti” imposta dall’UE e accettata in Italia dalle forze politiche al punto da indurle a modificare, in questo senso, la stessa Carta Costituzionale?

Una protesta, quella espressasi nelle urne il 4 marzo, che si è anche espressa – è bene ricordarlo – con una dimostrazione di ampia disaffezione e che proviene, comunque, da una società sfibrata, sfrangiata, fortemente impoverita, percorsa da paure di vario genere prima fra tutte quella riguardante i migranti.

Una società dominata dall’egemonia, affermatasi ormai da un trentennio, dell’individualismo consumistico nella quale si sono allentati i legami sociali e la prospettiva di rapporto con la politica è stata mediata dalla corruzione e dall’inefficienza del “pubblico”.

Come reagirà questo particolare quadro sociale al richiamo della “governabilità” che alla fine M5S e Lega Nord non potranno rifiutare restando all’interno – sostanzialmente – del perimetro di compatibilità imposto dai loro predecessori.
Quale sponda cercheranno protesta e rancore di massa proprio nel momento in cui si sta registrando un punto di vera e propria “cesura”, di arretramento storico e pare prevalere il ritorno agli imperialismi e le democrazie liberali paiono convertire il paradigma del governo con quello del comando?

Un mutamento di fronte così ampio come quello dimostratosi con il voto del 4 marzo non troverà espressione in un adeguato radicale cambiamento delle opzioni di governo: governo che alla fine, sui contenuti,non potrà far altro che cercare un assestamento di stampo “doroteo”.

Il “caso italiano” ancor oggi provvisto di un robusto punto interrogativo potrebbe così evaporare rapidamente nel nulla delle ambizioni di nuovi “cerchi magici” usi ad intendere la pratica politica come pratica per il potere.

Una “elettoralizzazione della protesta” da parte di M5S e Lega che, alla fine, potrebbe rappresentare uno dei più significativi esempi del – come si diceva un tempo – “lavorare per il Re di Prussia”.

Svanirebbero così i timori di tanti benpensanti (che conserveranno le loro cattedre, i loro posti in redazione, i loro schermi televisivi) ma che ne sarà della ventata di protesta e soprattutto quando si riuscirà ad affrontare il tema del nuovo sfruttamento di massa imposto dai sempiterni padroni delle leve del comando che oggi si esprimono nella chiusura di un recrudescenze sovranismo?

Il lato oscuro di questa vicenda potrebbe essere rappresentato da un contraccolpo secco a livello di scompaginamento sociale dovuto alla “delusione della protesta” fornendo così lo spazio (attraverso il varo di una legge elettorale fortemente maggioritaria) per l’aprirsi di un varco per un restringimento effettivo nei margini di agibilità democratica e di spostamento d’asse dal Parlamento al Governo.

La prospettiva sarebbe quella di una sorta di “salazarismo soft”, fase del resto che abbiamo già assaggiato tra il 2011 e il 2016 con l’azione presidenziale di Napolitano e l’occupazione del potere da parte del “giglio magico e associati”.

Operazione stoppata dall’esito referendario, attraverso il quale si aprì il vaso di Pandora ma che oggi potrebbe tornare alla ribalta, magari con gli stessi protagonisti del periodo centrale di quella fase rivestiti dell’immagine da “Macron de noantri”.

La debolezza strutturale dell’impianto politico presentato dai presunti vincitori del 4 marzo (e la stessa debolezza della loro base di confuso riferimento) lascia aperta la porta ad una pericolosa possibilità di questo genere.

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1 Commento


  • Daniele

    Certamente la possibilità di un ritorno del bulletto di Rignano è ancora possibile, per quanto molto improbabile, da parte mia sono più dalla parte di Aldo Giannuli che ha disegnato “La fine di un mondo”, del resto la rissa a Napoli è la testimonianza certa di una crisi irreversibile all’interno del PD, comunque l’unica alternativa seria è Potere al Popolo! non certo le berciate della Lega o le cretinerie assortite del M5S.

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