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La giustizia di classe colpisce Mimmo e gli altri operai Fiat

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Mimmo Mignano e altri quattro compagni della Fiat di Pomigliano sono stati definitivamente licenziati, con la sentenza della Corte di Cassazione che annulla il giudizio precedente ad essi favorevole e conferma il provvedimento aziendale. Inscenare davanti alla fabbrica il suicidio del padrone non si può, dice la Corte, perché “travalica la dialettica sindacale”. I suicidi veri invece in quale dialettica si collocano?

Maria Baratto era da 6 anni in cassa integrazione punitiva e discriminatoria, il più infame dei bullismi e degli stalking che una impresa possa infliggere agli operai. Maria era in cassa solo perché attivista sindacale dei Cobas e aveva già visto altri sui colleghi uccidersi o tentare di farlo. Era diventata “l’operaia anti suicidi” per il suo impegno ad evitare gesti estremi tra i tanti suoi compagni che la Fiat di Marchionne perseguitava. Poi non ce l’ha fatta più e nel maggio 2014 si è uccisa in un modo terribile.

Mimmo Mignano e altri 4 operai coraggiosi, anch’essi in cassa discriminatoria, reagirono a questa tragedia inscenando la loro morte ed il suicidio di un manichino con la maschera di Marchionne, davanti alla fabbrica. Per questo la Fiat li licenziò in tronco.

Il tribunale di Nola, che non ha mai condannato la Fiat su niente, confermò il provvedimento, ma il tribunale di Napoli, nel nome della libertà costituzionale di critica, lo annullò. Mimmo e gli altri furono reintegrati in azienda ma non al lavoro: la Fiat li pagava ed impediva loro di entrare in fabbrica.

Maria Baratto, indotta al suicidio dalle persecuzioni Fiat

Ora la Corte di Cassazione, con una brutale sentenza di classe, dà ragione a Marchionne. Per il suicidio vero di Maria e di altri operai colpiti dalla ferocia degli uomini di Marchionne non paga nessuno. Mentre per la finzione del manichino di un padrone senz’anima e rispetto umano, Mimmo e gli altri finiscono in miseria.

Quando sentite parlare di diritti umani, di libertà, di dignità della persona pensate alla Fiat. Lì, con la complicità di giudici che non sanno cosa sia la giustizia, tutti questi principi sono negati alla radice. Se una giovane si uccide per il bullismo dei coetanei giustamente la nostra società si indigna, e la legge interviene. Ma se Maria si ammazza perché perseguitata dai tirapiedi di Marchionne, allora è persino vietato indignarsi e l’operaio che lo fa perde il lavoro.

È la società dello sfruttamento in tutta la sua ipocrisia, in tutta la sua infamia. Sosteniamo con la più forte solidarietà Mimmo Mignano e gli altri quattro compagni di Pomigliano in questi giorni tremendi per loro. E cerchiamo di manifestare tutto il nostro disprezzo a Marchionne, ai suoi scherani, ai suoi complici.

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