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La fatica di costruire, dopo la devastazione nel corpo della “sinistra”

Una piccola storia, giusto per farvi capire quale titanica impresa ci tocca.

Tre mesi fa esce il film sul Giovane Marx e io e Viola veniamo contattati dalla distribuzione italiana per presentarlo a Roma. Non immaginatevi una multinazionale, eh, ma una micro-società di tre giovani che produce, spesso rimettendoci i soldi, documentari indipendenti. Fanno loro i sottotitoli o il doppiaggio, fanno loro la pubblicità, contattano le sale etc. Questo perché la grande distribuzione non vuole portare nei cinema prodotti di qualità ma che non hanno un ritorno certo, e quand’anche accetta, ti chiede un vero e proprio pizzo, e se non gradisci ti fotti e non esci nelle tante sale che controlla. Questa piccola società decide invece di rischiare e promuovere il film dal basso, coinvolgendo nelle proiezioni “personalità” e reti militanti, di modo che possa arrivare un po’ di gente e se ne parli.

Tutto questo per dire che non solo chi ci invita non ha i soldi per affittare un multisala, ma nemmeno per darci un rimborso per il viaggio. Nessun problema, perché l’impresa culturale merita di essere supportata, soprattutto nel nostro paese e in questo momento storico. Finito dunque di lavorare, ci procuriamo una macchina e andiamo di corsa a Roma. Con noi vengono tre compagni più piccoli, curiosi di vedere il film, vogliosi di ritrovarsi una sera con gente simpatica e in un bel clima.

Arrivati al Farnese, constatiamo che c’è una lunga fila fuori. Il cinema ha solo 200 posti, veniamo a sapere che si dovrà fare una seconda proiezione dopo. “Vi tocca restare almeno fino alle undici e mezza per il secondo giro”, dice la ragazza, gentilissima, che ci viene a prendere. Nessun problema, anche se il giorno dopo lavoriamo e da Roma a tornare a casa ci vogliono tre ore, poi dobbiamo posare la macchina e farcela a piedi fino a casa, insomma: ritorno alle 4 di notte garantito, e il giorno dopo sveglia alle sette. Ma ne vale la pena. La ragazza ci porta in una stanzetta dove c’è qualcosa da mangiare, ma dopo cinque minuti inizia il film e non c’è tempo. Andiamo diretti in sala, vicino allo schermo. Mentre ci stiamo organizzando per l’introduzione, sentiamo una signora che sbraita in mezzo alla sala. Non ci diamo troppo peso, perché urge cominciare. Però le urla continuano e quindi ci viene un po’ di curiosità. Afferriamo brandelli di conversazione fra un gruppetto di spettatori e gli organizzatori: “Ma che ci sono i raccomandati, qui? E’ già una casta, è una casta! Potere al Popolo e poi il popolo fuori si fotte mentre loro comodi in poltrona”…

Incuriosito, vado a vedere: la signora, sui 65, sembra davvero posseduta, intorno un altro paio di persone le danno ragione, mentre i poveri organizzatori con calma cercano di spiegare, difesi da altri spettatori che chiedono di vedere il film. Che è successo? Che in sala gli organizzatori avevano osato “riservare” 5 posti per noi che venivamo da Napoli. Un po’ perché ospiti della serata e un po’ perché, anche volendo, arrivando di fretta dal lavoro non avremmo potuto fare la fila… La signora aveva preso questo fatto ovvio, di buon senso, di civiltà (io sto invitando della gente di un’altra città, non li pago, non mangiano, dove devo farglielo vedere il film?), come l’emblema di un sistema di privilegi intollerabili, contro cui bisognava reagire anche a costo di bloccare la proiezione, denunciando il fatto che io, Viola e altri compagni che ogni giorno lavorano gratis all’Ex OPG eravamo già diventati una cricca di potere tradendo il popolo… I nostri compagni più giovani guardano la scena sbigottiti.

Come capiamo la situazione non proviamo manco a discutere con le due, tre persone fomentate: in fondo chissenefrega, sai quanti film, quanti spettacoli, quante assemblee abbiamo seguito col culo a terra. E poi la proiezione deve iniziare. Così facciamo l’intervento e poi ci sediamo nel corridoio sotto allo schermo. E lì restiamo per tutto il film, stretti vicino e godendocelo da sotto, che mi pareva di stare dentro la Manchester dell’Ottocento. Per onestà dico che, essendo arrivati più vicini ai 40 che ai 30, ci siamo alzati tutti doloranti, però – sarà che sono napoletano – a me piace stare “uno in cuoll a n’at” (uno addosso all’altro). Ovviamente le cinque poltrone “riservate” restano vuote, perché quando la signora fa la storia gli ingressi sono già stati chiusi, essendo il cinema pieno ed avendo previsto una seconda proiezione dopo. Ma la signora sembra molto soddisfatta, come se avesse finalmente ottenuto giustizia.

Ecco, pensavo a questa signora in questi giorni che leggevo dell’abolizione farlocca dei vitalizi. E ho pensato a questa signora quando per tutti questi mesi mi imbattevo in commenti sul web che sostenevano che noi di sinistra chissà quanto siamo pagati, chi c’è dietro, quanto le viene in tasca alla povera Viola (per la cronaca: ZERO, Potere al Popolo non può pagare nessuno). E ancora pensavo a questa signora quando giravo per le assemblee e trovavo puntualmente gente che non si fidava, che mi faceva domande a trabocchetto per vedere se dicevo la verità, che scommetteva sul nostro fallimento, che poi si apriva e mi confessava che dopo aver preso tante fregature, non dico dal PD, ma dalla Sinistra Arcobaleno fino a Sinistra Italiana, passando per Rivoluzione Civile, Altra Europa etc etc, non credeva più in nulla, manco in noi.

E non mi arrabbiavo con questa signora, no. Né con i fomentati in rete, o con gli stupidi, che sono un dato ineliminabile della Storia. E nemmeno con i compagni disillusi. Pensavo solo: quanti danni ha fatto questa politica. Quanti danni ha fatto la “sinistra” che ha tradito i suoi ideali, che ha abusato della credulità del suo popolo, che ha ricottato sulle belle parole, che ha detto una cosa e poi ne ha fatta un’altra, che continua a dare assist ai peggiori cliché della destra.
E ho capito fino in fondo che alla nostra generazione non tocca solo subire la precarietà che ci hanno fabbricato, non ci tocca solo fare politica con fatica, nei ritagli di tempo… ma ci tocca anche lavorare questa sfiducia, quest’odio indistinto, questa follia collettiva, pagare colpe non nostre e riscattare l’Ideale alla banca del pegno.

E vabbè, faremo anche questa. Partendo da terra, stretti uno in cuoll a n’at.

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