C’è un «tag» sulla mia pagina facebook: mi chiama direttamente in causa e rimanda a una richiesta di non votare le bozze di Statuto di Potere al Popolo. Rispetto chi milita nei partiti di sinistra e mi aspetto di essere ripagato con la stessa moneta. Chiedo, cioè, rispetto per chi come non è iscritto ai partiti sopravvissuti alla catastrofe della sinistra storica. E quando dico rispetto, intendo anche e soprattutto chiarezza.
Se un dirigente di Rifondazione Comunista descrive Podemos, France Insoumise e Potere al Popolo come «sfaccettature» di quello che definisce «populismo di sinistra», una domanda è d’obbligo: Rifondazione ha aderito o no all’Appello di Lisbona? A rigore di logica, dovrei rispondere sì, perché sotto l’appello c’è la firma di Potere al Popolo, di cui Rifondazione fa parte. Se le cose stanno così, i conti però non tornano, tanto più che alle recenti riunioni promosse a Roma da Dema risultano convocati e presenti sia Potere al Popolo che Rifondazione.
Questa situazione incomprensibile e per certi versi paradossale genera una nuova, a dir poco inquietante domanda: Rifondazione Comunista è dentro il promettente percorso di Potere al Popolo, o esistono due partiti con lo stesso nome, dei quali uno firma l’appello dei «populisti di sinistra», e l’altro contribuisce alla nascita di un polo diverso da quello che fa capo all’Appello di Lisbona?
Non è una domanda banale per chi come me, ha subito senza poter parlare la nascita di due Statuti, nei quali ha visto un errore, ma anche una speranza di «liberazione». Quei due Statuti, infatti, non sono diversi tra loro per questioni formali e non pongono questioni che riguardano semplicemente le “regole”. Sono la manifestazione aperta di un dato di fatto: esistono due visioni diverse, contrapposte e per molti versi inconciliabili di Potere al Popolo. Se si è giunti ai due appelli è perché le discussioni eterne all’interno di un Coordinamento nazionale che nessuno ha potuto votare e che ormai ha fatto il suo tempo non sono bastate a comporre la vertenza. Consentire il voto dopo, averli resi pubblici è obbligo irrinunciabile. Etico e politico. Etico, perché non puoi darmi la parola e poi mettermi a tacere senza farmi parlare. Politico, perché la questione degli Statuti è uno di quei casi in cui la forma diventa evidentemente sostanza.
Se passa il primo, infatti, avremo un’organizzazione politica e sociale nuova, anticapitalista e popolare, che rompe in maniera inequivocabile con le “forme” tipiche della “sinistra”, così come l’abbiamo conosciuta. Un’organizzazione che segna una linea di continuità con l’intuizione per certi versi geniale del gruppo che ha pensato e voluto Potere al Popolo; se passa l’altro, nascerà una delle solite organizzazioni di una sinistra che non parla più alla gente e non vuole che la gente parli, un “contenitore”, fatto apposta per dar vita a un fantomatico quarto polo, che metta insieme ciò che resta di quella sinistra che ci ha condotti dove siamo, a cominciare da qualche resuscitato “antifascista” dell’ultima ora, che mesi fa osannava Minniti e i suoi provvedimenti fascisti e ora non sa se tenersi o mollare il PD depurato di Renzi.
Non ce l’ho con nessuno, ma vorrei fosse chiaro: mi sono imbarcato nella bella avventura di Potere al Popolo, ho condiviso l’appello da cui è nato, sposato il progetto e accettato di candidarmi, perché me l’hanno chiesto quelli dell’ex Opg. Non l’avrei fatto in nessun altro caso.
E’ inutile girarci attorno e fare appello a una generica unità: ai due Statuti non si giunge per caso. C’è una differenza profonda che riguarda il modo di intendere la politica. Questa differenza insormontabile ha condotto alla conta voluta da chi ha presentato un secondo Statuto.
Indietro perciò non si torna, non si può tornare perché il solo risultato che si otterrebbe sarebbero mesi di inutili trattative tra i membri di un Coordinamento che ha ormai esaurito la sua funzione. Si vada al voto perciò. Chi non ha tessere di partito ha diritto di sapere se lotta per un’organizzazione in cui la base conta davvero o si è illuso e deve rassegnarsi. Sapere se siamo tutti per l’appello di Lisbona o c’è chi vuole stare con noi per definirci «populisti».
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