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Darsi da fare

Mentre i ricchi s’ingozzano, i poveri s’incazzano. Coi ricchi? No, con quelli più poveri. Ecco allora che odiano gli immigrati. Perché?

Perché da circa trent’anni a questa parte si è verificato una costante demolizione dello stato sociale: la sanità costa, i trasporti pubblici rincarano, alla scuola sono stati tolti i soldi, le pensioni sono diventate un bancomat cui attingere senza contropartite.

Inoltre, i salari e gli stipendi sono rimasti fermi, tra i più bassi d’Europa, mentre sono state destabilizzate le regole del mondo del lavoro: precariato e una miriade di tipologie contrattuali senza garanzie della tutela dei diritti economici e normativi.

Invece che battersi per più salario e più stato sociale, ci si rinchiude nelle proprie ristrettezze, e si odiano quelli che stanno peggio, per paura di dovergli cedere qualcosa. Ecco quello che sta succedendo.

Il fascismo nacque in una situazione di spaventosa crisi economica, dovuta al costo sociale della prima guerra mondiale. Lo stesso dicasi per il nazismo: la Germania di Weimar era alla fame.

La globalizzazione ha prodotto il più grande e selettivo arricchimento di una ristretta oligarchia, e contemporaneamente un generale impoverimento dei ceti più numerosi. Le teorie e le pratiche neoliberiste adottate dai governi hanno generato rabbia. È stato tolto ai più poveri per darlo ai più ricchi.

Il razzismo, la xenofobia, l’intolleranza non sono fenomeni di costume, o semplici rigurgiti della storia: sono un fatto economico preciso. Hanno la loro base sull’impoverimento e la frustrazione di chi assiste al progressivo peggioramento della propria economia famigliare.

La discriminazione, il suprematismo, il “sovranismo” sono trucchi sporchi della politica che cerca consenso ma non è in grado di redistribuire la ricchezza.

Chi dice “prima gli italiani”, in realtà dice prima i ricchi, prima i profitti: agli altri, alla maggioranza, le briciole di quello che rimane dello stato sociale, che non essendocene più per tutti, ecco che va tolto ai migranti, agli zingari, e di questo passo agli infermi, i diversi, agli “altri”. Torneranno “polentoni” contro “terroni”, nord contro sud, grazie alla prossima legge cosiddetta del “federalismo aumentato”.

Le attuali politiche del governo vogliono redistribuire la miseria creata dal neoliberismo: le misure proposte sono “compassionevoli”, come il reddito di cittadinanza o quota 100.

Il nodo è redistribuire la ricchezza. Cioè aumentare stipendi e salari, diminuire la pressione fiscale sui redditi da lavoro, togliere ticket dalle prestazioni sanitarie e scolastiche, ripristinare la previdenza.

E investire sul paese, sulle sue infrastrutture, sulla manutenzione della città, sull’arte e la cultura, sull’innovazione tecnologica dei servizi.
Come? Una patrimoniale di scopo, per cinque anni finalizzata a un nuovo Rinascimento, con l’emissione di bond dedicati agli investimenti pubblici da dare in cambio al maggior prelievo fiscale.

Se la sinistra e tutte le sinistre non affrontano subito il nodo della redistribuzione della ricchezza come strategia per sanare i conti famigliari prima di quelli pubblici, quel nodo diventerà scorsoio per la nostra democrazia. Diamoci da fare.

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