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La natura del Pd

Se mai ce ne fosse stato bisogno gli episodi di questi giorni rappresentano un ulteriore disvelamento della natura del PD, della logica del potere che ha mosso l’intenzione della “vocazione maggioritaria” e della “governabilità”.

Altro che “la maionese impazzita” richiamata a suo tempo da Massimo D’Alema.

La questione non sta tanto nella “qualità” di vera e propria mostra delle miserie umane evidenziata dalle intercettazioni riguardanti il giro degli “aggiustatori” del CSM e delle Procure, con tutto il loro corollario di cene segrete, turpiloqui, millanterie miranti addirittura a coinvolgere il Presidente della Repubblica.

Il punto sta nella reazione che il PD ha dimostrato anche in quest’occasione, nella quale sotto l’antica spoglia di consuete malversazioni si delinea una crisi di credibilità della magistratura che rende ancor più debole il già fragile impianto del sistema politico italiano, mandando in pericolo (più ancora di quanto non lo fosse già qualche giorno addietro) la democrazia repubblicana.

Da notare, inoltre, che al centro di questa pericolosa dinamica stanno personaggi protagonisti del tentativo, a suo tempo, di modificare la natura parlamentare della Repubblica attraverso riforme costituzionali per fortuna respinte dalla maggioranza di elettrici ed elettori.

La reazione del PD è sconcertante: si permette al protagonista–principe di questa vicenda di usare la formula ambigua “dell’autosospendensione” e, da notizie giornalistiche, il nuovo segretario sta cercando di fare in modo che una parte del partito coinvolta oggettivamente in questa vicenda non provochi addirittura una scissione.

Da dove deriva questa preoccupazione di Zingaretti ? Dal fatto che la corrente di Lotti controlla anche tanti pezzi di partito sul territorio (citazione testuale da articoli, di giornale nei quali si sottolinea anche la divisione in correnti del gruppo parlamentare e dell’Assemblea Nazionale).

Compreso bene? Il timore è quello di perdere pezzi di cordate di potere in giro per l’Italia: perché di questo si tratta, senza nessun accenno all’enormità della questione che si sta ponendo che, ripetiamo, non è tanto quella dell’intreccio (già tante volte visto e mai affrontato) tra “questione morale” e “questione politica” ma della credibilità dell’intero sistema soprattutto sul nodo delicatissimo della divisione dei poteri.

Calenda, dal canto suo, non è capace di dire altro che “Riformare il CSM”: anche in questo caso non si avverte la profondità della situazione, i rischi per la democrazia, l’alimento ulteriore per l’antipolitica che ormai – in via di esaurimento la sbornia del M5S – sta sempre di più assumendo i tratti della cosiddetta “democrazia illiberale”.

I segnali ci sono tutti e rappresentano i frutti avvelenati della confusione tra governabilità e gestione del potere e dell’assemblaggio indiscriminato sul piano dei valori e dei contenuti che inevitabilmente sta dentro all’idea della “vocazione maggioritaria” e della dismissione del ruolo di “parte” dei partiti (altro discorso quello della politica delle alleanze, tanto per intenderci).

Il pericolo riguarda, prima di tutto, la qualità della nostra vita democratica: sarà il caso di rifletterci prima di tutto a sinistra.

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