In Italia il dibattito politico è sospeso in un limbo su cui vale la pena spendere alcuni ragionamenti.
La dialettica vera, sulle questioni che riguardano i nodi reali da sciogliere, è ferma a quella tra le due formazioni di governo, nonché la componente più direttamente emanazione della UE, rappresentata da Tria e Moavero, mentre le opposizioni di “sinistra” ritrovano nell’antifascismo uno spontaneo e strumentale collante.
Le virgolette alla definizione sinistra sono quanto mai appropriate, inserendo il PD dentro tale opposizione. Ma nella percezione di massa, ancor di più in assenza di una forza credibile di classe, il PD è gran parte della “sinistra”. Nelle nostre riflessioni spesso questo “dettaglio” viene omesso o rimosso.
E la parola d’ordine dell’antifascismo è quella attorno a cui proprio il PD sta cercando di riaggregare forze. Non ci vuole molto per capirlo visto che la guida politica di tale strategia si è espressa sulle pagine di Repubblica. Dopo il Caimano, c’è il Capitano da combattere, ma la sostanza non cambia.
I fatti ci dicono che da quando questa campagna è iniziata il partito di Salvini è passato dal 17 al 35% dei consensi, la sinistra radicale non è avanzata di un centimetro e il PD ha riacquisito, seppure ancora molto a stento e tra mille contraddizioni, la patente del Partito che credibilmente si può candidare a guida di un’alternativa.
Se questi sono i risultati qualcosa non funziona quantomeno per i soggetti che in forme variegate tentano di rilanciare un’opzione comunista e di sinistra alternativa non solo al Governo giallo-verde, ma anche al PD.
Già su questa rivista abbiamo affrontato l’argomento nell’articolo “Antifascisti del XXI secolo”, a cui rimandiamo per capirne l’approccio, ma le ultime vicende richiedono un breve approfondimento.
La crisi globale e i cambiamenti strutturali che ne stanno scaturendo determinano certamente reazioni nel tessuto sociale di carattere regressivo. E questo è la storia che lo dice. Di esempi se ne possono rintracciare a decine.
L’assenza di una soggettività anticapitalistica, in grado di ricomporre la classe lavoratrice su un terreno generale di cambiamento e la desertificazione politica degli ultimi venti anni, portano quasi naturalmente vasti settori popolari a sposare la causa di Salvini e della Lega, che sull’immigrazione ha un cavallo di battaglia a costo zero. O, per dirla meglio, milioni di persone, attanagliate da questioni reali, che spostano velocemente i propri consensi seguendo la spinta del momento, oggi hanno canalizzato l’attenzione su Salvini.
E’ la stessa spinta che porta alla disaffezione al voto o che ha portato i Cinquestelle al Governo. Questo significa che qualsiasi riflessione non funziona se non tiene conto dell’alta fluidità di consensi che, in qualche modo, rappresenta l’opportunità di un quadro modificabile.
I fatti e le vicende vanno analizzati con oggettiva razionalità se si vuole costruire una risposta all’altezza. Troppo spesso a sinistra siamo a caccia di eroi e punti di riferimento che improvvisamente diventano il centro di una prospettiva. Basti pensare a Mimmo Lucano a Riace o la “Capitana” Carola. Persone che hanno la massima considerazione di chi scrive, ma che non possono semplicisticamente essere portati a modello, perché oggettivamente non lo sono e loro stessi ne sono consapevoli.
In realtà è solo con la capacità e la forza di indicare una prospettiva generale e con una concreta piattaforma in grado di evocarla che è possibile ribaltare la situazione. Insomma, con un lavoro di lunga lena.
L’operato di Carola Rakete non può diventare l’appiglio su cui la sinistra politica può impostare la sua battaglia. Non si può ingaggiare la scontro sull’immigrazione senza tenere conto di un senso comune generale che scaturisce dalle condizioni materiali di milioni di proletari. Da questo deve partire il ragionamento. Senza ricostruire questo filo che definisce i nemici principali e quelli secondari nel tessuto di classe, non si va da nessuna parte. Se non ci si pone il tema del blocco sociale nessuna lotta gridata dalle banchine di Lampedusa potrà produrre risultati per i lavoratori italiani e stranieri, che a diversi gradi di sfruttamento abitano stabilmente le società contemporanee.
E dalle pagine di Repubblica tali nessi vengono rimossi, con il risultato di coprire le responsabilità dei Governi precedenti e dell’Europa, spingendo tutto contro l’attuale vicepremier. Non cadere in questo tranello è importante.
In questo senso la parola d’ordine dell’antifascismo quale centro della battaglia politica contro il Governo è assolutamente fuorviante. Lo è perché non siamo in un regime di questo tipo, né le classi dominanti puntano a riprodurre e sostenere forme vicine al fascismo storico, e perché i cosiddetti sovranisti per essere sconfitti vanno disvelati non in quanto fascisti ma perché espressione di un progetto che ha un respiro corto e non è in grado di portare a fondo la maggior parte dei suoi proclami. Dalla stessa immigrazione fino alla reale volontà di rottura con l’Unione Europea.
In realtà, come abbiamo ribadito più volte, un vero antifascismo nel XXI secolo non può che trovare radici contro le forme sempre più dominanti di oligarchia politica che in maniera soft, ma non sempre così soft, ha ormai da anni ridotto l’agibilità democratica. Su questo sono da leggere le considerazioni di Putin sulla fine della democrazia liberale, non per condividerle ma per ragionare sul tema. Il tutto con il PD e Repubblica come parte attiva. In questo senso ha ragione di essere scomodato l’antifascismo nella sua essenza di difesa democratica e l’incompatibilità della Costituzione italiana con i vincoli europei. La battaglia, invece, contro i Salvini si fa dimostrando che di fatto il suo fumo è sprigionato da un arrosto piuttosto insignificante.
E’ bene che quel che resta della sinistra ragioni su questi semplici concetti, pena di non farlo è quello di fare gli inconsapevoli portatori d’acqua di chi è causa del contesto politico che abbiamo di fronte. E non ci sembra che sia la strada più proficua da percorrere.
*Laboratorio 21
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Yak
Condivido in pieno. Mi immagino che anche lui sarà accusato di essere un “rossobruno”…
giorgino
Non si può ingaggiare la scontro sull’immigrazione senza tenere conto di un senso comune generale che scaturisce dalle condizioni materiali di milioni di proletari
Indicare ed implementare prospettive concrete di lotta è l’unica cosa che fa liquefare il “senso comune” rispetto alla questione dei migranti. Esso infatti è infatti una costruzione ( meglio de-costruzione) storico-politica , e non è certo il general intellect, o sapere sociale indotto da un dato livello di sviluppo delle forze produttive, come sembra equivocare l’autore