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L’Umbria parla dell’Italia intera

I primi commenti dei dirigenti che hanno – largamente, solennemente, indiscutibilmente – perso in Umbria spiegano bene perché i risultati di ieri sono solo l’inizio di una via crucis che porterà alla futura vittoria della destra alle politiche.

Invisi a tutti, antipatici come la varicella, distanti anni luce della realtà, i giallorossi adesso si barricheranno al governo dicendo che, in fondo, l’Umbria è uno sputacchio di regione e il voto ha riguardato solo quattro gatti.

Una posizione demenziale: in un paese governato dai sondaggi fatti con qualche centinaio di telefonate, ieri su un campione di quasi mezzo milione di elettori, la destra è andata vicina al 60% (e Salvini e Meloni in due stanno sopra al 50%). Era chiaro, infatti, che di eleggere una presidente incompetente come la Tesei non gliene fregasse niente a nessuno: l’obiettivo era mandare un messaggio a Zingaretti, Di Maio, Speranza, Conte e Renzi per far loro presente che dovrebbero andarsene al diavolo una volta per tutte.

Come sia potuto accadere è sotto agli occhi di tutti, ma vale la pena ribadirlo brevemente. Sabato ho intervistato Renato Covino, docente di storia contemporanea all’Università di Perugia. La prima cosa che mi ha detto, circa 18 ore prima dell’apertura delle urne, è che la destra aveva già vinto. Perché? Risposta: «Perché qui negli ultimi dieci anni c’è stata una crisi sociale spaventosa e questi hanno continuato a ripetere fino all’ultimo che va tutto bene. Sono andati sui coglioni a tutti, persino a chi li vota».

Il «qui» di Covino è l’Umbria, ma in fondo vale per quasi tutta l’Italia. Il prof poi ha aggiunto: «Il Pd è un partito che non esiste più, se non sta al governo o non amministra, non è capace di fare niente. Non ci sono sedi, non ci sono circoli, non ci sono militanti. Ormai non è più un partito». Né, visti i risultati, un insieme di comitati elettorali.

E ancora, certo: la propaganda, le cazzate, il vento che tira, eccetera.

Vent’anni abbondanti di sinistra ultrasoft, dieci strati di morbidezza, paura di dare dispiaceri ai moderati, ossequio verso i padroni (qualsiasi padrone), politiche timide e pratiche di destra per cercare di prendere i voti di destra (non riuscendoci mai, ovviamente), non solo hanno avuto conseguenze sociali nefaste, ma stanno anche regalando il paese alla destra estrema.

Adesso qualsiasi cosa accadrà sarà un disastro: l’alleanza di governo può scegliere di resistere e logorarsi finché praticamente non sarà scomparsa in società, oppure può decidere di tornare al voto, andando incontro a una sconfitta addirittura peggiore di quella che avrebbe subito se non ci fosse stato il Conte bis.

[Di quello che accade a sinistra del Pd non parlo, per carità. Mi limito a consigliare qualche seduta di psicoterapia e poi un lungo periodo di riposo]

E poi, un’altra cosa: continuare a fare alleanze non sulla base di motivi politici ma per paura che vincano gli altri non è mai stata una buona idea, e ieri ne abbiamo avuto un’ennesima dimostrazione.

Salvini ha definito «storica» la vittoria in Umbria. Ha torto: era una vittoria scontata.

Quella «storica» sarà la vittoria di gennaio, in Emilia Romagna.

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1 Commento


  • Marco

    Un dubbio: quando il compagno Di Vito parla di ciò che accade a sinistra del PD intende tutto (PRC, PCI, PC, PaP, ecc.) o pensa che ci sia qualcuno che ha fatto scelte azzeccate? Trovo suggestiva l’idea di una seduta collettiva di psicoterapia, con un’equipe di psicologi e psichiatri in gamba) nella quale coinvolgere davvero tutti, da Cremaschi a Ferrando, da Alboresi a Rizzo, da Acerbo a Turigliatto. Ovviamente porte aperte a leader, leaderini e guru di qualsiasi organizzazione definibile come “a sinistra del PD”. Potremmo scoprire che sarà Freud a salvarci, più che il barbone di Treviri. 😉

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