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Colpo di stato in Bolivia: la destra fa quello che sa fare

In Argentina, la sinistra ha perso, ha nuovamente conteso democraticamente le elezioni e ha vinto. In Brasile, a Lula sono stati riconosciuti i suoi diritti e si unisce alla lotta democratica contro un governo eletto da manovre non democratiche.

In Uruguay, il Frente Amplio lotta con tutte le sue forze per mantenere il suo governo. In Cile, il popolo lotta democraticamente per il diritto ad avere una Costituzione democratica. Lopez Obrador, dopo tanti tentativi, esercita democraticamente il governo per il quale è stato eletto dalla stragrande maggioranza del popolo messicano.

In Bolivia, la destra ha messo in dubbio il risultato elettorale, con il sostegno dell’OSA, che ha chiesto di contare i voti, con l’accordo del governo che sarebbe stato un risultato vincolante. Tuttavia, in modo sincronizzato, la stesso OSA ha paralizzato il conteggio ed ha proposto nuove elezioni, con un nuovo tribunale elettorale.

Evo l’ha accettato, ha annullato i risultati elettorali e ha chiesto nuove elezioni. Ma la destra si era già radicalizzata. Mesa fu rimpiazzato da un’alternativa di estrema destra, originaria di Santa Cruz de la Sierra, diretta da Luis Fernando Camacho, che fin dall’inizio voleva le dimissioni di Evo e marciò a La Paz per contestare direttamente il governo.

A ciò si sono aggiunte azioni violente, essenziali per il colpo di stato da realizzare. La polizia di alcune province si è ribellate, ci sono state azioni dirette contro le case dei governatori del MAS, del presidente della Camera dei deputati, dei ministri del governo, della sorella Evo, contando sull’assenza della polizia. Alla fine, le forze armate, che inizialmente si erano pronunciate, nel senso che non avrebbero agito contro il popolo, hanno finito per spingere Evo a dimettersi.

Per fermare la violenta offensiva della destra, Evo ha presentato le sue dimissioni, così come il suo vicepresidente, Alvaro García Linera. E’ stato un modo per difendere coloro che sono vittime di azioni violente. Pertanto, in Bolivia siamo di fronte ad un altro colpo di stato militare.

Un paese che, prima del governo Evo, era il campione dei colpi di stato militari, dell’instabilità politica nel continente. In quanto la sua élite bianca ha resistito con ogni mezzo di cui disponeva contro il governo di maggior successo nella storia della Bolivia, presieduto da un leader indigeno.

Non importa le storie che stanno per raccontare. È un colpo di stato, che rompe con la continuità democratica che esisteva dalla prima vittoria elettorale di Evo Morales, nel 2005. Le dimissioni di Evo sono fatte sotto pressione militare e delle azioni violente da parte dei commandos della destra, dall’alleanza di tutti i settori avversari.

Un governo rieletto dalla stragrande maggioranza dei boliviani è stato interrotto, ed ha accettato la proposta dell’OSA di nuove elezioni con un nuovo tribunale elettorale.

Cosa fa allora l’OSA, quando la sua proposta è stata accettata dal governo, ma le forze armate hanno imposto a Evo le sue dimissioni? Presumibilmente ha agito per difendere la trasparenza della democrazia in Bolivia. E adesso cosa farà? Come agirà per garantire il resto del mandato di Evo – che sarebbe durato fino a gennaio – e le nuove elezioni democratiche?  Denuncerà il colpo di stato, come ha fatto in Honduras e in Paraguay – ma non in Brasile – e punirà coloro che assumono il governo in Bolivia?

Dopo il tentativo di colpo di stato contro Hugo Chávez, nel 2002, i colpi di stato non furono più ammessi nella regione. Vilmente, il colpo di stato contro Dilma Rousseff fu accettato, a causa dell’apparenza legale della legge. Ma l’Honduras e il Paraguay furono puniti. Sconfitta alle urne e sentendosi sostenuta incondizionatamente per andare a nuove elezioni contro Evo, la destra fa quello che sa fare: colpire.

Il primo decennio di questo secolo è stato dominato da governi progressisti, tutti eletti e democraticamente rieletti. Il secondo decennio è stato caratterizzato da una controffensiva conservatrice, che ha ripristinato il modello neoliberista in Argentina, in Brasile, in Ecuador, con mezzi democratici nel primo caso, con modalità antidemocratiche negli altri due.

L’Argentina ha recuperato un governo democraticamente popolare. La sinistra ha saputo resistere ai movimenti arretrati del governo Macri, rafforzarsi e avere successo.

In Brasile, Lula ha resistito alla sua ingiusta detenzione, ha lasciato la prigione per comandare la lotta democratica. In Bolivia e Uruguay ci si contende la terza decade del secolo. Sconfitto a livello elettorale, la destra fa appello a un colpo di stato contro il governo Evo.

Il futuro del continente è di nuovo aperto. L’Argentina e il Messico diventano gli assi della ricostruzione dell’asse progressivo. Il Brasile è ancora una volta lo scenario decisivo sul futuro del continente e Lula è l’attore che può essere decisivo in ciò che accade in Brasile e in America Latina.

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