Nell’ora dei falchi Trump scoprirà che il suo addio al Medio Oriente riserverà amare sorprese, soprattutto se gli iracheni chiedessero il ritiro dei soldati Usa o la loro drastica riduzione. Una decisione che potrebbe scuotere dal torpore anche le nostre autorità sul destino dei militari italiani in Iraq. Noi, più che falchi o colombe, siamo in piccionaia.
L’effetto immediato dell’attacco al numero due del regime iraniano Qassem Soleimani e al suo braccio destro iracheno Abu Mahdi al Muhandisi è che le opposizioni, sia in Iraq che in Iran, verranno mese in un angolo. Questa è l’ora dei falchi non quella delle colombe. E lo stesso Trump potrebbe vedere rivoltarsi contro il colpaccio proditorio di Baghadad se gli iracheni chiedessero il ritiro dei soldati Usa o la loro drastica riduzione.
Una decisione che potrebbe scuotere dal torpore anche le nostre autorità sul destino dei militari italiani in Iraq. Noi, più che falchi o colombe, siamo in piccionaia.
In Iraq potrebbe cominciare una nuova guerra civile, persino più complessa delle precedenti, e non siamo attrezzati a un altro conflitto nel Golfo – visto che dovremmo preoccuparci della Libia sotto casa – come vorrebbero i deliranti esponenti dell’opposizione, affiancati come squillanti mosche cocchiere da commentatori sulla stampa e in tv sdraiati come tappetini sulle posizioni filo-americane, filo-israeliane e anti-iraniane.
Sono talmente smemorati che citando il nucleare iraniano si dimenticano di ricordare che è stato Trump ad affossare l’accordo del 2015, imponendo sanzioni anche alle nostre imprese con perdite di commesse per 30 miliardi di euro: insomma siamo cornuti, mazziati e pure contenti di esserlo.
Un Paese così tremebondo da non accorgersi che gli Usa in questi anni hanno portato le loro guerre in casa nostra, dall’Iraq, alla Siria, alla Libia. Sarebbe ora di decidere alcune cose.
1) Fermare le basi Usa in Italia fino a che la situazione non sarà chiarita, tenendo aperto solo il monitoraggio radar sulla Libia che ci interessa
2) Avviare il ritiro dei contingenti militari da Iraq e Afghanistan
3) Congelare gli acquisti degli F-35 americani
4) Consultarsi con l’Onu sulla sicurezza del contingente italiano e internazionale in Libano.
Né il presidente della repubblica, né il governo e tanto meno l’opposizione, che osanna Trump sperando in una sua telefonata, sono in grado di fare questo perché privi di ogni sovranità e dignità nazionale. Quindi agli italiani, abbandonati a se stessi, senza sapere cosa pensare del mondo e, dati i precedenti storici, abbastanza felloni di natura, non resta che darsi alla solita fuga, anche dalla realtà. Tanto ci pensano Trump, Putin ed Erdogan.
Ma sul fronte iracheno le cose si stanno muovendo rapidamente, come dimostrano i funerali di Soleimani voluti fortemente a Baghdad dalla leadership irachena e sciita.
Anche gli esponenti sciiti Come Muqtada Sadr ostili al governo del dimissionario, si stanno ricompattando, non escluso il grande ayatollah Alì Sistani, uno degli ultimi marja-e-taqlid in circolazione, una fonte dell’imitazione, che era stato più volte critico del governo per la sanguinosa repressione della manifestazioni contro la corruzione. Lo spazio per l’opposizione si restringe soprattutto nel campo sciita che teme dopo l’uccisione di Soleimani un ritorno in forze delle milizie sunnite.
Sugli oppositori può gravare sempre di più il sospetto che facciano il gioco non soltanto degli americani ma anche dell’Isis, di Al Qaida, di quelle forze che proprio il generale Soleimani aveva fermato nel 2014 alle porte di Baghdad prima che si impadronissero della capitale. Ovviamente ci siamo dimenticati anche di questo, come per Trump è stato facile, e criminale, scordarsi del sacrificio dei 10mila curdi siriani uccisi nelle battaglie contro il Califfato per poi abbandonarli in preda al massacro di Erdogan con il ritiro degli Usa dal Nord della Siria.
Di questo passo lasceremo in Medio Oriente così pessimi ricordi dell’Occidente da rendere quasi sfumata la memoria di protettorati coloniali e spartizioni dei primi anni Venti del Novecento che sono comunque all’origine dei mali contemporanei della regione e sono stati rinverditi dall’America di Trump con il riconoscimento dell’annessione israeliana del Golan e di Gerusalemme. Ora manca solo la Cisgiordania è il gioco è fatto: triturati i palestinesi, i siriani, gli iracheni, strangolati gli iraniani con le sanzioni, faremo spazio a un unico guardiano della regione, affiancato dall’Arabia Saudita del principe assassino Mohammed bin Salman cui tutti stringeranno la mano al prossimo G-20 di Riad.
Ma i falchi iraniani non sono tanto fessi. Hanno tenuto botta per vent’anni nella regione con un budget militare che è sei-sette volte inferiore a quello dei sauditi incapaci di qualunque successo in Yemen. Sono maestri della guerra asimmetrica e nel colpire i bersagli dopo lunghe attese. Nell’ora dei falchi Trump scoprirà che il suo sconnesso e lungo addio al Medio Oriente riserverà amare sorprese.
*questo articolo con il titolo: Iran-Iraq-Usa, l’ora dei falchi. L’Italia dorme, è stato pubblicato su Il manifesto del 5/1/2020
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