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La pandemia in un altro mondo

Come sarebbe una pandemia nel migliore dei mondi possibili?

Intanto ci potremmo finalmente fidare delle autorità, politiche o scientifiche che siano. Sapremmo che l’efficienza della sanità si valuta in base a quanti malati cura e non a quanti amici primari fa mangiare.

Sapremmo che le cure e la ricerca stanno in mano a chi le studia per il benessere della popolazione e non per i profitti di lobby e multinazionali del farmaco.

Potremmo fidarci di chi ci dice che la fase 2 può partire, perché non ci avrebbe lasciato alla fame per due mesi. E soprattutto perché nemmeno esisterebbe più la confindustria di merda.

Inutile dirvi che cambierebbe tutto…

C’è un punto che non sarebbe cambiato forse.

La pandemia – così tanto paragonata alla guerra forse pure per questo, chi sa – ci ha improvvisamente messo davanti, ci piaccia o meno, che nelle società umane esistono gli imprevisti. E pesano, contano. Soprattutto ci ha messo davanti al fatto che si muore, anche quando non è propriamente calcolato, nei modi già digeriti e abituali.

Questo stupore, quello di riscoprirsi improvvisamente esposti e non invincibili, forse sarebbe ben identico. È il pensiero che qualcosa sfugga al preventivato e al messo in conto, che insomma non siamo gli unici attori, che qualcosa che che dipende da altro da noi poi può decidere della nostra vita senza darci grandi spiegazioni o possibilità.

Il capitalismo ci ha raccontato il mito dell’onnipotenza, o meglio della potenza umana come immensa capacità di sottomettere, sopraffare, senza limiti di sorta. E noi ci abbiamo pure creduto, dopo un po’.

È una società che ha compensato la sua intrinseca violenza rimuovendo da ogni orizzonte di pensiero la possibilità della morte, la più naturale di tutte, con la promessa di una vita senza troppe pretese, purché sia più a lungo possibile. E senza grandi sforzi.

Certo una società diversa, radicalmente diversa, probabilmente ci educherà a un altro tipo di rapporto con la vita, e con la morte, ma questo richiederà secoli anche per quella società nuova.

Anche nel migliore dei mondi possibili potremmo trovarci davanti a una malattia sconosciuta, magari pure peggio di questa. E in assenza della possibilità di sradicarla, cosa faremmo? Prese tutte le precauzioni del caso, senza Confindustria che ci obbliga a infettare 300 persone in un’unica volta perché qualcuno ci guadagna dal nostro lavoro, senza questo, cosa faremmo?

Non ci comporteremo da irresponsabili, ma a un certo punto accetteremo la possibilità di convivere con quel fattore. Penso che faremo di tutto per tutelarci, ma saremmo disposti a fermare la riproduzione sociale?

Saremo disposti a smettere di sentire l’aria in faccia e abbracciare altri, seppur pochi, esseri umani per un anno o chi sa quanto?

Forse impareremo a farci i conti con l’idea che è possibile morire, senza per questo sentirci impediti alla vita, paralizzati dall’ansia, col terrore che ci blocca, soli davanti alla paura, come capita ora.

Questo non è un post di soluzioni, ma solo di domande. E non attiene nemmeno all’ora, quindi non cercateci indicazioni pratiche sul qui e adesso perché non ce ne sono. Il coronavirus ci ha messo davanti a problemi assai più grandi di noi, forse assai più grandi della mera preoccupazione di sopravvivere.

P. S. Dire che anche nel migliore dei mondi possibili una pandemia sconosciuta sarebbe un problema non significa sminuire il ruolo criminale di questo sistema sociale ed economico. Intanto perché sarebbe un problema di ordine infinitamente diverso da quello attuale. Ma soprattutto perché scoprirsi non troppo diversi da una foglia, esposti alla forza di venti che in fin dei conti non controlliamo noi, ci deve far muovere ancora di più il culo per costruirlo questo migliore mondo possibile.

Non abbiamo garanzie a lungo termine sulla nostra vita, facciamo almeno che il tempo che ci è dato sia meraviglioso e senza inutili sofferenze per tutti.

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