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Interviste sulla Fase 2 della Crisi Pandemica. Roma

D: Nelle precedenti interviste abbiamo ragionato degli attuali snodi derivanti dalla cosiddetta Fase 2 della Crisi Pandemica. A Beatrice Gamberini – attivista di Potere al Popolo a Roma – chiediamo come ha interpretato l’impatto di questa inedita situazione con la metropoli capitolina e, soprattutto, come i settori popolari hanno vissuto il lockdown e queste prime settimane di ripartenza?

R: Diciamo che già dal lockdown si è capito che segno sta avendo questa crisi sul tessuto della Capitale. Tantissime persone si sono ritrovate senza un reddito e senza ammortizzatori sociali.

I settori che hanno immediatamente bloccato le attività sono state quelle legate al settore turistico, alla ristorazione e al mondo esternalizzato della pubblica amministrazione.

Insomma è stato colpito soprattutto quel lavoro povero e senza tutele che a Roma è in costante aumento in questi anni, risultato di quel “Modello Roma” nato dallo smantellamento del settore pubblico dagli anni ’90.

Un dato significativo è il numero elevatissimo delle richieste dei buoni spesa, oltre 160 mila, che testimoniano una necessità materiale che va oltre all’emergenza quotidiana già presente prima del 4 marzo nelle periferie della Capitale.

La mancanza di provvedimenti di sostegno da parte delle istituzioni, ormai ai ferri corti sulle risorse disponibili, ha mostrato una politica che non vuole e non è più in grado di dare risposte, anche le più basilari.

Sul piano dei servizi pubblici già incombe la nuvola nera del ricatto del debito del Comune di Roma e delle società partecipate, sull’orlo del default.

Oggi per molti c’è preoccupazione di non mettere un piatto a tavola. Per le strade c’è la consapevolezza che questa crisi economica e sociale lascerà un segno e che la ripartenza potrà significare perdita di lavoro, disoccupazione e aumento delle disuguaglianze. Ma proprio per rispondere a questo, molte realtà politiche e sociali si stanno organizzando.

 

D:Potere al Popolo, coerentemente con la sua impostazione politica di rottura, ha, da subito, affermato che nulla più sarà come prima. Nei limiti oggettivi di una condizione in cui occorreva – prevalentemente – salvaguardare la sicurezza sanitaria delle persone e di un clima sociale sottoposto ad evidenti torsioni autoritarie come avete agito nei quartieri della capitale e che interazioni avete avuto con le altre forme della solidarietà, del mutualismo e del sindacalismo metropolitano?

R: Le evidenti necessità che stavano nascendo nei nostri quartieri hanno fatto mettere in moto una rete di solidarietà per garantire un sostegno immediato di fronte ad una impressionante assenza delle istituzioni.

Dalle Case del Popolo abbiamo attivato una rete di distribuzione di pacchi alimentari, di spesa solidale, di supporto alla richiesta di sussidi. Azioni di solidarietà, che come noi hanno lanciato tante altre realtà, che hanno garantito un sostegno fattivo in un momento di emergenza sociale senza precedenti, un punto di partenza per noi da cui costruire percorsi di lotta.

Pur consapevoli della necessità di dover assumerci la responsabilità sociale di contenimento del contagio con opportune tutele, non potevamo rimanere in silenzio.

Con questo spirito siamo stati a fianco dei sindacati, dei movimenti e degli studenti che hanno messo in campo mobilitazioni per la richiesta di reddito e diritto alla casa, in risposta all’inconsistenza dei provvedimenti del governo.

Nelle settimane passate sono state numerose le iniziative territoriali che a partire della questione dei buoni spesa, hanno portato al centro del dibattito cittadino la voce di rabbia delle periferie, da Casalbruciato a San Basilio. Tanti di noi erano in quelle piazze.

 

D: Il dipanarsi della crisi Pandemica ed il suo impatto sociale hanno scoperchiato il disastro a cui è stata ridotta la Sanità Pubblica e la fragilità di ciò che residua dei sistemi di Welfare. In che modo ritieni che Potere al Popolo possa attivarsi per costruire, nei prossimi mesi, una mobilitazione adeguata alla situazione che si è determinata?

R: L’attacco padronale alle conquiste di classe del secolo passato ora presenta il conto. Per la sanità questo discorso è evidente, con il fallimento di un modello privatizzato e regionalizzato che non è riuscito a garantire la salute della cittadinanza in una crisi sanitaria imprevista, ma non imprevedibile.

Tagli e dismissioni dei servizi pubblici sono stati aggravati dalle politiche di rientro dei disavanzi imposti dai patti di stabilità interni e dai vincoli dell’Unione Europea.

Proprio nel Lazio si è usciti da un periodo di commissariamento con la chiusura di 16 strutture, garantendosi il primato del servizio regionale più privatizzato dopo la Lombardia.

Dal lampante fallimento di questa gestione dei beni comuni, è arrivato il momento di dare battaglia a tutto campo per la rivendicazione di un modello altro, svincolato da logiche di profitto, pubblico e centralizzato che rimetta al centro l’interesse generale, a partire dal rifiuto di ogni logica di autonomia differenziata, che dagli anni ’90 ha polarizzato le differenze tra i territori.

Dopo anni in cui l’ideologia dominante sembrava non ammettere replica, oggi è la realtà che ci permette di affermare che è necessario un sistema alternativo. Credo che dovremmo iniziare a immaginare mobilitazioni di piazza con queste parole d’ordine per il prossimo periodo.

D: Molti osservatori, di parte borghese, hanno sottolineato in questi mesi la crisi e i limiti della contemporaneità capitalistica e, soprattutto, del modello occidentale. A tuo parere come può riqualificarsi la lotta per la trasformazione sociale – il Socialismo del XXI° secolo – in questa congiuntura politica?

R: A livello globale, il modello occidentale sta mostrando tutte le sue contraddizioni, soprattutto se rapportato con altri modelli ad economia pianificata come quello cinese, che in questa pandemia hanno dimostrato di saper maggiormente gestire il propagarsi del contagio e assicurare la tutela della salute.

La solidarietà internazionalista ricevuta da Cuba pur sottoposta ad un embargo durissimo, e il silenzio assordante degli storici alleati dall’Unione Europea e agli Stati Uniti, è qui a dimostrarci che un altro mondo è possibile.

Oggi è evidente la necessità di modello alternativo, che rompa con le compatibilità di questo modello fallimentare. Un sistema che rimetta al centro l’interesse generale, un’economia finalizzata ai bisogni e non al profitto.

Si ritorni a parlare di pianificazione pubblica, di nazionalizzazione dei settori strategici, di ripubblicizzazione dei servizi essenziali, di rottura dei Trattati Europei e della gabbia monetaria dell’euro, dell’uscita dalla Nato e dell’individuazione di nuove alleanze internazionali basate sulla cooperazione e non sulla competizione.

Sapendo che per praticare questa strada occorre costruire insieme una forza politica e sociale in grado di attuarla.

Foto di Patrizia Cortellessa

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