Quasi quarant’anni fa mi aggiravo di notte con un compagno nella zona universitaria di Bologna. Per lo meno a parole eravamo tutti e due intenti a tenere lontani poliziotti e spacciatori. In una zona temporaneamente autonoma di cui rivendicavamo con orgoglio la giurisdizione e che era tappezzata dalla scritta a caratteri cubiltali «Nè eroina né polizia». Ma la fantasia per fortuna viaggiava anche su altri piani e il discorso cadde su uno scritto di Adorno.
Ho un gran bel ricordo di quella notte e delle nostre fantasticherie perché il compagno che studiava filosofia mi parlò del mito delle Sirene secondo l’interpretazione del filosofo francofortese e mi fece subito intuire come l’incontro in solitaria di Ulisse con i segreti inquietanti di queste creature non rappresentasse altro che la nascita dell’alienazione, la moderna divisione fra lavoro intellettuale e manuale. Anche considerando come solo Ulisse avesse il privilegio di sentirne il canto, mentre i vogatori non potevano far altro che intuire il piacere e i suoi pericoli solo tramite le espressioni del suo volto.
Era questa la nascita della borghesia poi degenerata a livello mediatico nelle facce di bronzo che ci sorbiamo tutte le sere in televisione o sui giornali.
Un mito che risuona in maniera sempre più stonata fin dai tempi della prima grande offensiva contro la canapa del gruppo dei giornali di Randolph Hearst, negli Stati Uniti, una delle prime campagne di manipolazione di massa di grande successo in favore della guerra alle droghe (sostanzialmente anche di stampo razzista).
Come allora, quasi ogni giorno il sistema “informativo” di massa accompagna le nostre difficoltà esistenziali con l’evocazione allineata ed alienata della dimensione del sesso e del piacere – con un processo di rimozione dei nostri sentimenti e del necessario processo di maturazione – con effetti piuttosto deleteri anche rispetto alla nostra relazione con gli adolescenti. Ivi compreso il rapporto con i generi voluttuari.
Una vera e propria tragedia dell’ascolto che viene costantemente riproposta da un “quartetto” composto da moderni e volgari sacerdoti che si alternano fra medici, ecclesiastici, sedicenti educatori e tutori di un ordine che è a tutto vantaggio dei soliti padroni manipolatori, dei media come della farmaceutica. E che ora si battono per lo spaccio di una nuova droga che anni fa Alberto Grifi definiva la normalina.
E’ una scena che si ripropone quasi ogni giorno quando molti di noi leggono in qualche giornale di provincia storie o casi legati alle droghe. Quasi sempre in cronaca nera.
Come nel mito di Ulisse sussiste una divisione quasi netta fra chi vive la dimensione del consumo – con obbligo alla clandestinità – e la gran massa che accetta passivamente la gogna mediatica, sviluppando una segreta passione per le sfighe degli altri: per i Tedeschi è la Schadenfreude, la gioia nell’ombra.
Impedendo peraltro un corretto utilizzo dei generi voluttuari che, pur destinato solo a un pubblico adulto, è possibile solo con processi di acculturazione spesso impossibili in un contesto clandestino o di stigmatizzazione come sta avvenendo anche con l’alcool.
E’ il tran tran quotidiano. Lontano dalle barricate, in una dimensione tra emigrazione interna e rivolta individuale.
Anche se poi su questi argomenti scabrosi i ragazzi tendono a fondare innumerevoli “zone temporaneamente autonome”, come dimostrano i lavori sulle leggende metropolitane di Cesare Bermani, pur se molti di loro sono – anche giustamente – confusi dalla dimensione terroristica che circonda le sostanze e considerando come la ricerca del piacere sia del tutto naturale anche in tenera età.
Per i più svantaggiati e meno informati sono in effetti pochi e scarsi gli aiuti in caso di difficoltà. Anche per questo la sinistra a Berlino propone la somministrazione controllata di tutte le sostanze per soggetti minorenni, anche a discapito della potestà genitoriale, in casi e situazioni disfunzionali potenzialmente letali che riguardano i consumatori problematici. Togliendo paraocchi e tanto cerume a chi di dovere.
Un’informazione meno sbilanciata potrebbe contribuire, affiancata da un approccio terapeutico non giudicante. Non abolire, ma sicuramente temperare gli effetti negativi, largamente esagerati dalla narrativa comune. E’ assolutamente possibile come dimostra il caso della Svizzera. Cosa piuttosto difficile in Italia con questi soloni ancora saldamente al potere.
Un approccio laico potrebbe fare dell’Italia uno dei Paesi potenzialmente più razionali e felici del mondo. Una educazione alle sostanze e ai sentimenti che, assieme all’educazione sessuale, dovrebbe incarnare parte della sfida del nostro sistema educativo, che ora produce un popolo di infingardi e ruffiani.
Invece ancora una volta assistiamo a numerose censure nel Parlamento, nei media e fra la gente. Una vera e propria tragedia dell’ascolto di tanta gente dalle orecchie tappate e dal cuore chiuso. Lasciamo da parte le dichiarazioni rilasciate ai media di tante comunità terapeutiche, che campano con l’attuale mix di moralismo e di acquiescenza rispetto allo stato di cose esistente, veramente deprimente, e che è divenuto il leitmotiv della Unione Europea.
La morte di ragazzi giovani (come i due quindicenni a Terni pochi giorni fa) per cause mai chiarite portano sconforto ed inquietudine. In molte mamme in particolare. Per i moralisti la conclusione pare piuttosto bizzarra. Per personaggi come il giornalista Antonio Polito o come Matteo Salvini la soluzione è la solita “guerra”.
Compito del governo sarebbe ogni tre anni convocare una conferenza nazionale o per lo meno un dibattito aperto dentro e fuori il Parlamento. Sarebbe un obbligo di legge, come non fornire armi ai torturatori libici o egiziani. Invece ci vengono scodellati dati scomposti e quindi sequenziati in forma manichea e terribilmente terroristica.
Solo la dose fa il veleno, direbbe Paracelso, considerando che anche l’acqua può uccidere, ma per questi moralisti si tratta invece di imboccare una strada metafisica che produce molti più danni di quanti ne prevenga.
Contenti loro se si tengono le loro superstizioni, ma che nessuno si sogni di seguirli sul sentiero di guerra. Questa lotta alle droghe è razzista e sessista.
E le nostre vite contano!
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