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Assodelivery, un’altra “conquista” della marcia dei quarantamila

Il 16 settembre AssoDelivery, l’associazione delle maggiori piattaforme di food delivery, ha siglato un accordo con UGL* Rider.

L’accordo ha scavalcato e preso in contropiede gli stessi confederali che avevano aperto un tavolo di contrattazione al Ministero del Lavoro con AssoDelivery per la discussione di un contratto collettivo nazionale, come imposto dal Decreto Rider.

La stessa AssoDelivery aveva pubblicamente riconosciuto la legittimità delle richieste sindacali, salvo poi firmare senza alcun preavviso l’accordo con UGL Rider, una sigla partorita da UGL da un giorno all’altro e misteriosamente già in grado di contare su un numero di iscritti tale da poter rivendicare la legittimità a rappresentare la categoria.

L’accordo ha eluso così sia gli effetti del Decreto Rider, che in assenza di un accordo tra le parti sociali entro il 2 novembre avrebbe fatto scattare l’applicazione di una paga minima su base oraria in linea con quella dei lavoratori della logistica sia una sentenza della Corte di Cassazione che a gennaio aveva stabilito che i rider non devono essere considerati lavoratori autonomi.

Perfino la compatibilità dei sindacati concertativi arrivava a chiedere almeno il riconoscimento della subordinazione e uno schema retributivo misto, con un minimo garantito su base oraria.

Qui, invece, si stabilisce la stipula di contratti di collaborazione a tempo indeterminato, che l’azienda può sciogliere in qualsiasi momento con un preavviso di trenta giorni, e un salario minimo  calcolato solo su base oraria, ma legato al tempo effettivo delle singole consegne, quindi di fatto ancora a cottimo.

Ci troviamo di fronte a un fenomeno nuovo che segna uno scatto in avanti della violenza padronale, oltre lo schema classico della concertazione tra Confindustria e i tre sindacati confederali.

I nuovi padroni delle grandi piattaforme digitali, che si muovono proiettati in una dimensione internazionale, hanno la forza di scavalcare le dinamiche e gli equilibri dei singoli paesi e di imporre il proprio modello di ipersfruttamento, che supera i vincoli della subordinazione contrattuale e priva quelli che sono di fatto i suoi dipendenti di qualsiasi tutela, nella totale atomizzazione e inaccessibilità a quei diritti residuali garantiti ancora dai contratti collettivi nazionali.

Deliveroo non ha infatti perso tempo, ricattando direttamente i propri fattorini senza alcuna mediazione sindacale con un messaggio in cui si obbligava a sottoscrivere il nuovo contratto di collaborazione per poter continuare a lavorare.

Davanti a tutto questo, un’istituzione come Confindustria, retaggio di logiche novecentesche ed espressione di una borghesia nazionale stracciona e parassitaria com’è la nostra, risulta uno strumento ormai obsoleto e inadeguato, e dovrà rassegnarsi a un ruolo di secondo piano, al traino di quanto si muove nella competizione internazionale.

Come, di riflesso, viene meno il ruolo storico dei confederali, che vedono crollare il proprio monopolio sulla rappresentanza. Confederali che infatti vediamo agitarsi in questo ore con velleitarie mobilitazioni con cui cercano maldestramente di rientrare nella partita e non rimanere tagliati fuori dalla spartizione della torta.

Proprio il 14 ottobre di quarant’anni fa la marcia dei presunti quarantamila crumiri della Fiat a Torino segnava in Italia l’inizio della controffensiva padronale nei confronti di tutto il movimento di classe e di tutti gli avanzamenti in termini di diritti e salario che aveva saputo conquistarsi attraverso il ciclo di lotte degli anni settanta.

Evento già di recente glorificato a mezzo stampa in occasione della morte di Arisio, leader dei quadri Fiat e promotore di quella marcia controrivoluzionaria, che non ci dispiace affatto che quest’anno non possa festeggiare quella data.

Quelli che vediamo oggi sono i risultati di quella sconfitta, della sconfitta di chi ha tradito, aprendo alla stagione della concertazione e della pace sociale, nella convinzione che la risposta ai tempi che stavano cambiando fosse aprire alla collaborazione coi padroni.

Quelle scelte le paghiamo tutte oggi, dall’abolizione dell’articolo 18 fino a quest’ultimo accordo di AssoDelivery.

Padroni e crumiri, il vostro posto è nel bidone della storia.

E’ nostro compito riscattare quel patrimonio di lotte. Solo così ci conquisteremo un futuro diverso da quello a cui ci stanno condannando.

* L’Ugl è un microsindacato di origine fascista – prima si chiamava Cisnal ed era la “cinghia di trasmissione” del Movimento Sociale Italiano (Msi) – poi passato armi e bagagli in quota Lega. Il suo dirigente più noto è stato Claudio Durigon, poi sottosegretario al lavoro nel primo governo Conte.

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