Per conflitto a bassa intensità (LIC/low intensity conflict) s’intende l’uso di forza militare applicata selettivamente e in modo limitato. Si attribuisce questa definizione, risalente al 1971, al generale dell’esercito britannico in pensione e scrittore di argomenti militari, in particolare proprio di operazioni a bassa intensità, sir Frank Kitson . Con questa espressione si indica il dispiegamento e l’uso di truppe e/o risorse in situazioni diverse dalla guerra vera e propria.
Secondo Noam Chomsky il ricorso a tali pratiche sarebbe assimilabile, in tutto e per tutto, al terrorismo. Si tratta di operazioni contro “non-stati”, ovvero, contro entità diverse dallo stato, o non riconosciute come tali, classificate come controinsurrezionali, antisovversive e, più recentemente, di peacekeeping [1].
Nello US Army Field Manual, documento ufficiale USA [2] è contenuta la seguente definizione: «… un confronto politico-militare tra stati o gruppi contendenti, al di sotto della guerra convenzionale e oltre l’ordinaria, pacifica competizione tra stati. Spesso implica prolungate lotte di principi ed ideologie concorrenti fra loro. Il LIC spazia dalla sovversione all’uso delle forze armate. Si sostanzia di una combinazione di mezzi, adopera strumenti politici, economici, informativi e militari. I LIC sono spesso circoscritti a certe aree, generalmente nel Terzo Mondo, ma implicano questioni di sicurezza regionale e globale.».
Il LIC richiede soprattutto metodi di HUMINT [3] in cui l’intervento umano (spionaggio tradizionale) postula un elevato dispendio di risorse operative. Nelle prime fasi dell’insurrezione, buona parte dell’azione militare è “morbida” — lavorando in sinergia con le autorità civili nelle operazioni psicologiche, propaganda, contro-organizzazione, cosiddetto “cuori e menti” [4].
Se il conflitto procede, eventualmente arrivando allo scontro armato, il ruolo si aggiorna comprendendo identificazione e rimozione dei gruppi armati, ma ancora, a basso livello: comunità piuttosto che intere città.
In tutta l’estensione fenomenologica del LIC, si riscontra una necessità generale che le forze armate agiscano in modo a loro non congeniale, a cui non sono ben addestrate — poiché lavoro di polizia, omicidi mirati, arresti, interrogatori e violazioni dei diritti umani non sono oggetto di particolare addestramento delle forze armate ordinarie e perciò spesso si accompagnano a torture violente, errori ed uccisioni non necessarie.
Le stragi nazifasciste in Italia nell’intervallo di tempo che va dal luglio 1943 al maggio 1945 causarono la morte violenta di 23.669 persone, tra cui donne, anziani e bambini. Eppure, il 22 giugno del 1946, entrò in vigore la cosiddetta “amnistia di Togliatti” che portò alla cancellazione di tutti i reati commessi fino al 18 giugno di quell’anno tranne quelli connotati da particolare efferatezza. Migliaia di ex membri del partito fascista e loro collaboratori furono liberati dalle carceri o furono esonerati dai loro processi.
L’amnistia prese il nome dal leader del Partito Comunista Italiano, Palmiro Togliatti, all’epoca ministro della Giustizia. Si stima che più 10 mila fascisti furono liberati. Al netto di ogni altra considerazione, quell’amnistia aveva come obiettivo la chiusura di un ciclo drammatico della storia del paese e l’apertura di una nuova fase. Le cose andarono, poi, in senso decisamente opposto.
Il 18 aprile 1948, le prime elezioni politiche della storia della Repubblica sancirono la vittoria fraudolenta(come dimostrato dai documenti riservati desecretati recentemente dagli USA) della Democrazia Cristiana e dei suoi alleati e la sconfitta del fronte delle sinistre (Partito Comunista e Partito Socialista), dopo una campagna elettorale molto combattuta ma condizionata in modo determinante dagli USA e dal Vaticano.
Secondo un recente studio di Dov H. Levin, tra il 1946 e il 2000 Washington avrebbe provato a influenzare i risultati di ben 81 competizioni elettorali nel mondo. Nel complesso l’esito di queste ingerenze è stato alterno. Però, secondo i dati di Levin, gli Stati uniti sarebbero riusciti a far vincere le forze politiche che sostenevano in quasi il 60% dei casi.
Gli Stati uniti destinarono all’Italia 227 milioni di dollari di aiuti economici nel primo trimestre del 1948 e sfruttarono politicamente i finanziamenti del Piano Marshall per orientare l’elettorato verso i partiti filoamericani. Inoltre, sobillata dal governo De Gasperi che aveva tutto l’interesse a drammatizzare il rischio di una vittoria comunista alle urne, la Cia destinò alcuni milioni di dollari al finanziamento della campagna elettorale della DC e dei suoi alleati.
In tale occasione, il governo di Washington fu coadiuvato nella sua iniziativa dalle comunità italiane in America a scoraggiare il voto per i candidati del Fronte Democratico Popolare. Tali condizionamenti non sono stati limitati al periodo della guerra fredda, in nome della lotta al comunismo, ma sono proseguiti anche negli anni successivi per insediare o portare al potere governi disposti a cooperare con Washington.
Il 1° maggio del 1947 era stata compiuta la strage di Portella della Ginestra, in provincia di Palermo, da parte della banda criminale di Salvatore Giuliano che sparò contro la folla di contadini riuniti per celebrare la festa dei lavoratori facendo 14 morti e decine di feriti. Salvatore Giuliano venne ucciso con diversi colpi di pistola da Gaspare Pisciotta il quale, poi, a sua volta, fu avvelenato mentre era in carcere con un caffè alla stricnina onde evitare che riferisse i nomi dei veri mandanti della strage.
Alle 11:30 del 14 luglio 1948 Togliatti subì un attentato: fu colpito da tre colpi di pistola sparati a distanza ravvicinata mentre usciva da Montecitorio. In tutta Italia, soprattutto nel Nord e nel Centro ci furono manifestazioni e scontri sanguinosi. Secondo il ministro dell’Interno Mario Scelba i due giorni di mobilitazione generale successivi all’attentato a Togliatti provocarono 16 morti (9 tra gli agenti e 7 tra i civili) e un numero imprecisato di feriti.
Molte fabbriche del Nord, a Sesto San Giovanni come a Torino, vennero immediatamente occupate, a Genova, i militanti sequestrarono cinque autoblindo della polizia, a Piombino gli operai delle acciaierie si mobilitarono in modo compatto e invasero la città, a Roma si svolse il più imponente sciopero generale mai visto.
Il 29 ottobre del 1949 vi fu la strage di Melissa, in Calabria, nota anche come eccidio di Fragalà, quando tre giovani contadini, due uomini e una donna, furono uccisi dalla polizia in seguito all’occupazione delle terre incolte del latifondo del barone Berlingieri.
Gli anni cinquanta furono si gli anni della ricostruzione ma furono anche gli anni della Fiat di Valletta e del suo fido collaboratore Vittorio Cavallo accusato di organizzare squadre di provocatori da utilizzare in occasione dei comizi sindacali.
In quegli anni fondava il «Sida», il cosiddetto sindacato giallo sostenuto dall’ azienda: nell’ aprile del ‘ 58 il Sida vinse le elezioni per le commissioni interne. Il sindacato, quello vero, era totalmente marginalizzato, i ritmi di lavoro durissimi e la linea del comando saldamente in mano al padrone.
A Genova, il 30 giugno 1960, si verificano scontri seguiti al corteo indetto dalla Camera del Lavoro e appoggiato dall’opposizione di sinistra per protestare contro la convocazione a in quella città del sesto congresso del Movimento Sociale Italiano.
L’allora presidente del consiglio e capo del governo, Fernando Tambroni, decise di usare le maniere forti dando l’ordine a Polizia e carabinieri di reprimere con ogni mezzo qualsiasi focolaio di protesta. E le proteste furono tante e ovunque, rivelando in particolare le eccezionali dimensioni del malessere che serpeggiava soprattutto tra i giovani – le “magliette a strisce”, come si chiamarono dal diffusissimo uso, allora, di una t-shirt bicolore – diventati subito il simbolo delle lotte di quel 2 luglio1960.
Quel giorno, sull’onda dello sciopero genovese, c’è la prima vittoria: il congresso è annullato, i delegati dell’Msi appena arrivati lasciano Genova in fretta e soprattutto in incognito, alla spicciolata.
A Reggio Emilia, il 7 luglio 1960, nel corso di una manifestazione sindacale , cinque operai reggiani, i cosiddetti morti di Reggio Emilia, Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri e Afro Tondelli, tutti iscritti al PCI, furono uccisi dalla polizia.
Il 7 luglio del 1962 esplode la rivolta operaia di piazza Statuto a Torino. La Fiom e la Fim cittadine proclamano uno sciopero di tutti i metalmeccanici torinesi, a sostegno della lotta alla Fiat, iniziata a giugno.
Lo sciopero riesce in pieno. All’esterno di Mirafiori e di altre fabbriche vi furono violenti scontri dopo che i picchetti, bloccate le entrate, rovesciarono delle macchine e picchiarono alcuni dirigenti senza che la polizia riuscisse a controllare la situazione. Nel corso della mattinata si sparse la voce che la Uil e la Sida, il sindacato “giallo” padronale, avevano raggiunto un accordo separato con la direzione Fiat: in seguito a ciò 6-7.000 operai, esasperati da questa notizia, si riunirono nel pomeriggio in piazza Statuto di fronte alla sede della Uil.
Per due giorni la piazza fu teatro di una straordinaria serie di scontri tra dimostranti e polizia: i primi, armati di fionde, bastoni, e catene, ruppero vetrine e finestre, eressero rudimentali barricate, caricarono più volte i cordoni della polizia; la seconda rispose caricando le folle con le jeep, soffocando la piazza con i gas lacrimogeni, e picchiando i dimostranti con i calci dei fucili.
Gli scontri si protrassero fino a tarda sera, sia sabato 7 che lunedì 9 luglio 1962. Dirigenti del Pci e della Cgil, tra i quali Pajetta e Garavini, cercarono di convincere i manifestanti a disperdersi, ma senza successo. Mille dimostranti furono arrestati e parecchi denunciati. La maggior parte erano giovani operai, per lo più meridionali.
Il PCI è colto di sorpresa da questa radicalità che non riesce a controllare, e l’Unità del 9 luglio definirà la rivolta “tentativi teppistici e provocatori”, ed i manifestanti “elementi incontrollati ed esasperati”, “piccoli gruppi di irresponsabili”, “giovani scalmanati”, “anarchici, internazionalisti”.
I Quaderni Rossi (Panzieri, Tronti, Negri), dal canto loro, giudicano gli scontri di piazza una “squallida degenerazione” di una manifestazione di protesta operaia, ma si guardano bene dal tacciare i manifestanti come “provocatori e fascisti”, così come li aveva presentati la sinistra ufficiale.
La rivolta di piazza Statuto segnò, per la prima volta l’emergere nella lotta di classe dell’operaio massa, come risulterà al processo dove due terzi degli imputati per le violenze di strada saranno giovani immigrati meridionali.
La figura dell’operaio-massa emerge in modo più netto e preciso che durante la rivolta di Genova del ‘60, della quale era stata protagonista un soggetto più genericamente giovanile, “i giovani dalle magliette a strisce”, e il nuovo soggetto operaio nato in questi primi anni ’60 sarà una delle figure sociali protagoniste delle lotte degli anni ‘70.
A livello politico, la rivolta di piazza Statuto segna sia il distacco definitivo tra i Quaderni Rossi e la Fiom e il Pci, sia una divergenza all’interno dello stesso gruppo dei Quaderni Rossi: da una parte chi vuole continuare il lavoro di analisi e lo considera predominante rispetto al lavoro direttamente politico (Panzieri), dall’altra chi (Tronti, Negri, Asor Rosa) vuole arrivare immediatamente a soluzioni politiche e organizzative. Questi ultimi daranno vita alla rivista Classe Operaia. [5]
Il 1964 è l’anno del “Piano Solo”, ovvero, della prima messa in scena di un colpo di stato militare fatto predisporre nel 1964 da Giovanni de Lorenzo durante il suo incarico di comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, con il benestare del Presidente della Repubblica Antonio Segni.
In Grecia, il 21 aprile 1967, i carri armati dell’esercito invasero le strade di Atene. Il colpo di stato era arrivato a sorpresa, nonostante la profonda crisi politico-istituzionale del paese si protraesse, mai sanata, dagli anni del dopoguerra. Il golpe militare era l’esito di 30 anni di lacerazione politica iniziata con la guerra civile tra i comunisti ellenici che avevano partecipato alla resistenza e il governo di Atene, terminata nel 1948 con la sconfitta dei primi.
La crescita dell’influenza americana sulla Grecia negli anni della Guerra Fredda aveva creato una fortissima struttura anticomunista nei servizi segreti militari che operavano secondo i dettami dell’operazione internazionale coperta Stay Behind diretta dalla CIA attiva anche in Italia.
Il 2 dicembre 1968 si compì il tragico eccidio di Avola che portò alla morte di due persone, Giuseppe Scibilia e Angelo Sigona e ad alcuni feriti, al culmine di una protesta contadina che aveva portato a uno scontro tra i manifestanti e le forze dell’ordine.
Con la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969 nel centro di Milano presso la Banca Nazionale dell’Agricoltura che causò 17 morti e 88 feriti, inizia una lunga serie di stragi che, sia nella fase preparatoria che in quella successiva di depistaggio, furono il prodotto delle attività coordinate di fascisti e di personaggi di altissimo livello dello Stato e dei dei servizi segreti.
Nel solo anno 1969 vi furono in Italia 145 attentati dinamitardi (di cui 96 sicuramente attribuibili ai fascisti). Fu la reazione violenta e massiccia al sessantotto studentesco ed all’autunno caldo operaio del 1969 che aveva avuto il suo culmine con il grande sciopero generale del 19 novembre 1969.
Il 22 luglio del 1970, la strage di Gioia Tauro causata dal deragliamento del treno direttissimo Treno del Sole Siracusa – Torino Porta Nuova del 22 luglio del 1970, avvenuto a poche centinaia di metri dalla stazione di Gioia Tauro. Si trattò di un attentato messo in atto congiuntamente da fascisti ed elementi locali della ndrangheta nel contesto dei moti di Reggio Calabria per il capoluogo di regione.
Avevano capito tutto Gianni Aricò, Angelo Casile, Franco Scordo, Luigi Lo Celso e Annalise Borth, età media 22 anni. Erano cinque anarchici di Reggio Calabria che avevano condotto un’indagine indipendente. E così la sera del 26 settembre del 1970, poco più di due mesi dopo l’ attentato, mentre andavano a Roma con la Mini Minor carica di documenti, furono travolti da un camion che li uccise.
Durante la notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 andò in scena un secondo tentativo di golpe militare organizzato da Junio Valerio Borghese, fondatore del Fronte Nazionale e in collaborazione con Avanguardia Nazionale. Dopo una prima condanna di numerosi congiurati, del 14 luglio 1978, la sentenza d’appello del 27 novembre 1984 mandò tutti assolti. Il 25 marzo 1986 la Cassazione confermò l’assoluzione di tutti gli imputati.
È in questo contesto che, nel 1970, nasce il primo nucleo delle Brigate rosse.
Fra il luglio 1970 e il maggio 1973 continuarono a verificarsi numerosissimi attentati dinamitardi, che causarono altre stragi tra i quali quello del 31 maggio 1972 a Peteano di Sagrado (GO) e quello del 17 maggio 1973 alla questura di Milano.
L’11 settembre 1973, in Cile, i militari guidati dal generale Pinochet misero in atto un golpe cruento con decina di migliaia di persone uccise per strada e nello stadio di Santiago. Il palazzo presidenziale della Moneda venne bombardato ed il presidente legittimo e leader di Unidad Popular, Salvador Allende, venne brutalmente assassinato.
A partire da quell’evento l’allora segretario del PCI, Enrico Berlinguer, cominciò a mandare i primi segnali di apertura alla Democrazia Cristiana avviando così la fase del cosiddetto “compromesso storico” ed aprendo, così, la strada, ai famigerati governi di unità nazionale che condussero, negli anni successivi, alla repressione feroce del più grande movimento di classe di tutto l’occidente.
Nel corso del 1974 fu elaborato l’ultimo piano per organizzare un eventuale colpo di stato in Italia: era il “golpe bianco” di Edgardo Sogno, preceduto dal piano “Solo” del 1964 e dal golpe Borghese del 1970. E proprio il 28 maggio 1974, durante una manifestazione sindacale, in Piazza della Loggia, a Brescia scoppiò una bomba posta in un cestino per i rifiuti sotto i portici: 8 morti e 103 feriti.
Meno di quattro mesi dopo il 4 agosto del 1974, alle 1.30 della notte, sul treno Italicus Roma-Monaco di Baviera, pieno di emigrati italiani, all’altezza della galleria della Direttissima, sulla linea ferroviaria tra Firenze e Bologna una bomba esplose nel secondo scompartimento della carrozza n. 5 causando la morte di 12 persone ed il ferimento di altre 44.
(Segue)
NOTE
[1] G. V. Brandolini (2002). Low intensity conflicts. CRF Press, Bergamo, 16 p.
[2] ^ US Field Manuals in public domain Archiviato il 12 ottobre 2007 in Internet Archive.
[3] HUMINT (acronimo di Human Intelligence), è l’attività di intelligence consistente nella raccolta di informazioni per mezzo di contatti interpersonali, e come tale si contrappone ad altri canali informativi più “tecnologici”. La NATO definisce la HUMINT come “una categoria di intelligence derivata da informazioni raccolte e fornite da fonti umane“. La HUMINT non è una fonte di sola intelligence diretta, ma anche di informazioni di tipo “controspionistico”
[4] Hearts and Minds di NICHOLAS D. KRISTOF (The New York Times)
[5] Dario Lanzardo, La rivolta di Piazza Statuto, 1979, Feltrinelli, Milano
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