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La cura del linguaggio: se la rappresaglia diventa “diritto di difesa”

Vediamo tanti squinternati sparare sciocchezze e falsità sulla “questione palestinese”. Magari soltanto per marcare un confine rispetto al dibattito in Italia. Una proliferazione tossica che non rispetta niente, motivata  solo dall’ansia di presentarsi al potere come “affidabili”.

Della serie “tranquilli, diciamo di essere antagonisti, ma non è mica vero. Siamo ‘occidentali’ come voi, non vi romperemo gli zebedei“. Una esposizione delirante, che ha bisogno di trovare “nemici interni”, “a sinistra” di solito, per accreditarsi nel potere imperialista.

Non ci interessa minimamente entrare in alcuna polemica. Ci sembra sufficiente ripetere quel che scrivevamo –  o riproponevamo – molto prima che la situazione in Palestina esplodesse. Con l’aiuto di Galeano…

Buona rilettura…

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Hamas è al governo di Gaza, ma i palestinesi non sono il governo di Gaza. Hamas è – lo vogliamo o meno – parte della resistenza palestinese anche se, per alcuni (spero tanti) di noi, è la parte certamente più regressiva.

Ma, va detto, Hamas non è causa ma effetto della lunghissima e feroce occupazione israeliana e, purtroppo, anche della degenerazione burocratica ed autoreferenziale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina in Gaza.

E comunque, le colpe di Hamas non sono le colpe di tutti i palestinesi, come le colpe di Benyamin Netanyahu e del Likud non sono, certo, di tutti gli israeliani. Bombardare gli inermi civili per colpire Hamas è soltanto un’azione di vile e criminale rappresaglia, ovvero, la medesima cosa che fecero i nazisti dopo l’attentato di via Rasella messo in atto, il 23 marzo 1944, dai G.A.P. contro le forze di occupazione tedesche in cui rimasero uccisi 33 soldati del reggimento “Bozen” appartenente alla Ordnungspolizei, la polizia tedesca.

Di quell’azione si assunse la piena responsabilità il comunista Giorgio Amendola e venne compiuta da una dozzina di gappisti, tra i quali Franco Calamandrei, Rosario Bentivegna e Carla Capponi.

La risposta dei nazisti occupanti fu l’eccidio delle Fosse Ardeatine, ovvero, la strage di 335 civili e militari italiani, prigionieri politici, ebrei o detenuti comuni, trucidati a Roma il 24 marzo 1944, per l’appunto, come durissima rappresaglia per l’attentato partigiano di via Rasella: 10 italiani per ogni soldato tedesco ucciso.

La narrazione dominante che impera su tutti i grandi mezzi di comunicazione chiama “diritto alla difesa” tutte le rappresaglie sioniste sulla popolazione civile di Gaza e le argomentazioni a sostegno di questa tesi, a ben vedere, sono del tutto analoghe a quelle rese note da Erich Priebke in un video diffuso subito dopo la sua morte, nel 2013, in cui il gerarca nazista attribuiva la totale responsabilità “morale” dell’eccidio delle Fosse Ardeatine… ai partigiani.

Compiere la strage fu una esperienza “terribile”, disse, ma “a cui non ci si poteva sottrarre” .

Secondo la sua “ricostruzione” i partigiani compirono l’attentato di via Rasella cercando la rappresaglia, per spingere i nazisti a compiere una strage che portasse la popolazione a ribellarsi.

L’attentato di via Rasella, disse, “fu fatto sapendo che dopo l’attentato sarebbe arrivata la rappresaglia perché c’era un avviso sui muri che lo comunicava: a qualunque attentato contro la polizia tedesca, c’era scritto, sarebbe seguita appunto una operazione di rappresaglia”.

Pertanto, per Erich Priebke, i Gruppi di Azione Partigiana, lo fecero apposta perché “pensavano che una rappresaglia nostra potesse provocare una reazione della popolazione, ciò che non è avvenuto”.

Una visione delirante che rovescia le responsabilità degli oppressori sugli oppressi che lottano per la propria liberazione.

Qualcosa che ricorda molto da vicino le gelide di dichiarazioni di Adolf Eichmann in occasione del suo processo, nel 1961. Priebke, come Eichmann, fu un uomo che compì azioni orribili, ma, come scrisse Hannah Arendt, forse solo per “incoscienza”, per un distacco dalla realtà malvagia dei suoi atti.

Probabilmente anche Priebke, come Eichmann, “non capì mai cosa stava facendo” a causa della sua “inabilità a pensare dal punto di vista di qualcun altro”. Una assoluta assenza di empatia che porta a distorcere, trasfigurare il senso delle proprie azioni e, di conseguenza, delle parole stesse.

Di seguito l’editoriale che lo scrittore uruguaiano, Eduardo Galeano, scrisse sul Manifesto del 15 gennaio 2009, dopo 19 giorni di bombardamenti dell’operazione militare israeliana contro la popolazione della Striscia di Gaza “Piombo Fuso” che si svolse tra il 27 dicembre 2008 ed il 17 gennaio 2009.

Il bilancio di quel massacro-genocidio fu di 1500 morti, molti dei quali bambini, e di circa 5000 feriti, oltre una vasta distruzione.

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Piombo impunito

 di Edoardo Galeano

Per giustificarsi, il terrorismo di stato fabbrica terroristi: semina odio e raccoglie pretesti. Tutto indica che questa macelleria di Gaza, che secondo gli autori vuole sconfiggere i terroristi, riuscirà a moltiplicarli.

Dal 1948 i palestinesi vivono una condanna all’umiliazione perpetua. Senza permesso non possono nemmeno respirare. Hanno perso la loro patria, la loro terra, l’acqua, la libertà, tutto. Non hanno nemmeno il diritto di eleggere i propri governanti. Quando votano chi non devono, vengono castigati. Gaza viene castigata.

Si è trasformata in una trappola per topi senza uscita da quando Hamas vinse limpidamente le elezioni nell’anno 2006.

Qualcosa di simile era accaduto nel 1932, quando il Partito Comunista aveva trionfato nelle elezioni in Salvador. Inzuppati nel sangue, i salvadoregni espiarono la loro cattiva condotta e da allora vivono sottomessi a dittature militari. La democrazia è un lusso che non tutti meritano.

Sono figli dell’impotenza i razzi caserecci che i militanti di Hamas, rinchiusi a Gaza, sparano con mira pasticciona sopra le terre che erano state palestinesi e che l’occupazione israeliana ha usurpato.

E la disperazione, al limite della pazzia suicida, è la madre delle spacconate che negano il diritto all’esistenza di Israele, urla senza alcuna efficacia, mentre una molto efficace guerra di sterminio sta negando, da anni, il diritto all’esistenza della Palestina.

Già non ne resta molta, di Palestina. Passo dopo passo Israele la sta cancellando dalla mappa. I coloni invadono, e dietro di loro i soldati modificano la frontiera. I proiettili sacralizzano il furto, in legittima difesa.

Non c’è guerra aggressiva che non dica d’essere guerra difensiva. Hitler invase la Polonia per evitare che la Polonia invadesse la Germania. Bush invase l’Iraq per evitare che l’Iraq invadesse il mondo.

In ognuna delle sue ‘guerre difensive’ Israele ha inghiottito un altro pezzo di Palestina, e il pasto continua. Il divorare si giustifica con i titoli di proprietà che la Bibbia ha assegnato, per i duemila anni di persecuzioni che il popolo ebreo ha sofferto, e per il panico causato dai palestinesi che hanno davanti.

Israele è il paese che non adempie mai alle raccomandazioni e nemmeno alle risoluzioni delle Nazioni unite, che non si adegua mai alle sentenze dei tribunali internazionali, che si fa beffe delle leggi internazionali, ed è anche il solo paese che ha legalizzato la tortura dei prigionieri.

Chi gli ha regalato il diritto di negare tutti i diritti? Da dove viene l’impunità con cui Israele sta eseguendo la mattanza di Gaza?

Il governo spagnolo non avrebbe potuto bombardare impunemente il Paese Basco per sconfiggere l’Eta, né il governo britannico avrebbe potuto radere al suolo l’Irlanda per liquidare l’Ira. Forse la tragedia dell’Olocausto comprende una polizza di impunità eterna? O quella luce verde proviene dalla potenza più potente, che ha in Israele il più incondizionato dei suoi vassalli?

L’esercito israeliano, il più moderno e sofisticato del mondo, sa chi uccide. Non uccide per errore. Uccide per orrore.

Le vittime civili si chiamano “danni collaterali”, secondo il dizionario di altre guerre imperiali. A Gaza, su ogni dieci ‘danni collaterali’ tre sono bambini. E sono migliaia i mutilati, vittime della tecnologia dello squartamento umano che l’industria militare sta saggiando con successo in questa operazione di pulizia etnica.

E come sempre, è sempre lo stesso: a Gaza, cento a uno. Per ogni cento palestinesi morti, un israeliano.

Gente pericolosa, avverte l’altro bombardamento, quello a carico dei mezzi di manipolazione di massa, che ci invitano a credere che una vita israeliana vale quanto cento vite palestinesi.

Questi media ci invitano a credere che sono umanitarie anche le duecento bombe atomiche di Israele, e che una potenza nucleare chiamata Iran è stata quella che ha annichilito Hiroshima e Nagasaki.

È la cosiddetta ‘comunità internazionale’, ma esiste?

È qualcosa di più di un club di mercanti, banchieri e guerrieri? È qualcosa di più di un nome d’arte che gli Stati uniti si mettono quando fanno teatro?

Davanti alla tragedia di Gaza l’ipocrisia mondiale brilla una volta di più. Come sempre l’indifferenza, i discorsi inutili, le dichiarazioni vuote, le declamazioni altisonanti, i comportamenti ambigui rendono omaggio alla sacra impunità.

Davanti alla tragedia di Gaza i paesi arabi si lavano le mani. Come sempre. E come sempre i paesi europei se le fregano.

La vecchia Europa, tanto capace di bellezza e di perversione, sparge una lacrima o due mentre segretamente celebra questo colpo maestro. Perché la caccia agli ebrei è sempre stata un’abitudine europea, ma da mezzo secolo questo debito storico viene fatto pagare ai palestinesi, che pure sono semiti e non sono mai stati, e non sono, antisemiti. Essi stanno pagando, in sangue contante e sonante, un conto altrui.

(Questo articolo è dedicato ai miei amici ebrei assassinati dalle dittature latinoamericane sostenute da Israele)

 * il manifesto 15 gennaio 2009

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3 Commenti


  • Patrizia

    analisi perfetta, che altro dire…


  • Claudia

    condivido e plaudo: mi riconcilia col mondo constatare che resiste un pensiero critico a tutta questa propaganda in atto. È l’ unica arma che abbiamo: cogito ergo sum


  • Pasquale

    Analisi condivisibile. Bloccare il progetto sionista o sarà la fine di Gaza.

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