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Il “pre-summit sui sistemi alimentari”? Ci prendono per imbecilli

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento diAntonio Onorati.

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È difficile e – forse – anche scorretto cercare di analizzare i risultati di un evento pubblico, istituzionale che ha visto un grosso impegno del nostro governo, come è stato il cosiddetto “pre-summit “ del UNFSS, senza avere sotto gli occhi una qualche sintesi finale sottoscritta dai responsabili di tale evento: o dal segretario generale delle Nazioni Unite o dal UN Secretary General’s Special Envoy for the Food System’s Summit.

Al momento in cui scrivo è stato impossibile avere accesso alle conclusioni perché, comunque, non poteva esserci una “dichiarazione finale” dei capi di Stato e di Governo (quindi degli Stati membri delle Nazioni Unite), perché questo rimane un evento senza legittimità come “summit”.

In effetti, alla conclusione in settembre ci sarà solo una dichiarazione del Segretario Generale Gutierrez, lo stesso che ha autonomamente promosso il cosiddetto Summit.

Non è facile dire se l’operazione sia riuscita, vista l’immane azione di critica, di distinguo o – per molte fondamentali organizzazioni sociali planetarie come la Via Campesina o il Comitato Internazionale per la Sovranità Alimentare1 (una piattaforma di oltre 800 organizzazioni di piccoli produttori di cibo di tutto il mondo) – l’aperto boicottaggio. Quello che però è, sinceramente, ridicolo, se non provocatorio, è la pretesa di presentare “soluzioni innovative” capaci di “cambiare il gioco”.

Al contrario, il filo conduttore della miriade di proposte che sono state fatte sfilare nei cosiddetti “dialoghi” o con l’intervento dei “campioni” finiscono tutte per convergere su uno schema vecchio di 30 anni e più.

Ma le forze economiche dietro l’evento, quelle del “capitalismo compassionevole”, quelle che non producono molta ricchezza materiale, ma solo moltissimi soldi per i proprietari e gli azionisti, quello che vogliono è semplice e un po’ scontato: «On est tous assis à faire la même dictée. Tous à manger la même bouillie dans l’assiette»2 (i poeti hanno questa strana capacità di vedere le cose con decenni di anticipo).

Il percorso della costruzione delle alternative al sistema alimentare dominante

Ma, non solo i poeti, anche i movimenti sociali, ed in particolare i movimenti contadini, dei pescatori artigianali, dei Popoli Indigeni o delle Prime Nazioni hanno capacità di immaginare il futuro. Documenti alla mano.

Noi rappresentiamo più di 1000 organizzazioni di almeno 80 paesi, di tutte le ragioni del Pianeta. Noi tenteremo di far sentire la voce di più di un miliardo di affamati e malnutriti, per la maggior parte donne e bambini. Attraverso delle consultazioni regionali e globali, abbiamo scoperto e affermato la nostra reciproca solidarietà. La nostra visione collettiva deriva dalla constatazione che la sicurezza alimentare è possibile….

La vergogna che provoca la fame e la malnutrizione planetaria impone l’intervento di tutti. Allo stesso tempo, insistiamo sul fatto che i Governi hanno la responsabilità, più importante ed irrinunciabile, di assicurare la sicurezza alimentare nazionale e globale

La globalizzazione dell’economia, così come la mancanza di qualsiasi efficace controllo sull’azione delle Multinazionali (TNC) e la diffusione di modelli di consumo insostenibili hanno aumentato la povertà nel mondo… L’economia globale oggi è caratterizzata dalla disoccupazione, da bassi salari, dalla distruzione delle economie dei territori rurali e dell’agricoltura familiare…3.

Venticinque anni dopo, il segretario generale delle Nazioni Unite e le persone più ricche della terra scoprono – bontà loro – che i sistemi alimentari così come sono (e come le forze economiche egemoni li hanno formattati) non funzionano e che occorre “cambiare il gioco”.

Ma, già nel 1996, nello stesso documento citato – presentato ai capi di Stato e di governo presenti al Vertice Mondiale sul cibo (WFS) dal portavoce nominato dal Forum – si sosteneva: “Per raggiungere la sicurezza alimentare, noi proponiamo un nuovo modello di sviluppo che rimette in discussione un gran numero delle tesi, delle politiche e delle pratiche che oggi sono correnti.

Questo modello, basato sul decentramento, contesta il modello attuale basato sulla concentrazione della ricchezza e del potere, perché mette a repentaglio la sicurezza alimentare, la diversità culturale e degli ecosistemi, cioè gli elementi costitutivi della vita sul Pianeta”.

E ancora, al punto 3, di 6 punti ritenuti prioritari: “L’agricoltura e i sistemi di produzione agricola ed alimentare che si basano sull’utilizzazione non rinnovabile di risorse e che hanno un impatto negativo sull’ambiente devono essere modificati a vantaggio di modelli basati sui principi dell’agroecologia”.

Queste proposte non sono nate dalla testa di illuminati pensatori, ma dall’intelligenza collettiva di donne e uomini che provengono dai settori più marginalizzati della società, al Nord come al Sud del mondo.

Negli anni a seguire, le politiche liberiste ed i processi di globalizzazione avanzano, trovano resistenze diffuse, spesso dolorosamente represse e dieci anni dopo inizia la più lunga crisi che il capitale ricordi nella sua storia.

Peggiore di quella del ’29 per durezza e lunghezza. L’accesso al cibo sano, sostenibile, salutare e di qualità diventa sempre più difficile mentre la povertà cresce non solo nelle aeree urbane, ma anche in quelle rurali dove, tra gli affamati troviamo contadini, pescatori e popoli nativi. Quelli che producono due terzi del cibo consumato nel mondo sono quelli che più soffrono la fame e la malnutrizione.

Una riflessione su quegli anni ci consente di tornare al pre-summit ed alle dichiarazioni dell’Inviato Speciale rilasciate ad un importante quotidiano italiano.

Agnes Kalibata, inviata del Segretario Generale dell’ONU spiega le nuove proposte contro la fame nel mondo: “Strumenti come i future bonds4, dal mio punto di vista, hanno rivoluzionato l’agricoltura nei Paesi industrializzati, dando prevedibilità sia ai contadini che agli acquirenti, oltre che sicurezza ai mercati attraverso i contratti. Questo ha permesso a molti contadini di difendersi in anticipo dai rischi sui prezzi5.

Mia la sottolineatura perché la questione dei contratti future non è marginale, ma è un pilastro della finanziarizzazione dell’agricoltura e dei sistemi alimentari e va vista nel mondo reale. La deregolazione di questo prodotto dell’industria finanziaria (la non obbligatorietà di consegnare il bene contrattato a termine) avvenuta ai tempi di Reagan e Clinton negli USA è da molti considerata la causa scatenante della crisi della “fiammata” dei prezzi dei prodotti alimentari del 2007/2008 e delle rivolte del pane.

Scrivevamo alla fine del 20086 “Un’analisi ancor più dettagliata mette in luce che i future di 12 derrate agricole – cereali come grano e mais, zucchero, soia, cotone, prodotti tropicali come cacao e caffè e alcuni prodotti zootecnici – comprese nell’elenco della US Commodity Futures Trading Commission (CFTC, l’organismo di controllo sui futures trattati in borsa) erano detenute da operatori fisici per il 29% a fronte del 50% per le commodities energetiche – greggio, gasolio, benzina, gas – palesando una maggiore vulnerabilità del settore agroalimentare e, in ultima analisi, della sicurezza alimentare di fronte all’alea speculativa, rispetto al settore energetico che si avvantaggia di un controllo maggiore ad opera di un nucleo ristretto di operatori industriali.

Nelle borse la posizione tradizionalmente dominante degli operatori del mercato fisico non è dunque più tale in quanto negli ultimi anni un ruolo egemone è stato assunto da investitori non impegnati nei processi di filiera.

Così, quando investitori esterni al mercato delle commodities vi entrano con disponibilità finanziarie enormi, le conseguenze sono (in)immaginabili: se gli investimenti degli index-fund su mais, soia, frumento, bovini e suini è aumentato a 47 miliardi di dollari del 2007 dai 10 nel 2006 nei soli primi 55 giorni del 2008, gli speculatori hanno collocato 55 miliardi di dollari sul mercato dei futures che si sono abbattuti duramente sul fronte dei prezzi energetici e alimentari che regolano i mercati fisici.

Continua Masters: “il prezzo dei future sulle commodity costituisce il prezzo di riferimento per i prezzi delle materie prime sul mercato fisico, così quando gli speculatori inducono l’aumento del prezzo dei future, gli effetti si sentono immediatamente sull’economia reale (Testimony of M.W. Masters – Portfolio Manager di Masters Capital Management, – LLC – before the Committee on Homeland Security and Governmental Affairs United States Senate (24 giugno 2008).”

Oggi, che il peso del capitale finanziario è ancora più preponderante, come è mai possibile riproporre un tale strumento come mezzo – tra gli altri – per sostenere il diritto al cibo per tutti? E se non c’è capacità normativa (oltre che di controllo) a livello di un singolo mercato finanziario quale quello statunitense, a maggior ragione non vi è capacità di risposta coordinata globale a livello internazionale, non esistendo alcun trattato multilaterale che regoli il mercato finanziario delle commodities!

UNFSS, niente di nuovo

Tornando al UNFSS attuale, niente di originale neanche nella proposta. In piena crisi alimentare del 2008, il 28 aprile il Segretario Generale dell’ONU, Ban ki-Moon, istituisce una Task Force sulla crisi alimentare globale, sotto la sua presidenza. È composta dai capi delle Agenzie specializzate delle Nazioni Unite, dei Fondi e Programmi, delle Istituzioni di Bretton Woods e delle parti competenti del Segretariato.

Scopo principale della Task Force è quello di promuovere una risposta unificata al problema dell’aumento globale dei prezzi del cibo, anche attraverso la creazione di un piano d’azione ed il coordinamento della sua attuazione (nei documenti ufficiali).

L’allora Direttore Generale della FAO protesta vivamente per questa iniziativa autonoma del Segretario Generale. La contesta e gli contropropone un ruolo centrale per la FAO. Convoca una riunione di “alto livello” di capi di Stato e di governo nel 2008 (per fare il punto) e propone agli Stati membri della FAO di convocare un Summit delle Nazioni Unite sulla crisi, per il 2009.

Prima del Direttore della FAO avevano protestato le organizzazioni sociali e dei piccoli produttori di cibo che si ritrovavano nella Comitato Internazionale per la Sovranità Alimentare (IPC in inglese). Seguirà uno stretto dialogo con la FAO, anche sulla base di un accordo formale tra FAO e IPC firmato nel 2003 e poi rinnovato, in cui c’era il riconoscimento dell’autonomia dei movimenti e la pari dignità delle rispettive responsabilità a conferma di un lento processo di democratizzazione della FAO stessa.

La riforma del Comitato per la sicurezza alimentare mondiale (CFS) della FAO è stata approvata con una standing ovation senza precedenti a Roma il 17 ottobre (2009). È stata elaborata in un processo aperto e trasparente durato otto mesi che ha coinvolto una vasta gamma di governi, istituzioni internazionali e organizzazioni della società civile, comprese quelle che rappresentano gli stessi piccoli produttori di cibo.

Durante le discussioni, i governi, sostenuti da tutte le organizzazioni della società civile presenti, hanno deciso che ci dovrebbe essere un CFS forte e autorevole, che governi la sicurezza alimentare al fine di garantire il diritto al cibo dei popoli del mondo.

La chiave per l’autorità del nuovo CFS sono i ruoli fondamentali che dovrebbe esercitare nella sua seconda fase, in particolare lo sviluppo di un quadro strategico globale per la governance del cibo e dell’agricoltura, che i governi nazionali adatteranno ai loro contesti nazionali; e la promozione della responsabilità di tutte le parti per l’impatto delle loro azioni sulla sicurezza alimentare.

Troviamo inaccettabile che – una volta che sono riusciti a ritirarsi in un ambiente a porte chiuse ed esclusivamente intergovernativo – una minoranza di governi abbia rinnegato tale la decisione. Noi – almeno – li riterremo responsabili delle loro decisioni”7.

Il People’s Food Sovereignty Forum si tiene a Roma, organizzato dal IPC. Al Forum partecipano circa 600 persone, tra delegati e osservatori, che si riuniscono dal 13 al 17 novembre (2009) per discutere le cause dello stato di crisi del sistema agroalimentare, e la necessità di riportare l’attenzione sul miliardo e mezzo di uomini e donne che effettivamente producono il cibo che tutti noi mangiamo.

Sulla base delle conclusioni dei gruppi di lavoro e delle assemblee, viene redatta una dichiarazione finale del Forum da presentare al Vertice mondiale sulla sicurezza alimentare, che si tiene alla FAO dal 16 al 18 novembre 2009.

Il direttore generale della FAO Jacques Diouf durante il suo discorso di apertura del vertice dice “I piani esistono, ma mancano la volontà politica e il denaro“. Perché di volontà politica si tratta. L’occasione mancata peserà per gli anni a venire. Capeggiati dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, ci sono quelli che credono nell’egemonia dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), sperano in una nuova rivoluzione verde e, in particolare, sostengono la liberalizzazione del mercato. Pertanto, 12 anni dopo le stesse, identiche posizioni condite di compassione e filantropia saranno riproposte come risultato, questa volta di un’azione di colonizzazione delle istituzioni intergovernative da parte di un pugno di aziende multinazionali sotto gli occhi benevoli del nuovo Direttore Generale della FAO, di quelle del Paese che ospita la FAO, della Commissione Europea e di pochi altri Paesi, oltre che degli USA.

La sovranità alimentare

Ma, già nel 2009, i movimenti sociali mettevano chiare condizioni alle responsabilità e obblighi dei governi. “La sovranità alimentare implica la trasformazione dell’attuale sistema alimentare per assicurare che coloro che producono cibo abbiano un accesso equo e il controllo della terra, dell’acqua, delle sementi e della biodiversità nell’agricoltura e nella pesca. Tutti i popoli devono avere il diritto e la responsabilità a partecipare alle decisioni in merito alla produzione e alla distribuzione del cibo. I Governi devono rispettare, proteggere e realizzare il diritto al cibo come diritto a un’alimentazione adeguata, disponibile, accessibile, culturalmente accettabile e nutriente”8.

Ed arriviamo ai giorni nostri dove dobbiamo confrontarci con le conclusioni del “vertice” fatte – in mancanza d’altro – dalla Fondazione Rockefeller (quella della “rivoluzione verde”) che in un documento9 preparato per la riunione del Bureau del CFS del 29-30 luglio 202110 sostiene: “Conclusione. Alcune coorti di soluzioni nate attraverso il Food Systems Game Changers Lab possono inserirsi perfettamente in coalizioni più grandi ed esistenti. Altri sforzi che risultano in coalizioni troveranno utilità nell’accedere ai tipi di servizi descritti per sviluppare la coerenza, l’impegno e le strutture di implementazione necessarie per sostenere lo sforzo e guidare i risultati. Il Food Systems Game Changers Lab è pronto ad impegnarsi con CFS e tutti i partner per esplorare il modo migliore per convertire il potenziale in impatto.”

Qui, le soluzioni non sono più neanche quelle delle “consultazioni” del UNFSS, sono quelle nate dentro il lavoro della Fondazione. Così dopo l’intervento di Bill Gates all’apertura dell’assemblea degli Stati membri della FAO (2021)11 che ci illumina con le sue soluzioni, riciclaggio della “rivoluzione verde” in salsa digitale, con qualche soldo e molto potere, un gruppo di imprese salta direttamente dentro la governance globale, come un cuculo, ne scaccia gli Stati e le organizzazioni sociali.

E ancora. Emergono gli elementi centrali della costruzione del UNFSS: tutti si debbono adeguare non ai principi che regolano la vita del sistema delle Nazioni Unite o a quelli che sono alla radice dei diritti umani o dei trattati internazionali, ma ai principi del UNFSS. Inoltre, cade la distinzione tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo: sono tutti uguali, Paesi ricchi o Paesi poveri debbono tutti assumere gli stessi impegni. E, se non bastasse, si inventa anche una “Food Systems Community”. Il neo comunitarismo si impone a livello globale, sul modello delle community digitali o quello delle sette religiose. Il concetto fa strage anche dentro i movimenti progressisti ed il CSM.

I movimenti sociali, in particolare quelli che si riconoscono nella piattaforma di lotte per la sovranità alimentare12 debbono affrontare questo “vecchio quadro” – simile più al passato degli anni dell’aggiustamento strutturale e della liberalizzazione feroce – con strumenti e mezzi innovativi. Non certo per spirito di modernità, ma per necessità molto concreta: gli spazi politici nelle democrazie formali si sono ristretti drammaticamente e non se ne vede al momento un possibile miglioramento. La cooptazione di forze sociali cosiddette progressiste dentro la ricetta del partenariato pubblico-privato, della privatizzazione tout court, del sostegno alla globalizzazione attraverso politiche pubbliche tutte orientate verso il mercato globale (mentre il mercato interno viene lasciato alla mercé degli investitori internazionali), il dogma del profitto e dell’impresa capitalista, la fede nella digitalizzazione strumento risolutivo della crisi non solo dei sistemi alimentari, ma più in generale della crisi di accumulazione del capitale, non offrono controparti con cui i movimenti possano dialogare.

Di fatto i movimenti, in parte frammentati ed isolati, non trovano più interlocutori e sono tentati di rifugiarsi in soluzioni dei problemi della società in modi tutti interni ai movimenti stessi. Invece di affrontare i conflitti sociali, economici, ambientali e culturali, di esaltarli per creare contraddizioni e nuovi spazi di democrazia nelle istituzioni e nel confronto con il potere economico, si è tentati ad auto organizzarsi in piccoli spazi “confortevoli” decisamente lontani dalla battaglia politica più generale. Certo che tra gli strumenti più difficili da maneggiare per il movimento contadino, ad esempio, c’è quello dell’iniziativa per costruire nuovi strumenti giuridici a difesa dei diritti conquistati.

Al contrario, è quello che stanno facendo i nuovi padroni del mondo, colonizzare istituzioni per costruire nuovi strumenti giuridici a difesa dell’accumulazione e del profitto, cercando così di uscire dall’ennesima crisi del capitale. “Al Summit di settembre 2021, gli Stati membri, insieme ad altri stakeholder, si collegheranno con altri che condividono priorità simili (quelle indicate dal UNFSS – ndr). Potranno prendere impegni sempre più ambiziosi e accelerare gli sforzi per attuarli attraverso vibranti coalizioni d’azione multi-stakeholder13.

In un sol colpo sono annullate le responsabilità e gli obblighi degli Stati. Dovremmo fare i conti, quindi, anche con il nostro rapporto e la nostra visione dello Stato/Stati.

In conclusione

Oggi, stiamo affrontando crisi profondamente radicate e sovrapposte – economiche, sociali, democratiche, ambientali, sanitarie, patriarcali e razziste. Queste crisi sono radicate nella storia delle oppressioni sociali interconnesse e dei sistemi economici e sociali capitalisti. È chiaro che non possiamo trovare una soluzione all’interno delle strutture esistenti – abbiamo urgentemente bisogno di un cambiamento sistemico e trasformativo14.

* da Transform Italia

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1 Commento


  • Andrea Bo

    L’argomento è fondamentale.
    Le argomentazioni potevano essere articolate in modo più consequenziale: il non addetto ai lavori stenta a seguirle.
    Se ne ricava l’impressione, ma non la visione, di un quadro preoccupante.
    Peccato.

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