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Il mondo non è un Risiko

Questo Governo sarà convintamente europeista e atlantista”. Così esordiva da Primo Ministro Mario Draghi, chiedendo la fiducia al Senato nel febbraio 2021. Se “l’europeismo” è una sorta di parola magica cui tutti sembrano doversi richiamare, più atipico – quanto meno negli ultimi anni – l’altro termine: “atlantismo”.

Che torna a esser ripetuto insistentemente in queste ore in cui l’attenzione della politica parlamentare è proiettata sull’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Prima Renzi, poi Letta l’hanno ribadito: “Serve presidente atlantista”, ha dichiarato il leader di Italia Viva; “Abbiamo bisogno di un profilo chiaramente atlantista” gli ha fatto eco il segretario del PD.

Perché quest’insistenza su un’espressione che richiama scenari da Guerra Fredda che ci dicevano ormai storia vecchia?

Interrogarsi su quanto succede oggi con la crisi ucraina ci aiuta a capire il senso di quelle espressioni. Partiamo dalla NATO, l’Alleanza Atlantica. Il suo segretario generale, Stoltenberg, ha annunciato con un tweet un incontro con il presidente statunitense Biden e gli alleati europei. Per l’Italia c’era Mario Draghi. Stoltenberg scrive: “Concordiamo che un’ulteriore aggressione da parte della Russia contro l’Ucraina avrà gravi conseguenze.”

Ucraina: militarizzazione del confine europeo

Da mesi ormai il conflitto al confine tra Russia e Ucraina sta scivolando su una china pericolosa. Con il tentativo di espansione a Est, perseguito fin dal crollo dell’URSS, la NATO vuole allargare la sfera d’influenza propria e dei suoi principali “azionisti” fino alle frontiere con la Russia. Con questa politica di espansione NATO e UE non hanno nessuna remora a sostenere il governo dell’Ucraina di cui fanno parte forze dichiaratamente naziste e che sta da anni tentando la pulizia etnica nel Donbass. Così per la politica sempre più guerrafondaia di UE e NATO gli aggrediti diventano aggressori.

Proprio in questi giorni la crisi si è approfondita: Mentre USA, Australia e Gran Bretagna stanno ritirando personale diplomatico e familiari dalle ambasciate a Kiev, la NATO invia navi e aerei nell’Europa dell’Est. Biden ha messo in stato di allerta 8.500 soldati; Washington ha inoltre donato 200 milioni di dollari di nuovi strumenti bellici all’Ucraina. Tra domenica e lunedì sono arrivate a Kiev quasi 200 tonnellate di equipaggiamenti statunitensi. E si sommeranno quelli britannici. Spagna e Olanda schiereranno forze militari aggiuntive in Bulgaria; lo stesso farà la Francia in Romania. La Danimarca invierà una fregata e quattro caccia F-16 in Lituania. Le Repubbliche baltiche stanno inviando missili anticarro; Svezia e Danimarca stanno rafforzando la loro presenza militare nel Mar Baltico in chiave anti-russa.

L’escalation è insomma già avviata.

Continuano esercitazioni militari in Mediterraneo

Ma non è tutto. Lunedì 24 gennaio 2022 sono iniziate nuove esercitazioni militari nel Mediterraneo. Come si legge in un comunicato della NATO, “le navi alleate Nato e la Sesta Flotta degli Stati Uniti hanno iniziato una serie di attività di pattugliamento nel Mar Mediterraneo, nel quadro dell’esercitazione ‘Neptune Strike 2022’, pianificata da lungo tempo. Le esercitazioni si svolgeranno fino al 4 febbraio e prevedono il dispiegamento della portaerei USS Harry S. Truman, insieme al suo gruppo aereo di attacco”. Il segretario generale della NATO Stoltenberg ha precisato che si tratta della “prima volta dalla Guerra Fredda che una portaerei degli Stati Uniti passa sotto il comando della NATO”. Alla portaerei della US Navy si affiancano la portaerei francese FS Charles de Gaulle e quella italiana ITS Cavour.

Il dispiego e l’esercitazione militare nel Mediterraneo ha un doppio significato strategico. Da un lato si tratta di rafforzare l’infrastruttura militare in un’ottica di concretizzazione del conflitto armato con la Russia che, a sua volta, sta facendo transitare un gruppo navale composto da sei navi da guerra dal Mar Baltico verso il Mar Mediterraneo e uno composto da tre unità provenienti dall’Oceano Indiano e apprestandosi a esercitazioni in acque internazionali a 240km dalle coste irlandesi. Dall’altro la NATO guarda verso Sud e verso il continente africano: due terzi delle sue operazioni militari servono a proteggere e tutelare le attività di ricerca, estrazione e importazione di gas e petrolio.

E l’Italia?

Lunedì 24 gennaio al meeting del Consiglio UE convocato per affrontare la crisi ucraina il Governo Italiano non ha mandato alcun rappresentante politico. Il Ministro degli Esteri Di Maio ha preferito rimanere a Roma, per seguire le elezioni del Presidente della Repubblica, piuttosto che essere lì dove si discuteva di guerra e pace nel Vecchio Continente.

È un’assenza significativa. Non tanto del provincialismo di certa nostra politica. Piuttosto della rinuncia a giocare un ruolo attivo e autonomo in questi frangenti. L’Italia, in sostanza, si appiattisce su quella linea “atlantista” richiamata precedentemente.

Atlantismo” fa rima con subalternità assoluta della politica estera italiana alla NATO (ma anche interna, visto il diktat che impone di investire almeno il 2% del PIL in spese militari). La partecipazione al dispiegamento bellico di questi giorni e alle esercitazioni militari nel Mediterraneo, la messa a disposizione delle basi e installazioni militari della NATO e degli USA sul territorio italiano – tutto ciò non è affatto espressione di una politica per la pace, ma rafforza la politica guerrafondaia dell’Ue, della NATO e degli USA.

È proprio in queste fasi che occorrerebbe invece una presa di posizione forte del nostro Paese in senso opposto, con la rivendicazione di un’autonomia che di fatto oggi non esiste. Con la stella polare del perseguimento della pace e della cooperazione internazionale e non, invece, della conquista di aree di influenza. Un gioco da vecchie potenze che potrà piacere al complesso militare-industriale ma che per i popoli del mondo si traduce in morte, lutti, distruzione.

Di fronte a questa escalation e ai venti di guerra, occorrerebbe invece ben altro:

  • Il Governo italiano deve render chiara fin da subito l’indisponibilità del nostro territorio come base logistica per possibili future operazioni militari;
  • Il Governo deve sospendere la partecipazione a qualunque esercitazione militare, che in questa fase si presentano inevitabilmente come anticipazioni di una possibile precipitazione bellica;
  • Il Governo deve cominciare a tagliare le spese militari, destinando i risparmi alla spesa sociale, per avviare una seria politica di de-militarizzazione e non sottostare ai diktat della NATO che pretende che il 2% del PIL sia usato per fini militari

La NATO è sempre più un’alleanza che porta guerra e distruzione, anziché preservare la pace.

Quel che sta accadendo in queste settimane in Ucraina è l’ennesima conferma. Serve smantellarla e costruire finalmente una politica tesa alla cooperazione internazionale e non alla spartizione di aree di influenza, in un gioco di vecchie potenze che provoca lutti e distruzioni per i popoli del mondo.

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