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Non regaliamo la Russia alla Cina

I cinesi aspettano che in Ucraina americani e atlantisti affondino il piede nella palude e ci rimangano impantanati. Poi lanceranno una fune ai russi e magari pure a noi. Ma non sarà gratis.

Invitato a partecipare l’altro ieri come speaker al Forum sulla Russia del Centro studi americano di Roma e dell’Aspen, mi è parso di cogliere negli interventi, sia degli occidentali che dei russi, un messaggio più o meno esplicito: “Non regaliamo la Russia alla Cina”.

In questa crisi i cinesi hanno mostrato un aplomb straordinario: che ovviamente non significa distacco da quanto avviene ai confini dell’Ucraina ma la consapevolezza che nelle tensioni tra Est e Ovest sanno muoversi con accortezza. E possono indicare anche delle soluzioni.

La conferma è venuta dal colloquio telefonico tra il ministro cinese degli esteri Wang Yi con il segretario di Stato Usa Antony Blinken. La Cina, ha affermato il capo della diplomazia di Pechino, ritiene che “per risolvere” la questione della crisi Ucraina sia necessario “tornare ancora al punto originale del Nuovo accordo di Minsk”, mentre “tutte le parti dovrebbero abbandonare completamente la mentalità della Guerra Fredda e formare un meccanismo di sicurezza europeo equilibrato, efficace e sostenibile attraverso negoziati”.

Una posizione non troppo distante, anzi assai vicina, a quella sostenuta da tempo dalla Germania della Merkel dove ora è alla guida il cancelliere Scholtz, che da poco insediato deve affrontare forse l’incubo maggiore di Berlino: i venti di guerra con quella Russia che è il maggiore partner tedesco per le forniture di gas e molto altro ancora.

E’ da sottolineare che la Germania è anche il più importante partner commerciale della Cina con circa 200 miliardi di euro all’anno di interscambio, lo stesso livello che Mosca vuole raggiungere entro tre anni con Pechino. Sono cifre e interessi da tenere a mente quando si pensa alla tensione Est-Ovest: è evidente che qui le guardiamo con occhio diverso rispetto agli Stati Uniti.

Soprattutto i tedeschi che hanno appena completato il gasdotto Nord Stream con la Russia e hanno una gran parte dei loro scambi commerciali con la Cina attraverso il territorio ex sovietico: anzi, il 90% degli scambi cinesi con l’Europa passa dalla Russia e dall’Asia centrale.

Si capisce bene di che stiamo parlando: di export, di import, di materie prime, semilavorati, ovvero del sangue che fa scorrere le nostre economie

Queste cose gli Stati Uniti le sanno benissimo, come sanno perfettamente che avere incoraggiato in questi anni l’Ucraina a entrare nella Nato è stato un errore che oggi si ripercuote sui rapporti con Mosca e l’Europa.

Nel 2014 Henry Kissinger aveva sostenuto che l’Ucraina doveva essere un “ponte” tra Est e Ovest, ben sapendo che una Ucraina nella Nato avrebbe scatenato nei russi la sindrome dell’assedio.

Purtroppo le amministrazioni di Obama, Trump e Biden giudicavano e giudicano diversamente la situazione strategica: bisogna togliere spazio alla Russia e minare la sua sfera di influenza perché così indeboliamo anche la Cina. In realtà corriamo un rischio opposto, quello di “regalare” la Russia, cioè un pezzo di Europa e di Eurasia a Pechino.

Se dovesse avvenire, questo sarebbe un fallimento epocale della politica estera americana che di fallimenti ne infila uno dietro l’altro: l’ultimo è stato l’Afghanistan, per non citare i guai enormi provocati dalla guerra in Iraq nel 2003 e dall’intervento in Libia nel 2011. Per crescere tutti e abbattere la povertà serve la stabilità, non la destabilizzazione.

Gli europei per altro devono svegliarsi perché, a dispetto dell’Unione di Bruxelles, non esiste una sola Europa ma diverse Europe, come del resto scriveva qualche anno fa Vittorio Strada. Forte della sua profonda conoscenza della Russia, Strada affermava nel suo volume “Europe” (Marsilio) che l’Europa è fatta di nazioni che nascono, rinascono, si rinnovano, si fondono, si separano.

L’Europa o le Europe sono aree anche molto diverse che sembrano orientate verso un’ideale unificazione ma non sono certamente fuse in una compatta unità.

Come leggere le storie di Polonia e Ucraina, regioni che per secoli hanno fatto parte dell’impero russo, e fanno parte della viltà europea ma sono anche in fase di complessa transizione?

Il governo polacco sostiene per esempio che la legislazione nazionale è superiore a quella dell’Unione europea, eppure questo Paese incassa ogni anno miliardi di euro da Bruxelles. La storia, però, con tutti suoi annessi e connessi, non si compra.

La verità è che gli europei “occidentali” sbagliano nella chiave di interpretazione: nel tempo lungo il presente non è l’odierna attualità ma l’intero secolo scorso che ha visto la graduale perdita di centralità dell’Europa a partire dalla prima guerra mondiale, una perdita di ruolo sfociata dopo la seconda nella fine del colonialismo e nell’insorgere della guerra fredda.

Fu così che nell’89 il crollo del Muro di Berlino venne interpretato da alcuni sciocchi molto mediatizzati come la “fine della storia”. Una tremenda stupidaggine alimentata tra l’altro da cosiddetti “esperti” americani: in Europa cominciava la fine della Jugoslavia e la Cina iniziava il suo decollo come grande potenza economica e militare.

I cinesi, che hanno alle spalle un impero di migliaia di anni, non si sono scomposti. E ora aspettano che in Ucraina americani e atlantisti affondino il piede nella palude e ci rimangano impantanati. Poi lanceranno una fune ai russi e magari pure a noi. Ma non sarà gratis.

(i contributi ospitati nella rubrica “Interventi” rispecchiano il punto di vista degli autori e non della redazione)

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2 Commenti


  • marco

    ma ben venga la cina!


  • walter Gaggero

    Dissi con l’IRAQ, che gli USA sapevano vincere la guerra ma non la pace, su questo Roma fu molto più furba.

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