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Ambientalismo ed anticapitalismo? sono inscindibili

Quale relazione esiste tra anticapitalismo ed ambientalismo? Qual è il rapporto tra la teoria della crisi economica di Marx e la crisi ecologica? Di certo, oggi più che mai, un movimento ambientale coerente e davvero radicale deve fare i conti con la struttura economica caratterizzata dal predominio del capitale.

Come già segnalava in un suo noto saggio, più di trent’anni fa [1] , James O’Connor, la distruzione della natura provoca un aumento dei costi di produzione nel tentativo di sanare le ferite all’ambiente.

Per il sociologo ed economista statunitense, scomparso all’età di 87 anni, nel 2017, Marx ed Engels avevano dimostrato come e perché il conflitto sociale nel capitalismo ha assunto la forma di lotta fra capitale e lavoro (non solo sul mercato ma anche nella produzione) fra capitali singoli e fra tutti i capitali nel processo capitalistico chiamato “Accumulazione competitiva”.

A James O’Connor si deve l’introduzione delle nota teoria della “seconda” contraddizione, quella tra capitale e natura, seconda rispetto alla prima, quella tra capitale e lavoro – seconda perché emerge dopo la prima in senso temporale, senza tuttavia sostituirla.

Nel 2001 venne pubblicato il primo “Manifesto Ecosocialista” [2] ad opera di Joel Kovel e Michael Löwy. Quel documento partiva dalla premessa che le crisi sociali ed ecologiche in atto sono prodotte dalla stessa causa, il capitalismo, il quale agisce in modo egualmente distruttivo sulla natura e sull’uomo.

Sulla natura, in quanto, nella sua costitutiva necessità di crescita ed accumulazione infinita, il sistema capitalistico distrugge gli ecosistemi e le risorse naturali del pianeta. Sull’uomo, poiché riduce la maggior parte della popolazione mondiale a mera riserva di forza lavoro, mentre annienta le capacità di resistenza delle comunità tanto con la violenza quanto mediante l’imposizione di modelli individualistisci improntati ad un consumismo sfrenato.

Joel Kovel e Michael Löwy denunciavano, senza mezzi termini, il nesso causale inscindibile tra devastazione ambientale e dinamica di “crescita” infinita indotta dall’espansione capitalista.

L’inquinamento del pianeta ha ormai raggiunto livelli insostenibili, pregiudicando la quantità e la qualità delle risorse naturali ed innescando pesanti diseconomie esterne che incidono negativamente sullo stesso processo di accumulazione capitalistico.

L’aumento dei costi delle risorse, delle attività di disinquinamento e dei conflitti in difesa dei territori tra autorità e popolazioni locali, producono contraddizioni a catena che rendono sempre più evidente la non-sostenibilità del capitalismo.

E, tuttavia, i tentativi di sanare le sempre più profonde e disastrose ferite all’ambiente continuano ostinatamente ad essere delegati, da parte degli stati occidentali, alle stesse forze private che hanno prodotto la devastazione ambientale e che cercano di trarne esclusivamente nuove occasioni di profitto, scaricando sulle collettività i costi delle crisi ambientali come delle politiche pubbliche che vengono spacciate per “green”, ma che di “green” hanno solo il marketing. 

Costi che continuano a crescere in modo esponenziale e che stanno contribuendo in misura estremamente significativa ad aumentare, in modo vertiginoso, tanto le disuguaglianze quanto i patrimoni dei ricchi della Terra, mentre gli Stati occidentali continuano ad eludere e/o rimandare nel tempo ogni possibile soluzione reale dei problemi posti dalla crisi ambientale che si interseca, in maniera esplosiva, con le altre crisi prodotte dal capitale.

Secondo l’ultimo rapporto del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) pubblicato il 9 agosto del 2021, i cambiamenti rilevati nel clima della Terra in ogni regione e in tutto il sistema climatico sono senza precedenti in migliaia, se non centinaia di migliaia di anni, e alcuni tra quelli che sono già in atto sono irreversibili in centinaia o migliaia di anni.

Secondo le stime fornite dal rapporto, la possibilità di superare il livello di riscaldamento globale di 1,5°C nei prossimi decenni è altissima. A meno che non ci siano riduzioni immediate, rapide e su larga scala delle emissioni di gas serra – vi si legge – limitare il riscaldamento a circa 1,5°C o addirittura 2°C sarà un obiettivo fuori da ogni portata.

Le conseguenze di questo fenomeno sono già in atto: scioglimento dei ghiacci, innalzamento dei mari, alluvioni, inondazioni, deterioramento della qualità dell’acqua e progressiva carenza di risorse idriche, aumento degli incendi e siccità. Fenomeni che porteranno a nuove guerre (soprattutto per l’acqua) ed a migrazioni di dimensioni bibliche.

Tuttavia, l’inquinamento atmosferico, dei mari, dei fiumi e dei territori, sta determinando una sempre più forte e diffusa coscienza di massa dei gravissimi danni e delle catastrofi, che derivano direttamente da un modello di sviluppo che si basa sullo sfruttamento infinito delle risorse della terra come degli esseri umani e che causa danni enormi ai delicati e complessi equilibri ecosistemici.

L’enorme diffusione delle patologie gravi e spesso letali come i tumori, le affezioni respiratorie, gli ictus e le malattie cardiovascolari sono gli indicatori del decadimento della qualità della vita in ampie aree del mondo e, dopo un lungo periodo di ricerca e di incertezza da parte degli epidemiologi, oggi il nesso fra cancro ed inquinamento ambientale è ampiamente dimostrato.

E se un tempo, tale fenomeno colpiva soprattutto le popolazioni che vivevano a ridosso delle fabbriche, oggi questo fenomeno riguarda trasversalmente tutte le classi sociali che vivono in aree fortemente inquinate.

L’impotenza manifestata dagli Stati occidentali nei confronti del cambiamento climatico, e della stessa crisi pandemica, sono la rappresentazione plastica della forma attuale della contraddizione capitale-ambiente, che si intreccia e si sovrappone con le altre contraddizioni strutturali insite nel modo di produzione capitalistico e che sono al centro delle grandi trasformazioni che hanno segnato il passaggio a ciò che alcuni scienziati chiamano “antropocene”.

Ovvero, una nuova fase nella scala geologica in cui le attività umane hanno portato il pianeta oltre i suoi limiti naturali.

In questo senso, la crisi ambientale non che è una delle facce attuali della crisi dell’assetto capitalistico globale e la sua causa maggiore è data dal dominio stesso del capitale che, anche in questa fase cruciale per la sopravvivenza stessa del pianeta e per il futuro dell’umanità intera, cerca di ristrutturarsi e consolidarsi a dispetto delle più fosche previsioni.

E allora, un movimento ambientalista, radicale e conseguente, che voglia davvero essere realmente incisivo, oggi, non può continuare a non considerare centrale il problema dei rapporti di produzione ed il peso enorme che ha assunto, negli ultimi decenni, la contraddizione ambiente-capitale.

Pena la subalternità ai tanti progetti – sia in fieri che già operativi – di green washing che riverseranno piogge di danaro direttamente nelle tasche tanto degli stessi principali e storici inquinatori – che continuano ad usare combustibili fossili – quanto dei nuovi attori economici di dimensioni mondiali che stanno investendo giganteschi capitali sulle nuove tecnologie “green”.

Le quali dipendono, tuttavia, da un massiccio e devastante estrattivismo pandemico, mentre dietro le altisonanti espressioni quali “Green New Deal” e “Transizione ecologica” già si palesa il paradossale, assurdo, intento paventato dalla Commissione Europea di includere tra le fonti di energia green, il gas e, addirittura, quella nucleare.

D’altronde, gli Stati occidentali, a fronte del più rapido cambiamento climatico della storia umana e della più grave pandemia degli ultimi due secoli, si stanno limitando a mettere in campo solo dei pannicelli caldi con l’unico scopo di camuffare l’impotenza del capitale nel riformare se stesso e la sua incapacità strutturale di tirare il freno di quel treno lanciato a folle velocità verso la catastrofe finale.

Che, nella nota metafora di Michael Löwye, altro non è che l’attuale condizione della Terra e dell’intero genere umano [3].

NOTE

[1] James O’Connor, L’ecomarxismo. Introduzione ad una teoria, Datanews, Roma. 1989. James Richard O’Connor è stato un economista politico americano e professore di sociologia. È stato cofondatore e caporedattore di Capitalism, Nature, Socialism: A Journal of Socialist Ecology e direttore del Center for Political Ecology a Santa Cruz, in California.

[2] J. Kovel e M. Löwy, An ecosocialist manifesto, Paris, 2001 

[3] La rivoluzione è il freno di emergenza, Michael LöwyOmbre Corte, 2020

Immagine: “Follow The Leaders (politici che discutono del cambiamento climatico)” a Berlino, Germania, 2011, opera di Isaac Cordal.

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1 Commento


  • ZioRorry

    Ma l’economia GRIN ci salverà tutti, fidatevi.

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