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Tra conflitto armato per procura e lotta di classe

Come ci tocca ricordare spesso, lo spazio “Interventi” è destinato a contributi e opinioni che ritieniamo interessanti, rivelatori di contraddizioni. Anche se magari non coincidono in toto con l’opinione della Redazione. E’ un servizio all’informazione, di quelli che non si vedono più sui media mainstream.

In questo caso, in particolare, oltre alla lucidità di sguardo del decano degli inviati di guerra italiani, segnaliamo il legame tra “vicende geopolitiche” apparentemente astratte e lontane dai “bisogni del popolo”, modalità di costruzione dell’Unione Europea e quotidiana lotta di classe intorno alle condizioni di vita.

Le stesse più dettagliatamente analizzate in quest’altro articolo

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Due o tre cose cominciano a essere chiare di questo conflitto di cui su il manifesto e altrove è stata indicata la tragica “piega siriana”. 1) Da operazione lampo quella russa si è trasformata in spedizione punitiva sulla popolazione civile. E non si vede per ora via di uscita. 2) Inviando armi all’Ucraina siamo parti belligeranti, inutile girarci intorno. I russi hanno dichiarato che colpiranno i convogli con i rifornimenti bellici. Quella che conduciamo si chiama guerra per procura 3) Più la guerra si prolunga più si moltiplicano i morti e le possibilità di “incidenti” diretti tra Russia e Nato.

La guerra per procura al momento è questa: gli ucraini, come riportava giorni fa il New York Times, sono assistiti da specialisti Usa, Gb e contractors, Putin a sua volta ha annunciato l’arrivo dalla Siria di contractors, o mercenari, da impiegare per la pulizia etnica nelle città.

Un annuncio a dir poco curioso: impiegare mercenari siriani in una guerra dove Putin vuole ripristinare in parte i confini della vecchia Russia.

La Siria, alleato di ferro di Mosca dai tempi di Assad padre, secondo la nostra intelligence, nei giorni scorsi ha tentato di hackerare le reti italiane che fiancheggiano Usa e Nato. Il marchio “siriano” nella campagna militare è già evidente negli attacchi della Russia: colpire i civili per fiaccarne il morale, incidere sul legame tra la popolazione e le forze ucraine, svuotare il più possibile le città per combattere meglio un’eventuale guerriglia urbana e attuare una pulizia etnica legata agli obiettivi di Vladimir Putin, ovvero la resa senza condizioni dell’Ucraina e l’occupazione di tutta la fascia del Mar Nero così strategica che intende annettersela. Obiettivi di massima, evidentemente.

Sul fronte diplomatico esterno Putin continua a subire le pressioni, come le telefonate di ieri di Macron e Scholtz, per un cessate il fuoco, ancora respinto. Lo stesso tipo di pressioni investono il presidente ucraino Zelenski per sedersi a un tavolo a trattare, sempre che la Russia lo accetti.

La pressione maggiore Zelenski, oltre che da Putin, la subisce dalla Nato e dagli Usa che sono diventati in tutti i sensi i suoi “guardiani”: deve smettere di chiedere “no fly zone” o altro perché questo significa la terza guerra mondiale.

Glielo dicono anche gli israeliani che lui – lo ha fatto anche ieri – vorrebbe coinvolgere per un altro tentativo diplomatico, dopo quello di Antalya, e che gli consigliano la resa – nonostante le smentite.

I servizi israeliani ritengono che per ottenere qualunque risultato, come aveva già scritto su Haaretz l’ex capo del Mossad Ephraim Halevy, bisogna per prima cosa «salvare la faccia» a Putin. A che prezzo, oltre che la neutralità dell’Ucraina, è ancora tutto da vedere.

Sul piano interno russo il licenziamento, dato per certo da alcuni siti di informazione di due capi dei servizi della sezione 5 dell’Fsb, è assai significativo. Se fosse confermato che hanno fornito informazioni inattendibili vuol dire che Putin è caduto in una trappola.

La conferma potrebbe venire proprio dallo scambio di battute gelide tra Putin e il suo capo dei servizi di intelligence esterni, Sergei Naryshkin, accaduto alla vigilia dell’invasione e in diretta tv. Dipende da come si interpreta un vento che non si era mai visto nella Russia di Putin.

Forse non è stata una gaffe. Naryshkin ha mandato un messaggio, facendo capire ai suoi che non era d’accordo con la linea del capo. Che poi da questi accadimenti possa venire un movimento tellurico ai vertici del fronte interno russo è assai difficile da anticipare perché mancano solide informazioni.

Sul fronte europeo si delineano due aspetti, uno come ipotesi, un altro come fatto concreto. Uno è quello che si profetizza su alcuni giornali. Il malcontento derivante dalla crisi economica si salderà con un fronte interno europeo favorevole a Putin della popolazione che protesta per l’aumento dei prezzi a causa delle sanzioni imposte per il conflitto oltre che la grave mancanza di materie prime. Insomma potrebbero arrivare scene di lotta di classe intorno alla guerra in Ucraina.

In realtà per l’Italia lo scenario è già quello perdente. Anche se Draghi dice che la nostra economia non è in recessione. Al vertice europeo di Versailles, dove sono passati gli accordi su energia e spese militari, è fallita la strategia del premier Mario Draghi che intendeva la sospensione sine die del Patto di stabilità e un secondo Recovery Fund per sostenere le economie colpite dal conflitto in Ucraina.

I Paesi cosiddetti rigoristi o frugali, come l’Olanda di Rutte, sono stati chiari: il Recovery Fund è stato uno e straordinario, un’operazione non ripetibile. Insomma, nessuna mega-emissione comune di Euro-bond per finanziare gli Stati. E, di fatto, i loro deficit.

Un copione che riporta le lancette dell’orologio comunitario indietro a prima della pandemia e alla contrapposizione tra falchi e colombe. Tra gli stati ricchi e i poveri. La lotta di classe in questo senso è già cominciata.

* da il manifesto

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