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BCE: essere o non essere?

La BCE e il debito sovrano. C’è una sola via d’uscita

Ieri i titoli di Stato austriaci a dieci anni rendevano oltre 1,6 punti percentuali più degli analoghi titoli tedeschi. L’Austria ha un debito inferiore di dieci punti a quello della Germania: nessuno quindi pensa che i suoi titoli siano più a rischio di quelli tedeschi. Quel differenziale riflette il timore che l’euro si spacchi e l’incertezza su che cosa accadrebbe all’Austria: adotterebbe il Deutsche Mark o ritornerebbe allo scellino? L’euro è sull’orlo dell’abisso.

L’incertezza sul futuro della moneta unica aumenta la volatilità dei mercati europei e induce i grandi investitori americani ad abbandonare investimenti in euro, fuggendo ora anche dai titoli tedeschi. Ieri l’asta dei Bund è stata sottoscritta solo grazie alla Bundesbank che ha acquistato il 40% dei titoli offerti da Berlino. Nel prossimo anno, nei Paesi dell’euro, scadono circa 500 miliardi di obbligazioni bancarie: se le banche non riuscissero a rifinanziarsi l’euro potrebbe non sopravvivere. I mercati temono che si finisca proprio lì.

A questo punto c’è un solo modo per salvare l’euro: un intervento forte della Bce. È una soluzione molto problematica, cui si è giunti a causa dell’irresponsabilità di governo dopo governo in parecchi Paesi europei, compreso il nostro. Ma a questo punto non vi è altra soluzione. Intervenire sui flussi, ad esempio cominciando a emettere eurobond, cioè titoli garantiti dall’Ue, anche se fosse possibile agirebbe troppo lentamente. 

Bisogna intervenire sugli stock: agire sui flussi non basta più. La Bce può acquistare quantità illimitate di titoli riducendo la volatilità e riportando i rendimenti ai livelli pre-crisi. Non di tutti i Paesi, solo di quelli, come Italia e Spagna, che non sono insolventi. In realtà basterebbe che la Bce annunciasse l’intenzione di stabilizzare i rendimenti a un determinato livello: di acquisti veri e propri ne dovrebbe fare pochi.

Molti dicono che questo è il peccato originale dell’euro: non avere una banca centrale che si comporta come la Federal Reserve americana. Ma la differenza è che la Fed non compra i titoli emessi dagli Stati (dal Texas, o dalla California), solo quelli del governo federale. Non solo, ma la grande maggioranza degli Stati americani ha un vincolo di bilancio in pareggio. Titoli federali in Europa non esistono perché non esiste un ministro del Tesoro dell’Eurozona e i Paesi europei possono emettere debito a piacimento, senza tener conto dei costi per l’Unione nel suo complesso. 

L’Ue, attraverso la Commissione, ha poteri esecutivi in due sole aree: la politica della concorrenza e quella monetaria. In ogni altra area le decisioni richiedono l’accordo dei governi. Per salvare l’euro occorre estendere i poteri esecutivi dell’Ue alla politica di bilancio, non alle singole misure o al mix fra spesa e imposte, che deve rimanere prerogativa dei parlamenti nazionali, ma ai conti pubblici aggregati: evoluzione del debito e saldi di bilancio. Certo, è una rivoluzione, e ci rendiamo conto che è necessario cambiare i trattati europei, ma a questo punto è la sola via per salvare l’euro e i 60 anni che abbiamo dedicato a costruire l’Europa.

Alberto Alesina e Francesco Giavazzi – Corriere della Sera del 24 novembre 2011

 

Super BCE, debiti in comune o governo economico della zona.
Le opzioni sul tavolo per salvare la moneta unica.

La prima è l’intervento diretto della Bce:


L’idea—sostenuta soprattutto dagli anglosassoni, compreso il presidente Barack Obama—è che la Banca centrale europea (Bce) si erga a difensore ultimo dei debiti dei Paesi in difficoltà (ogni giorno più numerosi). In altri termini, che dichiari pubblicamente di essere determinata a comprare tutti i Btp, tutti i Bonos spagnoli, tutti gli Oat francesi e così via che non vengono acquistati dagli investitori privati. Per fare ciò dovrebbe essere disposta a stampare denaro senza un tetto, tutto quello che le serve. Qui ci sono due teorie sul possibile successo e un ostacolo enorme che per ora rende improbabile questa soluzione. La prima teoria dice che basterebbe annunciare un intervento del genere e i mercati si stabilizzerebbero: è la cosiddetta opzione bazooka, arma che basta imbracciare per spaventare il nemico. La seconda teoria dubita che il piano funzionerebbe. Innanzitutto perché sarebbe un semplice trasferimento tra possessori di debiti sovrani, non una cura: quindi gli investitori privati resterebbero lontani. E anche perché la Bce ha comprato circa il venti per cento del debito greco senza che l’effetto di riduzione dei tassi d’interesse sui titoli di Atene si sia visto. L’ostacolo sta nel fatto che la Bce non vuole usare il bazooka: lo ha ribadito la settimana scorsa il suo presidente Mario Draghi. Sostiene — appoggiata dal governo tedesco di Angela Merkel— che una scelta del genere distruggerebbe un architrave dell’Unione monetaria, cioè la difesa della stabilità della valuta affidata in esclusiva alla Banca centrale. In più — si aggiunge in Germania—la soluzione detta della monetizzazione dei debiti sarebbe illegale, esclusa dai trattati europei. Se mai la Bce arriverà a questa decisione— ed è un se enorme—lo farà solo all’ultimissimo minuto, quando l’euro dovesse essere sul punto di andare in pezzi.

Poi ci sono gli eurobond:

La proposta della quale si discute da tempo, rilanciata ieri dalla Commissione europea, consiste nell’emissione di obbligazioni comuni dell’Eurozona. Si tratterebbe in sostanza di mettere in un pozzo unico tutto il debito dei Paesi dell’euro e garantirlo grazie alla forza dei Paesi virtuosi, quelli a tripla A (Germania, Olanda, Austria, Finlandia, Lussemburgo e, per ora, Francia), cioè finanziariamente più solidi e fino adesso solo in parte toccati dal contagio della crisi. Questa è la soluzione massimalista. Una più artidicolata e preferita da Bruxelles (ma ce ne sono parecchie a dimostrazione che imomenti difficili scatenano la creatività) prevede di mettere in comune solo il 60 per cento dei debiti di ogni Paese, per i quali verrebbe emesso un bond blu garantito da tutti i 17 membri dell’Eurozona, per lasciare il resto nella forma di obbligazioni nazionali (bond rosso). Qui i punti deboli sono soprattutto tre. Primo, gli Eurobond rossi rischierebbero di essere immediatamente considerati dai mercati come titoli spazzatura, in sostanza intoccabili (questo, per dire, varrebbe per metà del debito pubblico italiano, oggi al 120 per cento). Secondo, e più fondamentale, il Trattato di Lisbona vieta trasferimenti di bilancio tra un Paese e l’altro dell’Eurozona. Un Eurobond, invece, significherebbe entrare in quella che Frau Merkel chiama con fastidio Unione dei Trasferimenti, dove i tedeschi (e pochi altri) dovrebbero garantire la solvibilità di tutti: cosa che porterebbe probabilmente la stessa Berlino a perdere la tripla A e a dovere rinunciare alla sua cultura della stabilità finanziaria. Ovviamente, Berlino è contraria, anche se ieri la cancelliera ha detto di ritenere gli Eurobond solo «inadeguati», lasciando pensare che in certe condizioni li potrebbe prevedere. Infine, l’emissione di bond comuni europei non si potrebbe fare subito ma sarebbe probabilmente necessario cambiare (qui è aperta una discussione) i trattati europei e forse anche modificare alcune costituzioni nazionali, ad esempio quella tedesca.

Quindi c’è l’idea di una nuova convenzione:

Quasi tutti concordano che la soluzione di lungo periodo alla crisi dei debiti sovrani europei sia la creazione, in qualche forma, di un governo economico dell’Eurozona. Per controllare deficit e debito di tutti i 17 e per fare convergere finalmente le economie. I modi possono essere diversi. Qualcuno ha proposto la creazione di un ministero delle Finanze europeo. Berlino chiede regole rigide di stabilità finanziaria e sanzioni automatiche — cioè non politiche e comminate dalla Corte di Giustizia—per chi non le rispetta. In un quadro del genere, nel quale tutti accettano la filosofia e le norme della stabilità finanziaria tedesca e rinunciano a una politica economica nazionale, la signora Merkel sarebbe probabilmente disposta ad accettare Eurobond, a quel punto rappresentativi di un’area economica e finanziaria integrata, emessi da un Fondo monetario europeo. Il problema, in questo caso, è che creare una governance comune europea è di una difficoltà enorme e avrebbe tempi lunghissimi. Il fondo salva Stati preparato dai governi—che avrebbe dovuto servire da ponte mentre si arriva alla definizione di un governo economico dei 17—non è ancora in funzione e si teme non abbia minimamente le risorse per affrontare la portata della crisi. Fatto sta che, per arrivare al governo economico unico, sempre la Germania proporrà al Consiglio europeo del 9 dicembre di varare una Convenzione, tipo quella che ha elaborato il Trattato di Lisbona, della durata di un anno che decida i cambiamenti necessari. Dopodiché i 27 Paesi della Ue dovrebbero ratificarli. C’è da immaginare la difficoltà a trovare accordi su un tema che comporta enormi perdite di sovranità nazionale, essendo la politica economica e finanziaria uno degli elemeni cardine dell’esistenza di uno Stato. Inoltre, un passaggio del genere non potrebbe essere deciso nel chiuso delle stanze brussellesi, berlinesi o parigine: i cittadini europei si rivolterebbero. Andrebbe dunque sottoposto a un enorme esercizio di democrazia (voto) e di convinzione degli elettorati. Difficilissimo. Per di più, da effettuare in tempi molto lunghi e con mercati in crollo.

 

Estratti dall’articolo di Danilo Taino, Corriere della Sera del 24 novembre 2011

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