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Dialettica e contraddizione, intorno alla guerra in Ucraina

Esiste ancora oggi un “noi” – per quanto multiforme – cui far coincidere quel campo di emancipazione che chiamiamo comunismo e all’interno del quale è possibile riflettere criticamente e dialetticamente su ciò che accade ma senza abbandonare il suddetto campo? E rischiare di abbandonarlo – s’intenda – non per anatema di qualcuno su qualcun altro, ma per incongruenza soggettiva tra le premesse e le conseguenze.

Un “noi” il cui spettro si aggirava per l’Europa del 1848 e la cui prima e tragica affermazione furono i 72 giorni della Comune parigina; un “noi” che da quella sconfitta trasse la lezione necessaria per la prima vittoria nel 1917 e poi nel 1945 e che seppe riconoscere nei cambiamenti degli anni Cinquanta e Sessanta l’emersione di nuove figure agenti della trasformazione rivoluzionaria. Sempre nel senso del superamento del governo liberale del mondo e delle sue contraddizioni.

È bene precisare però, prima di continuare, che l’esistenza di questo spazio, di questo campo di emancipazione prescinde, nella sua sussistenza, dagli empirici “io” che ad esso si inscrivono o meno. Sono i tempi del processo e l’efficacia dell’azione volta alla trasformazione del mondo nel senso dell’emancipazione egalitaria a risentire dell’effettiva adesione o meno, a esser determinati, cioè, da tale inscrizione. È di questa coincidenza o scollatura che qui si parla.

Quando Mao Tse-tung scrive, nell’agosto del 1937, il saggio Sulla contraddizione, aveva principalmente come obbiettivo gli errori che nel partito comunista cinese derivavano da una concezione dogmatica del marxismo. Alcune delle osservazioni e alcuni degli insegnamenti, lì contenuti, hanno poi rivelato una efficace funzione euristica – ed anche pratica – negli anni successivi. Sino ad oggi.

Com’è noto, Mao sottolinea che la contraddizione, motore delle generali leggi dialettiche dello sviluppo della realtà, ha un carattere univcersale e uno particolare e si sofferma maggiormente su quest’ultimo aspetto, sostenendo che lo studio del carattere particolare della contraddizione ha un peso determinante nella concretezza delle scelte che si è chiamati a fare; tant’è che dipinge come “scansafatiche” quei dogmatici che utilizzano formule precostituite belle e pronte come fossero valide in ogni luogo e in ogni tempo. E ricorda le parole di Lenin: “analisi concreta delle condizioni concrete”.

Ora, non vi è dubbio che, all’interno del Modo di Produzione Capitalista, la contraddizione il cui carattere è universale è quella tra il carattere sociale della produzione e la proprietà privata dei mezzi di produzione; e questo aspetto della contraddizione, potremmo dire, appartiene alla genesi del capitalismo in ogni Paese in cui esso si è sviluppato, costituendone il carattere immanente pur nel mutare dei casi particolari e storicamente determinati, dove invece si genera la contraddizione particolare che informa di sé l’intero momento del processo; che cioè – letteralmente – lo contraddistingue. Va da sé che i due caratteri si legano reciprocamente.

Ma ciò che forse è più interessante, è che Mao avanza la possibilità che i due segni possano scambiarsi il ruolo, la funzione: in conseguenza dell’infinità varietà dei casi possibili e del loro sviluppo, infatti, ciò che in un caso determinato è particolare può, in un altro caso, diventare universale e viceversa.

Di più: mentre il rapporto tra universalità e particolarità attiene alla differenza tra il carattere generale e quello individuale della contraddizione, ancora più dirimente appare (perché foriera di interessanti sviluppi teorici e pratici) quella, interna alla contraddizione particolare, tra contraddizione principale e secondaria.

Da ciò consegue che, all’interno di un concreto e dunque particolare momento della contraddizione nel processo dialettico, tra le numerose contraddizioni che esso genera, una sola svolge la funzione dirigente e decisiva propria di quella principale, tutte le altre sono subordinate. Quindi bisogna fare attenzione nel cogliere, all’interno della contraddizione particolare, quella che effettivamente svolge la funzione principale.

L’aspetto principale di una contraddizione è, infatti, dominante ma nessun processo è, per definizione, statico; motivo per cui in ogni contesto determinato il carattere può variare e capovolgere i due aspetti. La contraddizione secondaria, in talune circostanze, dev’essere trattata come principale.

Nell’epoca dell’imperialismo, quest’ultimo rappresenta la contraddizione particolare dell’universale contraddizione del MPC; ed è all’interno di questa contraddizione particolare che va ricercato ciò che, in un concreto e ben determinato contesto, svolge la funzione principale, cioè dirigente e decisiva.

Non si spiegherebbe altrimenti, ad esempio, la funzione progressiva e oggettivamente anticapitalista di alcuni momenti delle lotte nazionali e anticoloniali anche quando soggettivamente non esprimono il punto più avanzato della lotta di classe.

O ancora: Mao non dimentica come in alcuni momenti della lotta rivoluzionaria, “le difficoltà prevalgono sulle condizioni favorevoli” e sono gli sforzi dei rivoluzionari, cioè di colori i quali sono pienamente calati all’interno della contraddizione particolare e sanno trattare adeguatamente ciò che in quel momento svolge la funzione di contraddizione principale, a far sì che la situazione sfavorevole ceda il posto a quella favorevole. Solo così, allora, «lotta, fallimento, nuova lotta, nuovo fallimento, nuova lotta ancora, e così fino alla vittoria».

Ma oggi, sotto il segno ancora una volta devastante dell’imperialismo e, ancora di più, dell’ideologia dominante e dei suoi cani da guardia, riusciamo a mantenere la lucidità necessaria per far emergere e rilevare con funzione autenticamente emancipatrice tutte le differenze che il saggio di Mao ci suggerisce? Come possiamo, cioè, utilizzare gli strumenti che il marxismo ci lascia in dote per comprendere la posta in gioco nell’attuale scontro in Ucraina?

Primo fattore distintivo. Sulla natura imperialistica dello Stato degli USA c’è poco da dire ed anche sul costituendo polo imperialista europeo e, quindi, su come il carattere principale della contraddizione capitalista ancora oggi dominante sia quello ad esso antagonista. Il ruolo della NATO è qui drammaticamente evidente, nelle cause poste almeno otto anni fa come anche nell’aggressività di questi giorni.

Molto va chiarito, invece, sulla politica russa che, al di là della scolastica distinzione tra politica imperialista e politica imperiale, va ancor meglio compresa nella sua necessaria politica di potenza connaturata al suo essere Stato e, per questo, volta alla difesa dei suoi interessi strategici.

Secondo fattore distintivo. La Russia attuale non è l’URSS: pleonastico. Nulla di tutto ciò che è accaduto negli ultimi decenni sarebbe accaduto nel modo in cui è accaduto se così non fosse stato. Aggiungiamo pure che in quel caso la funzione anti-imperialista avrebbe avuto una spinta soggettiva ma, dato lo stato delle difficoltà a livello mondiale nella lotta contro l’imperialismo, questo caso particolare, questa congiuntura storica, l’irrompere di questo evento che è il conflitto in Ucraina, necessita di essere maneggiato con cura.

Terzo fattore distintivo. Dire che la Russia come antagonista oggettiva dell’imperialismo USA rimanda in filigrana alla Repubblica Popolare Cinese guidata da un Partito Comunista, significa che, per proprietà transitiva, sebbene la Russia non sia più l’URSS, rimane pur sempre nel campo socialista?

No, nel modo più categorico: la vigilanza logica del principio d’identità e di non contraddizione ci salva dall’equivoco, basta volerlo seguire. Allo stesso modo, l’alleanza tra i comunisti cinesi e il Kuomintang in funzione antagonista rispetto all’imperialismo giapponese, fu realizzata sotto l’ingiunzione di quel caso particolare e tutti sappiamo quali enormi scenari aprì all’umanità.

Quarto fattore distintivo. Il cosiddetto Occidente non esiste: così come c’è sempre un nord rispetto a un sud, ci sarà sempre un punto più occidentale o più orientale. Non è forse più appropriato, allora, parlare di Atlantismo? Non è, forse, almeno dai tempi di Godechot, infatti, che la categoria storiografica di Occidente si lega indissolubilmente all’atlantismo ed egemonizza vecchia e nuova borghesia anche al di fuori dell’Occidente stesso?

Ultimo fattore distintivo. Ravvisare nell’intervento russo l’esplicitazione dell’aspetto principale della contraddizione particolare non significa partecipazione soggettiva come scelta di campo nel conflitto in atto ma la giusta redistribuzione delle responsabilità: aggressione NATO e difesa russa. E non significa neanche dimenticare quale sia la contraddizione generale; altrimenti non parleremmo neanche di contraddizione.

Il mondo pacificato e privo di contraddizioni è l’utopia pelosa della borghesia, quel migliore dei mondi possibili di vecchia data. L’asservimento politico e ideologico mainstream è, invece, completo (o quasi per fortuna). Che ciò avvenga nel campo imperialista e nei suoi attori soggettivi va da sé, più preoccupante quando gli “io” empirici che dovrebbero costituire quel “noi” cui si faceva riferimento in apertura, si fanno soggiogare e cadono vittime della propaganda di guerra che da sempre mostra il sangue dei corpi che essa stessa ha provocato per generare ulteriore prospettive belliche.

Gli effetti collaterali delle guerre o sono sempre tali, in ogni guerra, o non lo sono mai. Anche in questo caso, ciò che fa la differenza non è la formula che astrae ma il contenuto che riempie di senso e significato. Anche perché, rafforzando la fabbrica del falso, l’ultimo effetto di questa posizione dominante dell’ideologia borghese, attraverso il suo fuoco di fila e la densa nube che crea sulle cause e sulle responsabilità, è quello di impedire un’analisi scientifica delle scelte politiche della dirigenza russa: quali erano, cioè, gli effettivi margini di azione che la Russia aveva nei confronti dell’imperialismo e della Nato?

Impedisce, in altre parole, di riflettere sulle forme politiche della risposta di uno Stato alle provocazioni e alle manovre destabilizzanti subite. Com’è stata agita, vale a dire, la contraddizione? E quali forze ne hanno impugnato la leva?

Ma soprattutto: quali scenari diversi si aprono dopo l’eventuale vittoria della NATO o la sua sconfitta attraverso il riconoscimento delle rivendicazioni russe?

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2 Commenti


  • pierluigi

    La capacità di Mao di interpretare la realtà attraverso le contraddizioni è un assunto imprescindibile per chiunque voglia capire l’evoluzione dei momenti storici;una delle tante è rappresentata da 😮 la politica ferma la guerra o la guerra cambierà la politica;;quanto mai attuale questo concetto rimane fondamentale per capire quanto si possa fare perchè lo schematismo unipolare oggi tpresente sia messo in discussione attraverso le guerre sul pianeta;questo ci deve far riflettere.Mao ritenne che il social-imperialismo sovietico era la contraddizione PRINCIPALE rispetto alla tigre di carta USA;in linea con questo combattè sull’Ussuri,combattè i vietnamiti per la Cambogia,diede armi aagli afgani nella resistenza alla invasione russa.Ne deriva che oggi Putin è figlio di quella concezione piegata in senso nazionalista….ebbene i cinesi applicano oggi lo stesso punto di vista della contraddizione:stanno dalla parte dei russi non perchè gli stiano simpatici ma perchè aprono una contraddizione tra mondo unipolare e multipolaRE CON TUTTE NLE CONSEGUENZE DEL CASO


  • Giuseppe

    Se mi consentite Antonio Gramsci ha riflettuto e scritto parecchio sulla “dialettica”, sulla “filosofia della praxis” calandosi dentro le condizioni specifiche del nostro Paese. Una lezione vitalissima ben più utile per l’oggi, a mio avviso, di quella proveniente dalla “situazione reale” cinese.

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