Spettabile Redazione, non so se mi leggerete mai né se vale a qualcosa scrivervi, ma il vostro mi sembra l’unico giornale con una posizione onesta sul tema del Reddito di cittadinanza.
La mia storia col Rdc è particolare, ma poco melodrammatica: non ho bocche da sfamare, a parte la mia, e non chiedo un posto in miniera perché tornare a casa con mani e schiena spaccate è “proletariamente poetico”. Ho 35 anni e tra 13 esami potrei essere medico. Sì, sono “grande”, ma non mi pare che la legge impedisca di fare l’università alla mia età: gli ultimi 10 esami li ho dati grazie al Rdc.
Non mi piace fare la vittima, per cui vi risparmio tutta la solfa biografica – papà morto, mamma malata psichiatrica, una relazione naufragata… – e gli anni di lavoro nero, sottopagato, che mi hanno fatto lasciare indietro gli studi.
Ma il Rdc ha ribaltato le cose: non più lasciare l’università per il lavoro, ma lasciare il lavoro sottopagato e in nero per studiare. Avere la possibilità di essere studente finalmente a tempo pieno, senza dover chiedere niente a nessuno, vivendo del mio poco senza lamentarmi. Mantenermi una casetta da 340 euro al mese e pagarmi le tasse universitarie con meno ansie.
Io m’ero illuso, prendendo il Reddito di cittadinanza, che le cose stessero finalmente andando come avrebbero dovuto: la comunità avrebbe dato a me un sostegno e io avrei restituito alla comunità il mio essere un bravo medico.
Adesso mi ritrovo a sentirmi come a 20 anni: nauseato e schifato da questo Paese e dal suo governo, e pure dal suo elettorato piccolo-borghese che osa chiamarmi fannullone e drogato, mentre io sto facendo fatica sui miei appunti di Cardiologia.
Noi oggi stiamo andando oltre l’idea che, per un povero, finire l’università è un capriccio o un lusso. C’è un salto di qualità nel linguaggio, col quale le solite idee padronali e regressive vengono espresse: i “bamboccioni” di Padoa-Schioppa, i “choosy” della Fornero, gli “sfigati” di Martone…
Ma ora è anche peggio, perché i politici te lo dicono in faccia, senza eufemismi: “sì, il padrone comanda e il servo obbedisce. Vuoi diritti? Fatti padrone! Servire le pizze anche da laureato è giusto, perché il sacrificio è bello. Che questo sacrificio non ti porti da nessuna parte, pazienza. Lo hanno fatto i tuoi nonni, lo fai anche tu“.
E la fretta, la fretta con cui si sono avventati sul Rdc, senza imbastire alcuna alternativa. A dire: “intanto il sussidio lo perdi, parassita. I crampi della fame ti faranno venire voglia di lavorare”.
Se questo non è regresso, se non è inciviltà, cos’è esattamente? È giusto, accettabile, possibile che, a 13 esami dalla laurea in Medicina, debba farmi il problema di finire in mezzo alla strada o in un dormitorio per barboni? Lasciare la mia casa, mettermi a bussare alle case dei parenti come un pezzente… o, forse, finire a fare il magazziniere in un supermercato o il cameriere?
Nella speranza che in questo Paese in retromarcia possa trovare udienza e visibilità anche la storia di chi ha usato il Rdc come strumento di emancipazione.
* Lettore del Il Fatto Quotidiano.
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