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Le condizioni economiche per la pace

Pubblichiamo l’ appello promosso dagli economisti Emiliano Brancaccio e Robert Skidelsky e apparso sul Financial Times del 17 febbraio.

È trascorso un anno dall’inizio del conflitto in Ucraina e nulla sembra indicare che i venti di guerra si stiano affievolendo. Perché la guerra continua? Perché le tensioni militari aumentano a livello globale?

Noi respingiamo la tesi di uno “scontro di civiltà”. Piuttosto, occorre riconoscere che le contraddizioni del sistema economico globale deregolamentato hanno reso le tensioni geopolitiche estremamente più acute.

Uno dei principali guasti dell’attuale sistema mondiale risiede nello squilibrio delle relazioni economiche ereditato dall’era della globalizzazione deregolata. Ci riferiamo alle posizioni nette internazionali, in cui gli Stati Uniti, il Regno Unito e vari altri Paesi occidentali hanno accumulato ingenti debiti verso l’estero, mentre la Cina, altri Paesi orientali, e in parte anche la Russia, sono in una posizione di credito verso l’estero.

Un’implicazione di questo squilibrio è la tendenza a esportare capitale orientale verso l’Occidente, non più soltanto sotto forma di prestiti ma anche di acquisizioni: una centralizzazione del capitale in mani orientali.

Per contrastare questa tendenza, da diversi anni gli Stati Uniti e i loro principali alleati hanno abbandonato il loro precedente entusiasmo per il globalismo deregolato e hanno adottato una politica di “friend shoring”: una chiusura protezionista sempre più accentuata nei confronti delle merci e dei capitali provenienti da Cina, Russia e gran parte dell’Oriente non allineato. Anche l’Unione Europea si è unita a questa svolta protezionista guidata dagli americani.

Se la storia insegna qualcosa, queste forme scoordinate di protezionismo esacerbano le tensioni internazionali e creano condizioni favorevoli a nuovi scontri militari. Il conflitto in Ucraina e le crescenti tensioni in Estremo e Medio Oriente possono essere pienamente compresi solo alla luce di queste gravi contraddizioni economiche.

Per avviare un realistico processo di pacificazione, è oggi dunque necessaria una nuova iniziativa di politica economica internazionale.

Occorre un piano per regolare gli squilibri delle partite correnti, che si ispiri al progetto di Keynes di una international clearing union. Lo sviluppo di questo meccanismo dovrebbe partire da una duplice rinuncia: gli Stati Uniti e i loro alleati dovrebbero abbandonare il protezionismo unilaterale del “friend shoring”, mentre la Cina e gli altri creditori dovrebbero abbandonare la loro adesione al libero scambio.

Siamo consapevoli di evocare una soluzione di “capitalismo illuminato” che venne delineata solo dopo lo scoppio di due guerre mondiali e sotto il pungolo dell’alternativa sovietica. Ma è proprio questo l’urgente compito del nostro tempo: occorre verificare se sia possibile creare le condizioni economiche per la pacificazione mondiale, prima che le tensioni militari raggiungano un punto di non ritorno.

Emiliano Brancaccio (University of Sannio, IT) e Robert Skidelsky (Warwick University, GB), con Rania Antonopoulos (Levy Economics Institute, US), Pier Giorgio Ardeni (University of Bologna, IT), Josef Baum (University of Vienna, AT), Johannes M. Becker (Philipps University of Marburg, DE), Rosaria Rita Canale (Università Parthenope, IT), Marcella Corsi (University La Sapienza, IT), Christophe Depoortère (University of Reunion, FR), Jesus Ferreiro (University of the Basque Country, ES), Giuseppe Fontana (University of Leeds, GB), Mauro Gallegati (Marche Polytechnic University, IT), Alicia Girón (Universidad Nacional Autonoma, MX), Rebeca Gomez Betancourt (University of Lyon 2, FR), Gjalt Huppes (Leiden University, NL), Grazia Ietto-Gillies (London South Bank University, GB), Jakob Kapeller (University Duisburg-Essen, DE), Theodore Mariolis (Panteion University, GR), Mahmood Messkoub (ISS, Erasmus University of Rotterdam, NL), Juan Carlos Moreno Brid (Universidad Nacional Autónoma, MX), Júlio Marques Mota (University of Coimbra, BR), Dimitri Papadimitriou (Levy Economics Institute, US), Ugo Pagano (University of Siena, IT), Heikki Patomäki (University of Helsinki, FI), Paolo Pini (University of Ferrara, IT), Louis-Philippe Rochon (Laurentian University, CA), Sergio Rossi (University of Fribourg, CH), Donald Sassoon (Queen Mary, University of London, GB), Mario Seccareccia (University of Ottawa, CA), Gennaro Zezza (Levy Economics Institute, US), 

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2 Commenti


  • Oigroig

    Non è possibile, perché esattamente lo stesso meccanismo economico ha sempre e soltanto dilatato i conflitti militari… Il “capitalismo illuminato” assomiglia agli squali vegetariani del film “Nemo”: basta un niente per farli tornare quello che sono… Possibile che queste dotte persone non vogliano fare i conti con la teoria della crisi di Marx?


    • Redazione Contropiano

      L’analisi scientifica della crisi non può escludere tentativi di azione e resistenza. Anzi, materialisticamente, li comprende… Altrimenti non ci resterebbe altro ruolo che quello di attendere fatalisticamente il risultato finale, da spettatori…

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