Nei giorni 8-9 giugno si voterà per i referendum promossi dalla Cgil e sul quesito per la cittadinanza dei migranti. Cinque quesiti ai quali rispondere SI per i quali decidiamo di costituire un Comitato che sostenga la campagna referendaria e promuova le ragioni dei cinque SI.
Pur appoggiando i 5 quesiti, il Comitato che costituiamo e la campagna che porteremo avanti avranno un carattere di totale indipendenza dai promotori dei referendum, poiché riteniamo rischioso lo strumento scelto per condurre la battaglia contro la precarietà e lo strapotere dei padroni sui posti di lavoro, e perché la moderazione dei quesiti della Cgil riduce la portata dei possibili risultati, che avrebbero dovuto avere un carattere ben più adeguato a contrastare lo schiavismo dilagante nel mondo del lavoro.
Condividiamo poi il quinto quesito per estendere il diritto alla cittadinanza dei migranti dopo cinque anni di residenza, anche se tante altre vessazioni e razzismo di stato verso i migranti, a partire dalla Bossi-Fini, non sono toccate.
Almeno tre dei quattro quesiti proposti dalla Cgil paiono formulati con il “freno a mano”, vediamo perché.
Con il primo quesito si mira ad abrogare l’intero Jobs Act, cioè il d.lgs. 4 marzo 2015 n.23, approvato a suo tempo dal governo Renzi, che eliminò il diritto alla reintegra per tutti i lavoratori assunti dopo il 7 marzo del 2015 e forfetizzò, riducendolo, il risarcimento a favore del lavoratore licenziato, fissandolo in due mensilità̀ per ogni biennio di servizio. È giusto abrogare questa norma ma la ratio di questa iniziativa avrebbe dovuto essere quella di ripristinare il diritto alla reintegra per tutti i lavoratori licenziati ingiustamente, come prevedeva originariamente l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, almeno per le aziende con più̀ di quindici dipendenti. E allora perché limitarsi all’abrogazione del Jobs Act, che peraltro su questo punto della reintegra è già̀ stato ridimensionato da diverse sentenze della Corte Costituzionale, e non proporre anche l’abrogazione della legge 92 del 2012 del governo Monti che aveva già̀ colpito seriamente l’articolo 18, riducendone di molto la portata?
La conferma che l’esito positivo di questa proposta referendaria non sarebbe l’affermazione piena del diritto alla reintegra per i lavoratori ingiustamente licenziati si ha con il secondo quesito che punta ad eliminare il tetto delle sei mensilità̀ per il risarcimento in caso di licenziamento illegittimo nelle aziende con meno di 15 dipendenti. Un quesito quindi che non mira ad affermare la prevalenza assoluta della dignità della persona davanti ad azioni riconosciute come illegittime, ma lascia la libertà al giudice di aumentare (ma anche diminuire!) il numero di mensilità che oggi la legge stabilisce, escludendo ogni possibilità di tornare nel proprio posto di lavoro. Un passo indietro, questo, anche rispetto al referendum del 2003, sostenuto anche dalla Cgil e dalla Fiom, che poneva la questione del reintegro anche nelle piccole aziende e che, anche allora, non raggiunse il quorum.
Il terzo quesito mira ad imporre causali per i contratti a tempo determinato, abrogando le norme che in questi anni, da Renzi fino a Meloni, con una breve pausa del Decreto Dignità del primo governo Conte, hanno liberalizzato il sistema. Il contratto a tempo determinato andrebbe limitato a situazioni straordinarie e contingenti e invece è diventato un modo per addossare sui lavoratori i rischi di impresa dovuti alla volatilità̀ dei mercati. In questo caso, unico tra i quattro quesiti, l’approccio è chiaro e netto. Se dovessero vincere i Si in questo caso i cambiamenti sarebbero sensibili.
Con il quarto quesito si mira ad estendere alle imprese committenti il risarcimento per infortunio subito dal lavoratore dipendente delle aziende in appalto. Si intende così abrogare l’ultima parte dell’art.26, il comma 4, del d.lgs. 81 del 2008, che oggi mette al riparo le imprese committenti dai danni causati dall’attività delle imprese appaltatrici. Giusto. Ma perché chiamare gli italiani a votare su una norma particolare del sistema degli appalti e non porsi il problema di rimettere in discussione l’intero sistema che abusa di appalti e subappalti, producendo una riduzione dei diritti e delle retribuzioni per milioni di lavoratori? Se si volesse assestare un colpo incisivo a questo sistema si dovrebbe semmai abrogare l’art.29 del d.lgs. 276 del 2003 con il quale il governo Berlusconi di allora e il ministro Sacconi trasformarono e liberalizzarono gli appalti, allargandone a dismisura le maglie al solo esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati. Anche in questo caso, invece, una eventuale vittoria dei Si avrebbe effetti assai limitati e non inciderebbe sulla diffusione spropositata del sistema degli appalti.
Riteniamo infine assai problematico il ricorso allo strumento referendario in un momento nel quale la maggioranza del paese non va più̀ a votare. Il rischio di non fare il quorum è altissimo.
Sui temi sollevati giustamente dai referendum sarebbe necessaria prima di tutto una stagione di lotte di massa e radicali. Ma proprio le organizzazioni promotrici dei referendum questo non lo fanno. In secondo luogo, è profondamente contradditorio estendere i diritti dei migranti, ma sostenere le guerre e il riarmo, come fanno alcuni dei sostenitori del referendum.
Per questo, come abbiamo premesso, faremo una campagna indipendente per il sì, nonostante i limiti dei quesiti e le contraddizioni dei promotori.
Ci mobilitiamo per rendere ancora più chiara la necessità di ribellarsi ad un sistema che oramai ha come propri caposaldi il super sfruttamento del lavoro e l’oppressione razzista verso i migranti. Ci mobilitiamo contro il governo Meloni che vuole rendere ancora più̀ feroce questo sistema.
Per tutto questo, proponiamo di vederci con una RIUNIONE NAZIONALE ONLINE:
MERCOLEDI’ 26 MARZO alle ORE 18.30 per costruire insieme il comitato autonomo e popolare di sostegno ai 5 SI
Link per collegarsi: https://us06web.zoom.us/j/88136114999
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