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La Consulta boccia il decreto Monti sulla spending review per i Comuni

Come fa l’Unione Europea a governare in nome degli interessi supremi dei “mercati finanziari”? Determinandone le decisioni politiche, prese in teoria dai governi nazionali, sulla base di prescrizioni ultimative scritte nelle “leggi di stabilità” (nuovo nome della legge finanziaria, che regola entrate e uscite di uno Stato per l’anno successivo), che la Commissione provede materialmente a determinare “correggendo” quanto proposto dai singoli governi; violando quelle prescrizioni entrano in funzione quasi automaticamente dei meccanismi istituzionali europei che a loro volta sollecitano le agenzie di rating a rivedere i giudizi e quindi anche i mercati finanziari a correggere il tiro delle manovre speculative, fiondandosi come avvoltoi sui paesi che dovessero “uscire dal seminato”. Chiedere ai greci per esempi concreti…

Tutto già noto? In parte sì, ovviamente. Quello che non è altrettanto chiaro è che questi meccanismi si impongono stravolgendo le Costituzioni dei vari paesi (di “impronta antifascista”, come si lamentava tempo fa la banca JpMorgan, una dei protagonisti assoluti dei “mercati finanziari”), cancellando poteri e prerogative diversi da quelli governativi. Una dittatura finanziaria, in altri termini, che non ci sembra proprio meno stragista di quelle tipicamente militari (affamare un popolo significa comunque far fuori un sacco di gente, anche senza sparare un copo), ma che – par di capire – non esclude neanche soluzioni più “costrittive” (basti guardare agli “stati di emergenza” che piovono come macigni sulle dinamiche sociali classiche, ad esempio in Francia contro il movimento popolare che si oppone alle loi travail voluta dalla Ue e imposta da Hollande).

Qualcuno potrebbe dire: “che complottisti che siete, che c’entrano le leggi di stabilità con le modifiche costituzionali?

C’entrano. Lo ha affermato definitivamente e concretamente la Corte Costituzionale l’altro ieri, depositando la sentenza 129/2016, che accoglie i ricorsi al Tar del Lazio presentati da due Comuni (Andria e Lecce) contro il decreto del governo Monti (7 agosto 2012, n. 135) che introduceva la famosa spending review.

Naturalmente la Consulta non può entrare nel merito (è necessario o no ridurre la spesa pubblica?), ma si pronuncia sul modo. In pratica, per recuperare risorse e guadagnare credibilità agli occhi dei mercati finanziari, il governo Monti varò una serie di tagli alla spesa pubblica che colpirono anche gli enti territoriali, senza minimamente tener conto dei poteri garantiti a questi enti dalla Costituzione italiana. Un taglio di 2,25 miliardi effettuato motu proprio dal governo che, dice la Consulta, “non prevede, nel procedimento di determinazione delle riduzioni del Fondo sperimentale di riequilibrio da applicare a ciascun comune nell’anno 2013, alcuna forma di coinvolgimento degli enti interessati, né l’indicazione di un termine per l’adozione del decreto di natura non regolamentare del ministero dell’Interno”.

Per dire: non era nemmeno stata convocata la Conferenza Stato-Città, che avrebbe potuto e dovuto discutere la richeista di riduzione della spesa e magari arrivare a decidere le stesse cose o altre soluzioni. Il governo Monti, dunque, ha palesemente violato l’art. 119 della Costituzione che sancisce l’autonomia finanziaria di entrate e di spese di comuni, le province, le città metropolitane e regioni. In particolare – secondo la sentenza depositata – per la parte “che individua nei «consumi intermedi» il criterio per la determinazione della quota di riduzione delle risorse da trasferire, senza decurtare da detti consumi le spese sostenute per i servizi ai cittadini. Infine, la scelta del legislatore violerebbe il terzo comma dello stesso art. 119 Cost., ricorrendo a un criterio (i consumi intermedi) diverso da quello previsto dalla disposizione costituzionale per il fondo perequativo (minore capacità contributiva per abitante).

In pratica: il governo Monti ha tagliato quel fondo senza distinguere tra “spese per il funzionamento amministrativo” (in cui come sempre si nascondono molti sprechi ed elargizioni clientelari) e servizi da garantire ai cittadini. Conoscendo poi il modo di funzionare di molte amministrazioni locali – vogliamo parlare di Mafia Capitale? – al danno causato dal governo si è aggiunta molto spesso la beffa: sono stati tagliati i servizi e salvaguardate le spese clientelari…

Naturalmente la Consulta non è affatto per una spesa incontrollata degli enti locali, né tantomeno per una sorta di “indipendenza” dei poteri locali rispetto a quelli nazionali: “Nessun dubbio che le politiche statali di riduzione delle spese pubbliche possano incidere anche sull’autonomia finanziaria degli enti territoriali; tuttavia, tale incidenza deve, in linea di massima, essere mitigata attraverso la garanzia del loro coinvolgimento nella fase di distribuzione del sacrificio” e “non può essere tale da rendere impossibile lo svolgimento delle funzioni degli enti in questione”.

Insomma: se da un lato neanche li si coinvolge, e dall’altro si blocca il funzionamento di servizi dovuti alla cittadinanza, la decisione del governo diventa incostituzionale.

La sentenza cade in piena campagna elettorale per i ballottaggi in quasi tutti i comuni coinvolti in questa tornata. Sarebbe interessante sapere da ogni candidato sindaco se intende avvalersi oppure no di questa sentenza per ripristinare prerogative – sia nelle entrate che nelle spese – che sono proprie dei sindaci. Ma per ora, a parte Luigi De Magistris, nessuno ha detto nulla.

In secondo luogo, questa è materia su cui ci si dovrà pronunciare,a ottobre, in sede di referendum sulla riforma contro-costituzionale voluta da Renzi e affidata al ddl Boschi. In quella “riforma” infatti, l’art. 199 è stato modificato come segue:

Art. 33. 

(Modifica dell’articolo 119 della Costituzione). 

1. L’articolo 119 della Costituzione è sostituito dal seguente:
«Art. 119. – I Comuni, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.
I Comuni, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri e dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio, in armonia con la Costituzione e secondo quanto disposto dalla legge dello Stato ai fini del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.
Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti assicurano il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche dei Comuni, delle Città metropolitane e delle Regioni. Con legge dello Stato sono definiti indicatori di riferimento di costo e di fabbisogno che promuovono condizioni di efficienza nell’esercizio delle medesime funzioni.
Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Città metropolitane e Regioni.
I Comuni, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i princìpi generali determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio. È esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti».

Non occorre essere dei fini costituzionalisti per capire che anche le decisioni del più piccolo dei Comuni italiani saranno soltanto applicazioni minuziose di quanto deciso dell’Unioen Europea, che per la prima volta viene citata esplicitamente come organo “costituzionale” pur non avendo a sua volta alcuna Costituzione.

p.s. Nel governo Monti, come viceministro per l’economia, dunque pienamente coinvolto come estensore delle norme previste in questo decreto, sedeva Stefano Fassina. Se poi non avete ancora capito perché questo personale politico risulta assolutamente non credibile come “sinistra”, allora dovete farvi vedere da qualche specialista..

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1 Commento


  • Stroszek

    Scusate ma Fassina non era stato viceministro dell’economia durante il governo Letta e non durante il mandato di Mario Monti?

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