Oggi vi racconto una storia degli anni Sessanta che illumina, con brutalità, ciò che sta accadendo a Gaza.
È la storia di una nave americana ridotta a un relitto fumante, con decine di morti a bordo. Una vicenda capace di incendiare la politica mondiale, ribaltare alleanze, ridisegnare il Mediterraneo. Invece fu sepolta in fretta, coperta da scuse e indagini chiuse a doppia mandata.
8 giugno 1967. Guerra dei Sei Giorni: il Sinai in fiamme, la Cisgiordania occupata, i carri armati sulle Alture del Golan. In acque internazionali, al largo della penisola del Sinai, naviga la USS Liberty, nave della Marina americana equipaggiata con sistemi di sorveglianza elettronica. Una nave-spia.
Alle 14, il cielo si apre in un fragore: caccia in picchiata mitragliano il ponte, sganciano napalm, squarciano lo scafo. Poi le motosiluranti: siluri sul fianco, fuoco d’artiglieria. La Liberty tenta di comunicare: le antenne sono state ridotte a rottami. Sul ponte, marinai disperati issano una gigantesca bandiera americana, visibile da chilometri. Non basta.
Il bilancio: 34 morti, 171 feriti. La Liberty ridotta a carcassa fumante.
Poche ore dopo, il governo responsabile parla di errore di identificazione: la nave scambiata per un cargo egiziano. Washington incassa e tace. Ma i superstiti raccontano altro. Il comandante William L. McGonagle, sotto giuramento, dichiarerà: la bandiera americana era ben visibile prima, durante e dopo l’attacco.
Il mondo si aspettava una reazione. Tuoni e fulmini. Una rappresaglia. Una punizione all’americana. Invece niente.
Negli Stati Uniti, il Congresso non aprì mai un’inchiesta pubblica.
E qui la domanda: chi era il responsabile? Israele. Guarda un po’.
Immaginate se fosse stato un paese arabo. Immaginate 34 marinai americani massacrati, la bandiera a stelle e strisce ignorata, il relitto bombardato fino all’ultimo. La Casa Bianca avrebbe convocato il Congresso, i giornali avrebbero gridato “atto di guerra”, il Pentagono avrebbe chiesto vendetta. Sanzioni. Missili. Guerra.
Invece nulla. Perché a colpire fu Israele. E allora scese il silenzio. Oggi, più di mezzo secolo dopo, il copione non è cambiato. Israele continua a colpire, forte di un’impunità sconfinata. A Gaza è in corso la “soluzione finale”. E ancora una volta Washington guarda altrove. Anzi: arma, copre, giustifica. La complicità degli Stati Uniti è l’asse portante di questa catena di crimini.
Quella nave americana ridotta a un relitto fumante nel 1967 non è solo un episodio dimenticato. È la matrice. È il segnale che da allora vale una regola non scritta: Israele può colpire chi vuole, dove vuole, quando vuole. Senza pagare mai il prezzo.
Ecco perché oggi Gaza brucia. Perché l’impunità è stata garantita ieri. E perché la complicità americana resta, oscena, intatta, oggi.
(prima parte)
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