Definizione di Genocidio. Secondo l’ONU: “Il genocidio è l’intenzione di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico razziale o religioso”.
Questa definizione è stata stabilita dalla Convenzione per la Prevenzione e Repressione del delitto di genocidio del 1948 e dallo Statuto di Roma della Corte penale internazionale. Include atti specifici: l’uccisione di membri del gruppo, il causare gravi lesioni fisiche o mentali, il sottoporre il gruppo a condizioni di vita calcolate per la sua distruzione fisica, le misure volte a prevenire nascite e il trasferimento forzato di bambini.
La definizione è nata in riferimento al genocidio del popolo ebraico, la Shoah: lo sterminio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale.
Le azioni che sostengono la definizione di genocidio sono imputabili all’operato di Israele nei confronti di Gaza come ha verificato la Commissione internazionale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite.
Per quanto riguarda la Cisgiordania, incessanti sono le azioni violente di occupazione e “sfollamento” della popolazione: sottrazione dei terreni con la cacciata dei palestinesi dalle loro case per opera dei coloni; interventi dell’IDF (esercito israeliano), acquiescente nei confronti dei coloni, che attacca militarmente istituti pubblici come le università; detenzione di migliaia di palestinesi, in carcere per motivi amministrativi non specificati; interventi dello stesso governo israeliano che emette decreti per legittimare le occupazioni con l’obbiettivo finale di annettere la Cisgiordania allo Stato sovrano di Israele.
Medio Oriente in fiamme. Israele prosegue il conflitto con i paesi confinanti. Bombardamenti, distruzioni, vittime in Libano, Siria, con l’intenzione di annettersi i territori confinanti con Israele. Bombardamenti contro gli Houthi, Yemen, (che fanno parte del gruppo della resistenza), i quali attaccano le navi israeliane in transito sul Mar Rosso, in solidarietà con i palestinesi e contro lo strapotere di Israele; attacchi all’Iran, che non ha mai riconosciuto lo Stato di Israele, considerato un nemico da Israele e dagli Stati Uniti.
L’Iran è stato colpito con incursioni terroristiche, compiute dal Mossad (servizi segreti israeliani), con l’uccisione di scienziati impegnati per l’energia atomica ad uso civile, con i bombardamenti al Consolato iraniano in Siria, con l’assassinio del numero uno dei Pasdaran, Soleimani, con l’uccisione dei capi di Hamas, ospiti dell’Iran. A fianco di Israele c’è stato il sostegno Usa, con i bombardamenti ai laboratori per l’energia atomica iraniana.
Per colpire Hamas, Israele ha bombardato il Qatar, alla sede dove si stava discutendo il piano per il cessate il fuoco e la restituzione degli ostaggi, piano proposto dagli USA. Risultato del bombardamento, l’uccisione di cinque alti funzionari di Hamas presenti alla discussione sull’accordo del piano USA.
Il Presidente Donald Trump ha ufficialmente disapprovato l’attacco al Qatar e ha mandato Rubio, segretario di Stato USA, in Israele. Nell’incontro con Netanyahu, il dissenso trumpiano si è dissolto, e si è discusso dell’operazione militare di invasione-occupazione di Gaza city, con la fuoriuscita dei gazawi.
Gi interessi Di Donald Trump sulla Striscia. Di fatto, Trump coltiva sulla Striscia i suoi interessi immobiliari e non solo. La guerra a Gaza offre un’occasione straordinaria per la costruzione di un grande resort, la Riviera del Medio Oriente, progetto condiviso da Netanyahu, progetto che interessa anche l’Arabia Saudita. La guerra a Gaza offre la possibilità di un altro grande affare: lo sfruttamento degli immensi giacimenti di gas nell’offshore del mare della Striscia.
La reazione internazionale secondo il doppio standard. Unanime la condanna della comunità internazionale per aver colpito un paese, il Qatar, alleato dell’Occidente, in particolare degli USA. Infuriati i paesi arabi per aver violato lla sovranità di uno Stato arabo considerato fratello. Accuse, sdegno, parole altisonanti dell’Occidente contro Israele per l’attacco al Qatar e la distruzione di Gaza; ma nessuno si è mosso; nessuna sanzione (a parte vaghe promesse dell’Unione Europea nelle parole di Ursula Von der Leyen); nessuna sospensione di invio di armi ad Israele.
L’Italia è un caso esemplare: dai porti italiani di Ravenna, Genova e altri, partono navi cariche di armi dirette a Israele, non solo, l’Italia accoglie militari dell’IDF impegnati nel massacro di Gaza. I militari israeliani sono diretti in Sardegna per un soggiorno di riposo, dove c’è un poligono di tiro Ai militari israeliani il Governo italiano ha concesso una scorta della Digos per garantirne la sicurezza.

Fa eccezione la Spagna: Il capo del Governo spagnolo, Pedro Sanchez, ha accusato di genocidio Israele, ha sospeso l’invio di armi a Israele e ha posto un embargo alle navi USA che fanno scalo in Spagna, cariche di armi dirette a Israele. Netanyahu ha accusato la Spagna di antisemitismo.
A questo punto, lo stupore dell’opinione pubblica mondiale angosciata, si pone interrogativi ineludibili: “Com’è possibile che un piccolo Stato come Israele, con meno di 10 milioni di abitanti, possa procedere indisturbato nel portare avanti i suoi progetti feroci di affamare la popolazione, di distruzione, genocidio a Gaza?
Nel portare avanti l’annessione della Cisgiordania? chiedere le dimissioni di Antonio Guterres, Segretario Generale ONU, per aver criticato Israele? Nel disattendere tutte le Convenzioni internazionali sui diritti umani? Nell’accusare di antisemitismo la Corte Penale Internazionale? Nell’avere l’appoggio USA del Presidente per sanzionare i tribunali dell’Aja?
Per capire come sia possibile che Israele continui indisturbato nel massacro, nelle annessioni, pur considerando l’attacco efferato di Hamas del 7 Ottobre 2023, bisogna ripercorrere a volo d’uccello la storia della formazione dello Stato di Israele e gli interessi dei paesi occidentali per uno Stato costruito con caratteristiche occidentali in Medio Oriente.
Idea britannica di uno Stato ebraico in Palestina. L’idea di uno Stato di Israele in Palestina prende forma tra la fine del ‘800 e l’inizio del ‘900, con la nascita del movimento sionista e gli interessi britannici sulla Palestina. La fine dell’Impero Ottomano, sconfitto prima dall’Egitto poi dalle potenze occidentali (in primis dalla gran Bretagna e dalla Francia) nella prima guerra mondiale ha comportato la dominazione in Medio Oriente della Francia e della Gran Bretagna.
La Palestina, l’Iraq e la Transgiordania (oggi Giordania) furono assegnati al Mandato britannico, il Libano e la Siria al Mandato francese. Contemporaneamente si formarono i paesi arabi e la Repubblica di Turchia.
La creazione di uno Stato ebraico in Palestina era nell’interesse della Gran Bretagna. Si trattava di inserire in Palestina un popolo civile, come il popolo ebraico askenazita europeo, che aveva il senso dello Stato delle popolazioni occidentali, per cui era facile stabilire un’alleanza.
Già all’inizio del Novecento in Inghilterra si teorizzava una Palestina come terra senza popolo (da intendersi nazione), per un popolo senza terra, e si prefigurava un «focolare nazionale per il popolo ebraico». La situazione territoriale della Palestina poneva alla Gran Bretagna il dilemma di chi avrebbe governato il Levante, in accordo con gli interessi e le modalità «civili» britanniche, nel senso della formazione di uno Stato nazionale di tipo occidentale. Di fatto, gli ebrei, a cui era diretta l’esortazione di tornare in Palestina, erano ebrei ashkenaziti di origine e cultura europea.
Una terra senza popolo, per un popolo senza terra, Nella concezione politica britannica dell’epoca colonialista, la Palestina era considerata un territorio senza una nazione, abitata da un coacervo di genti, popolazioni prive di un’identità civile, praticamente inferiori secondo le teorie razziali.
In tal senso va intesa la concezione di “gente” in Palestina, considerata “una terra senza popolo, per un popolo senza terra”, laddove l’articolo “un” davanti alla parola “popolo”, nella lingua inglese determinava una differenza specifica tra nazione-popolo e gruppo etnico, cioè incivile.
Importanza della Palestina nello scacchiere mediorientale. Il Medio Oriente rappresentava e rappresenta per le potenze occidentali una fonte di approvvigionamento ricchissima di materie prime e la testa di ponte dell’Occidente tra Est e Ovest, tra occidente e oriente. Di più offriva e offre un collegamento marino tra Mediterraneo, Mar Rosso e Oceano Indiano, che annulla le grandi distanze di collegamento tra Mediterraneo e Oceano Indiano, cioè tra oriente e occidente.
Per questo, fu realizzata la costruzione del canale di Suez alla metà dell’Ottocento, che ha ridotto enormemente i tempi di percorrenza marittima tra Occidente e Oriente, abbassando i costi di navigazione delle navi, soprattutto, per i traffici commerciali, precedentemente costrette a circumnavigare l’Africa.
Il movimento Sionista. Gli interessi britannici sulla Palestina andavano incontro agli interessi del movimento sionista, un movimento internazionale ebraico, che perseguiva l’affermazione del diritto all’autodeterminazione del popolo ebraico, per la creazione di uno Stato in Palestina, considerata terra d’Israele. Il Sionismo alla sua nascita fu un movimento laico che cominciò a circolare alla fine del XIX secolo con l’idea di creare uno Stato ebraico, una nazione, sul modello delle nazioni europee. Uno Stato dove l’antisemitismo fosse escluso per definizione.
Dalla convergenza degli obiettivi del sionismo con gli interessi britannici, inizia l’immigrazione ebraica in Palestina, sempre più massiccia, soprattutto negli anni 30, con l’avvento del Terzo Reich nella Germania nazista, con le leggi razziali contro gli ebrei e i campi di sterminio.
L’immigrazione di grandi masse, che occupavano spazi per l’insediamento. comportava la sottrazione continua di terreni ai palestinesi.
Yishuw: insediamento ebraico esclusivo. Apartheid dei palestinesi. Per gli ebrei immigrati in Palestina, si trattava di organizzare insediamenti con le caratteristiche degli ebrei aschenaziti, cioè di civiltà occidentale. Per le comunità ebraiche immigrate, lo spazio dell’insediamento era considerato possesso della comunità ebraica che vi si insediava.
Gli insediamenti venivano realizzati con strutture, infrastrutture, servizi, modalità operative nell’industria e nell’agricoltura, specifiche di una società civile che ne reclamava il diritto di possesso.
Significativi i primi i nsediamenti ebraici dei kibbutz, comunità solidali di orientamento socialista, comunità dove tutto veniva condiviso. Esclusi erano i palestinesi, gente di un mondo pastorale con un contesto culturale islamico turco-arabo.
È questo il periodo in cui iniziano i processi di sradicamento dei palestinesi dai propri villaggi, sradicamento che ha innescato il conflitto arabo-ebraico protrattosi nel tempo fino ai nostri giorni.
L’immigrazione ebraica in Palestina, sempre più invasiva, l’erosione dei territori, l’emarginazione dei palestinesi, considerati “gente” inferiore, hanno provocato la sollevazione e le rivolte dei palestinesi esplose nella Grande Rivolta del 1936-39.
L’intervento militare britannico per sedare la rivolta provocò diversi morti da entrambe le parti, in particolare tra gli ebrei. Per sedare la rivolta, i britannici emisero un decreto che limitava l’immigrazione ebraica in Palestina.
Come risposta ebraica contro i britannici e le rivolte palestinesi, si formarono gruppi paramilitari sionisti: l’Haganah, di orientamento socialista, con a capo David Ben Gurion, futuro Primo Ministro israeliano, impegnato a contenere le rivolte palestinesi, e l’Irgun, con a capo Menachen Begin di orientamento estremista di destra, impegnato sia in Medio Oriente che in Europa, con obiettivo di porre fine al protettorato britannico in Palestina.
Per l’Irgun ogni ebreo aveva diritto ad entrare in Palestina. La legge britannica, attuata per contenere l’immigrazione ebraica (libro bianco), era considerata dall’Irgun inattuabile. Tra gli attentati dell’Irgun, il più eclatante fu quello all’ambasciata britannica a Roma, completamente distrutta.
Comune tra i gruppi paramilitari era l’obiettivo di portare avanti un’attività di rappresaglia che avrebbe assicurato la nascita dello Stato di Israele (Nel ’48 con la formazione dello Stato di Israele, i gruppi paramilitari dell’Haganah e dell’Irgun furono disciolti e i membri integrati nella neocostituita forza di Difesa israeliana IDF).
La formazione dello Stato di Israele. L’avvento della Seconda Guerra Mondiale, lo sterminio nazista del popolo ebraico, di cui furono responsabili anche gli Stati occidentali che rifiutarono di offrire asilo agli ebrei in fuga, accelerarono la realizzazione dello Stato d’Israele.
L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU, 1945), succeduta alla Società delle Nazioni, con compiti istituzionali molto più ampi, votò nel Novembre 1947 il piano di Ripartizione del territorio palestinese in due Stati. Nel piano la popolazione ebraica contava circa 608 mila persone, quella araba 1 milione 237 mila persone.
Nonostante la popolazione araba fosse più del doppio della popolazione ebraica, venne assegnato allo Stato israeliano il 56% del territorio palestinese, quella parte che comprendeva le principali fonti idriche della regione e i terreni più fertili. Di più, la spartizione squilibrata del territorio a favore degli ebrei, impediva all’istituendo Stato palestinese gli sbocchi sul Mar Rosso.
Le principali organizzazioni sioniste accettarono la proposta. Tra gli israeliani che rifiutarono la proposta ci fu Menachen Begin, comandante dell’Irgun, futuro fondatore del Likud e futuro primo ministro di Israele, il quale dichiarò, a proposito del piano di ripartizione del territorio: «La divisione della Palestina è illegale. Non sarà mai riconosciuta. La Grande Israele sarà ristabilita per il popolo di Israele. Tutta. E per sempr
All’indomani del voto ONU iniziò la guerra civile del 1947-48 nella Palestina mandataria tra la comunità ebraica e la comunità palestinese. Il 14 maggio 1948 l’Agenzia Ebraica dichiarò unilateralmente l’indipendenza dello Stato di Israele.
Nella Dichiarazione di Indipendenza dello Stato di Israele si legge: «Israele promuoverà lo sviluppo del paese a beneficio di tutti i suoi abitanti, sarà fondato sui valori di libertà, giustizia e pace come annunciarono i profeti, assicurerà completa uguaglianza (…) dei diritti sociali e politici di tutti i suoi abitanti, indipendentemente da religione, razza o sesso; garantirà libertà di religione, coscienza e lingua, educazione e cultura; tutelerà i sacri luoghi di tutte le religioni».
Dal punto divista politico, lo Stato di Israele è una Repubblica democratica, senza, tuttavia, una Carta Costituzionale e senza aver mai definito i propri confini.
Nakba del popolo palestinese. Nella stessa data della Dichiarazione di Indipendenza, Ben Gurion, futuro primo ministro israeliano, dichiarava all’esecutivo dell’Agenzia Ebraica: “Sono favorevole al trasferimento dei palestinesi, trasferimento che non comporta nulla di immorale.”
Il 15 maggio, dopo il ritiro britannico, il conflitto civile si trasformò in una guerra fra Israele e gli stati vicini: Siria, Egitto, Iraq, Giordania. Per quanto riguarda i paesi arabi confinanti, la definizione dello Stato d’Israele, così come venne stabilita dalle Nazioni Unite, suscitò l’ira di questi paesi, i quali consideravano la formazione dello Stato d’Israele, un’aggressione verso il mondo arabo, oltre che lo spossessamento dei palestinesi dalla loro terra.
Durante la guerra uno degli episodi più gravi fu causato dall’azione dell’Irgun che aveva come capo Menachen Begin, futuro Primo Ministro israeliano. Per liberare il territorio dai palestinesi, fu redatto dai dirigenti militari israeliani il piano Dalet.
Di fatto, si trattava di un Piano di espulsione delle popolazioni palestinesi, della distruzione di interi villaggi e città palestinesi, in funzione dell’espansione del territorio ebraico. Non è un caso che Israele, nell’obiettivo di aumentare lo spazio territoriale nazionale, non abbia mai definito i suoi confini.
Nelle campagne militari ebraiche fu data la più grande libertà d’azione ai capi militari operanti sul territorio. Le direttive, impartite dal Piano Dalet, dettero ai capi militari la possibilità di procedere a espulsioni e alla totale distruzione dei villaggi palestinesi, che furono particolarmente feroci durante la guerra del 1948, mossa dai paesi arabi, vicini a Israele.
«Per costringere i palestinesi ad abbandonare le proprie terre, gruppi di sionisti ricorsero ad azioni terroristiche. Il 9 aprile 1948, un commando dell’organizzazione paramilitare Irgun, guidato da Menachem Begin, penetrò nel villaggio di Deir Yassin, con l’alibi di sgombrare la via verso la città, uccidendo 254 civili, tra cui donne, anziani e bambini. Fu un massacro che provocò l’esodo di 10.000 profughi palestinesi.

Dal 15 maggio 1948 l’esodo diventò biblico, con la brigata Alexandroni che spianava i villaggi arabi aprendo la strada per Gerusalemme, causando l’esodo forzato di 250.000 palestinesi, nei giorni immediatamente successivi. Il 14 luglio fu la volta dei 60.000 deportati da Ramallah e Lydda, motivati dalla necessità di sgombero per l’avanzata dell’esercito egiziano. Altri 250.000 lasceranno città e villaggi nelle ultime fasi della guerra, durante i primi mesi del 1949, quando il bilancio stimato fu di oltre 500 villaggi distrutti e 11 aree urbane evacuate in territorio palestinese». (Codovini G. 2002, Storia del conflitto, Milano, Mondadori).
L’esodo forzato palestinese del 1948, conosciuto come la Nakba (catastrofe), interessò 720 mila palestinesi, più della metà della popolazione palestinese, cui venne interdetto il ritorno dopo la cessazione delle guerre con i paesi arabi, vinte da Israele. Il diniego del diritto al ritorno degli abitanti in Palestina ha posto in essere la questione irrisolta dei rifugiati palestinesi.
L’UNRWA, Agenzia ONU per il Soccorso e l’Occupazione dei profughi palestinesi in Medio Oriente, ha dichiarato che i rifugiati palestinesi e i loro discendenti nel 2015 erano 5 milioni 149 mila 742, distribuiti in Giordania, Striscia di Gaza, Cisgiordania, Siria e Libano.
Israele, dopo aver vinto la guerra del 1948 con i paesi arabi e successivamente la guerra del 1967 con i vicini arabi compreso l’Egitto, occupò i territori destinati allo Stato palestinese: Gaza, Cisgiordania, il Negev, lasciando una precaria autonomia amministrativa ai palestinesi.
L’obiettivo di Israele è stato sempre quello di realizzare centri urbani per gli ebrei (coloni) e gestire le fonti primarie nei territori occupati: fonti idriche, distribuzione dell’acqua ai palestinesi, così come l’elettricità e il carburante. Nei confronti di questi beni essenziali, ancora oggi, gli israeliani possono aprire e chiudere i rubinetti a loro volontà.
Lo slittamento teocratico del Sionismo. Nato come movimento laico e socialista, il sionismo ha subito ben presto una trasformazione radicale, divenendo un movimento di estrema destra, nazionalista messianico, attraverso l’ipostatizzazione della narrazione biblica: ritenere verità assoluta, storicamente determinata, la storia d’Israele descritta nella Bibbia, nella quale gli ebrei sono il popolo eletto da Dio, che ha concesso loro un territorio, la Palestina, terra santa, terra d’Israele. Questo presupposto sacro, ritenuto verità assoluta, ha radicalizzato l’identità e l’azione degli israeliani contro i palestinesi, con una politica giustificativa di appropriazione dell’intero territorio della Palestina e l’esclusione dei palestinesi.
Intifada e Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) Nelle condizioni di vita in cui sono stati costretti a vivere, i palestinesi hanno reagito con gli scontri e le sommosse, che hanno provocato la prima e la seconda Intifada, cioè le rivolte palestinesi contro le espropriazioni e lo “sfollamento” della popolazione palestinese.
Gli israeliani sono interventi per isolare i palestinesi, separandoli dagli insediamenti israeliani, con la costruzione del cosiddetto Muro della Vergogna; mura che hanno una lunghezza di 730 chilometri, intervallata da porte metalliche elettrificate. Mura che non di rado tagliano in due uno stesso villaggio. Ai palestinesi è vietato altresì, il transito sulle autostrade di circonvallazione che collegano gli insediamenti ebraici.
La situazione per i palestinesi è peggiorata giorno, dopo giorno, con le vessazioni israeliane come il controllo ossessivo nei punti di transito (checkpoint), dove i palestinesi vengono perquisiti, non di rado mortificati e umiliati dall’esercito israeliano.
La gravità della situazione, ha determinato nel 1964 un evento politico straordinario: la creazione dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) con a capo Yasser Arafat. L’organizzazione è nata come struttura laica cui partecipavano correnti islamiche, cristiane, socialiste e comuniste.
L’obiettivo dell’OLP è espresso nello Statuto “la Liberazione della Palestina attraverso la lotta armata”. Nel 1975 l’ONU ha riconosciuto l’OLP come rappresentate del popolo palestinese e nel 1977, previa modifica della Convenzione di Ginevra, ha riconosciuto all’OLP la facoltà di usare la lotta armata come mezzo per esercitare il diritto all’autodeterminazione.
Nascita e morte del trattato di Oslo. Nel conflitto israeliano-palestinese siè aperta una possibilità di pace con l’Accordo di Oslo, tra il Primo Ministro di Israele Yitzhak Rabin e Yasser Arafat, il quale, a nome dei palestinesi ha riconosciuto ufficialmente lo Stato di Israele. Nell’accordo si stabiliva di assegnare alla gestione dell’autorità palestinese alcune parte dei territori occupati da Israele nel ’67; il restante territorio occupato, sarebbe dovuto passare entro 5 anni sotto l’autorità palestinese.
Con gli accordi di Oslo, 1993, l’OLP rinunciava alla lotta armata e si trasformava in ANP (Autorità nazionale Palestinese), organismo politico di autogoverno palestinese ad interim, f(ormato nel 1994), per governare la striscia di Gaza e le aree A e B della Cisgiordania. (Succederà ad Arafat, come presidente dell’ANP, Maḥmūd ʿAbbās (noto come Abu Matzen), ancora in carica
Nel 1994 Rabin e Arafat ricevettero il Nobel per la pace per i loro sforzi in Medio Oriente. L’anno successivo, il primo novembre 1995, Rabin ha tenuto un discorso sull’accordo di pace: “Sono stato un soldato per 27 anni. Ho combattuto finché non si vedeva alcuna possibilità di pace. Ora credo che questa possibilità ci sia, una grande possibilità che dobbiamo cogliere”. Pochi istanti dopo questo discorso, Rabin venne colpito a morte dalla furia di un estremista israeliano.
Nel 1996, dopo un breve interregno, Bibi Netanyahu, membro della Knesset e leader del partito di destra Likud, ha preso il posto di Rabin come Primo Ministro del governo israeliano. Netanyahu è, stato capo del governo israeliano dal 1996 al 1999, anno in cui ha condotto l’operazione piombo fuso contro Gaza, dove sono stati uccisi più di mille palestinesi, tra cui 400 bambini.
È tornato al governo nel 2009 ed è tutt’ora in carica, con un breve intervallo tra il 2021 e il 2022, in cui Israele ha avuto un governo di coalizione con membri del partito arabo. Nel gennaio 2022 Netanyahu è tornato a governare Israele, sempre più deciso a portare avanti il progetto della «Costruzione della Grande Israele» e del displacement dei palestinesi, obiettivo condiviso dall’establishment governativa di ultra destra, tra cui spiccano per l’estremismo sionista messianico, il Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich che ebbe a dire: far morire di fame i palestinesi è giusto e morale, e Itamar Ben-Gvir, Ministro della Sicurezza nazionale, incriminato 50 volte per l’incitamento all’odio, che proclamava nella sua campagna elettorale: E’ tempo di essere padroni del nostro paese.
Gaza: avvento del partito di Hamas. Nei territori palestinesi di Cisgiordania e Gaza, separati territorialmente da insediamenti dei coloni israeliani, avvenne una scissione politica alle elezioni del 2006, tra i partiti facenti capo all’ANP e la formazione politica di Hamas, che ha vinto a Gaza.
La scissione tra ANP e Hamas ha provocato la lotta civile tra i due partiti che si è conclusa con la separazione politica tra Gaza e la Cisgiordania. Il partito di Hamas è nato da un movimento formatosi tra i rifugiati palestinesi in Libano. Hamas significa in arabo resistenza islamica, ma anche entusiasmo, zelo, spirito combattente, espressioni che non potrebbero esprimere meglio la forza di resistenza dei Gazawi.
Di fronte alla politica di Netanyahu di riduzione continua dei territori palestinesi, di violenze sugli abitanti della Cisgiordania, cacciati dai coloni, di intimidazioni a Gaza, Hamas, più combattivo dell’ANP, nei confronti delle aggressioni di Israele, ha reagito con i lancio di droni oltre i confini di Israele, e ha costruito per la difesa di Gaza, tunnel sotterranei lunghi 700 chilometri, utilizzati per il deposito di armi, di beni di consumo, per fungere da rifugi di difesa dagli attacchi israeliani.
La reazione di Hamas si è acuita con i progetti di Netanyahu, sostenuti dal partito Likud e dal partito sionista messianico, di acquisire Gerusalemme Est (considerata dai palestinesi capitale dello Stato di Palestina) per farne la Capitale di Israele, con l’espulsione degli abitanti palestinesi. Progetto sostenuto dalla prima amministrazione di Trump, che riconobbe Gerusalemme Capitale di Israele, contro la Risoluzione Onu che stabiliva per Gerusalemme, culla delle tre religioni, una giurisdizione internazionale.
Nel 2021 Netanyahu ha ordinato l’ennesima espulsione dei palestinesi da Gerusalemme Est e ha represso la mobilitazione degli arabi israeliani contrari alla espulsione con l’intervento armato della polizia contro gli insorti arabi. Hamas è intervenuto minacciando Netanyahu, che ha risposto militarmente contro Gaza. Hamas, allora, ha reagito con il lancio di razzi sulle città israeliane di confine colpendo anche Tel Aviv.
Per Netanyahu è stata la giustificazione per intervenire con un bombardamento massiccio su Gaza. Tragico è stato il bilancio: Israele ha subito dieci vittime, tra cui due immigrati; Gaza, martellata dai bombardamenti, ha contato 230 vittime tra cui 70 bambini.
L’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. In questa situazione di tensione e interventi armati, Hamas commette l’errore-orrore dell’attacco a Israele del 7 ottobre 2023. Un massacro di centinaia e centinaia di giovani israeliani in festa, invasione nei kibbutz a ridosso del confine di Gaza, e l’uccisione degli abitanti compresi i bambini; sequestro di oltre 200 ostaggi.
Netanyahu ha sentenziato: “Guerra e vendetta. Battaglia tra i figli della luce (il bene) e i figli delle tenebre (il male), tra l’umanità e la legge della giungla (le belve)”. In questa atmosfera, il ministro della Difesa Yoav Gallant si è così espresso: “Stiamo combattendo contro animali umani e agiremo di conseguenza”.
Rimane un punto interrogativo sulla mancanza di interventi di Israele durante l’attacco di Hamas che lascia perplessi. I Ministri del gabinetto di sicurezza del Governo israeliano e lo stesso Netanyahu erano stati informati dell’attacco dall’Egitto e avevano ricevuto un documento circostanziato di quanto sarebbe successo, ma non si sono mossi. I servizi di sicurezza, i sistemi di allarme che circondavano lo spazio dell’attacco a ridosso del confine con Gaza erano spenti. L’intervento della polizia, dei servizi di sicurezza è arrivato nel luogo dell’eccidio dopo il massacro di Hamas.
Il Presidente Usa Biden: Hamas, il male assoluto. Immediata la solidarietà degli Stati Uniti (ai quali fa eco l’Unione Europea), per bocca del presidente Biden, che ha definito Hamas il male assoluto da affrontare, combattere e distruggere. Con questo obiettivo, in soccorso di Israele, ha inviato armi e finanziamenti e mandato nel Mar Mediterraneo due portaerei e successivamente un sommergibile nucleare,
Poi Biden si è recato in Israele per assicurare a Netanyahu l’incondizionato supporto degli Stati Uniti contro Hamas. Successivamente si sono recati in Israele, uno dopo l’altro. i Presidenti dei governi europei, esclusi la Spagna e il Portogallo, offrendo solidarietà e aiuti a Netanyahu. Singolare il comportamento di Ursula Von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, la quale senza consultare l’assemblea dei membri UE, si è precipitata in Israele per esprimere solidarietà e offrire aiuti a Netanyahu.
Trump: la riviera del Medio Oriente a Gaza. A dare man forte a Netanyahu è intervenuta l’elezione a Presidente Usa di Donald Trump, eletto per il secondo mandato. Tramp, già nel primo mandato mirava al controllo USA in Medio Oriente e a rafforzare i rapporti con Israele, il cui Primo Ministro Netanyahu, necessita dell’appoggio incondizionato di Donal Trump per gli obiettivi di egemonia sulla Palestina e non solo.
Per quanto riguarda Gaza, Trump appoggia l’occupazione israeliana della Striscia, con la fuoriuscita dei palestinesi, interessato a realizzare il progetto di un lussuoso resort marino a Gaza, La riviera del Medio Oriente, di cui Netanyahu e il suo gabinetto di guerra sono entusiasti. Trump mira anche a mettere le mani sugli immensi giacimenti di gas metano nei fondali del mare di Gaza, con la partecipazione della Arabia Saudita.
Per realizzare il progetto Riviera del Medio Oriente, Trump ha convocato alla Casa Bianca i suoi consiglieri per discutere dei modi e dei tempi per la costruzione del resort marino sulla Striscia.
Alla seduta ha partecipato Jared Kushner, genero di Trump, già suo consigliere nella precedente amministrazione trumpiana, con interessi immobiliari in Arabia Saudita, paese interessato a partecipare alla realizzazione del progetto. Alla seduta ha partecipato anche Tony Blair, di cui sono noti i rapporti tra il “Tony Blair Institute “e l’Arabia Saudita. (New York Times, 27/08/2025).
Verso il terzo anno di guerra a Gaza: la reazione a doppio standard dei paesi occidentali. Di fronte al genocidio palestinese si è sviluppata una reazione degli Stati Occidentali e non solo. La ferocia con cui Netanyahu procede allo sterminio dei palestinesi ha sollevato l’indignazione dei cittadini dei paesi occidentali con manifestazioni e richieste di interventi per il cessate il fuoco da parte dei rispettivi governi, i quali emettono critiche a Israele.
Per dare prova di buona volontà, alcuni Stati tra cui la Francia e il Regno Unito, i cosiddetti Stati volenterosi, si sono fatti paladini per il riconoscimento dello Stato di Palestina, ma ci troviamo di fronte a un doppio standard: da una parte si critica Israele, per le distruzioni e le morti che continuano, per affamare la popolazione come arma di guerra; dall’altra non si ferma il supporto alla guerra contro Gaza, sospendendo l’invio di armi alle operazioni militari su Gaza ed emettendo sanzioni economiche e commerciali.
Di fatto, il Riconoscimento dello Stato di Palestina è un atto di facciata, un riconoscimento simbolico, che arriverebbe troppo tardi, quando i territori palestinesi frantumati e separati tra loro dagli insediamenti israeliani e dalle annessioni (informali) di vasti territori della Cisgiordania allo Stato israeliano, rendono inattuabile la realizzazione dello Stato di Palestina.
Col tempo aumenta, comunque, l’avversione alla ferocia dell’aggressione israeliana in Palestina, si moltiplicano le manifestazioni di piazza in tutto il mondo occidentale e non solo. Netanyahu, in previsione del probabile riconoscimento dello Stato di Palestina da parte di molti Stati alle Assemblee generali ONU, ha minacciato all’approssimarsi dell’Assemblea ONU, che, se questo Riconoscimento dovesse essere approvato, Israele occuperebbe gran parte dei territori della Cisgiordania. (In Cisgiordania è stato già occupato dalla violenza dei coloni circa il 30% del territorio).
L’impossibilità della formazione di uno Stato di Israele. Il progetto di Netanyahu e dell’estrema destra messianica di estendere lo Stato di Israele all’intera Palestina è in uno stato avanzato. Di fatto, Israele ha già occupato il cosiddetto corridoio territoriale palestinese che collegava la Cisgiordania a Gerusalemme Est, abitata in maggioranza dai palestinesi, che la considerano Capitale dello Stato Palestinese. Con tale operazione Israele ha spezzato la continuità territoriale di uno Stato palestinese, in cui la capitale Gerusalemme Est, verrebbe a collocarsi al di fuori del territorio nazionale. D’altronde, i coloni israeliani continuano con la violenza a occupare case e quartieri palestinesi a Gerusalemme Est, considerandola, a loro volta, Capitale di Israele.
In Occidente e non solo, aumentano i paesi che voteranno a favore dello Stato palestinese, all’Assemblea generale ONU. Nel Gabinetto di guerra del Governo israeliano, Itamar Ben Gvir, Ministro della Sicurezza Nazionale, uno dei falchi dell’estrema destra sionista messianica tuona e ammonisce: “Lo Stato di Palestina non esiste. L’Europa si accorgerà del terrorismo”. Allude forse alle operazioni del Mossad in Europa? Per esempio, al bombardamento all’ambasciata britannica a Roma?
Israele-USA. No allo Stato di Palestina. Un sondaggio negli USA ha rivelato un aumento del dissenso nella politica di Trump sulla guerra nella Striscia. Il 52% degli intervistati ha espresso critiche al sostegno americano a Israele; ma Donald Trump è favorevole al piano di Netanyahu su Gaza city e alla fuoriuscita dei palestinesi da Gaza, in funzione dei suoi progetti immobiliari sulla Striscia.
Netanyahu, In prossimità dell’assemblea ONU del 9 settembre, emette un decreto che vieta la partecipazione dei rappresentanti palestinesi all’assemblea, benché la Palestina sia stata riconosciuta dall’ONU “Stato Osservatore Permanente” e, dal maggio 2024, l’ONU abbia approvato una Risoluzione che ha qualificato la Palestina come membro a pieno titolo dell’ONU.
Come risultato il 9 Settembre all’Assemblea Generale dell’ONU, 142 paesi su 193, si sono dichiarati a favore del Piano, due popoli, due Stati. Hanno espresso voto negativo, Israele, Stati Uniti, Argentina, Ungheria e gli Stati del Tonga, Palau, Micronesia, Paraguay., vassalli degli Usa.
Di fronte al massiccio voto favorevole per il piano due popoli, due Stati, Netanyahu ha replicato: “Uno Stato di Palestina non ci sarà mai”, consenzienti i Ministri del Gabinetto di Guerra che hanno varato, come promesso, un decreto di annessione allo Stato israeliano dell’82% della Cisgiordania, con lo sfollamento dei palestinesi, per i quali rimarranno solo piccoli insediamenti separati tra loro, sotto il controllo dei servizi di sicurezza israeliani.
Rispetto a questo progetto sono insorti i paesi arabi che hanno minacciato la rottura dei patti di Abramo. Israele ha sospeso e rinviato il progetto di annessione.
Israele: attacco al Qatar, bombardamento alla sede dei colloqui per il cessate il fuoco. A Doha, il 10 Settembre, sono in corso i colloqui sul piano proposto da Trump, per il cessate il fuoco. Tra le delegazioni ci sono sei rappresentanti di Hamas, alti funzionari del partito. Durante i colloqui, Israele ha bombardato la sede dei colloqui. Sotto le bombe cadono assassinati sei partecipanti all’incontro, di cui cinque sono i funzionari di Hamas.
Per le Convenzioni internazionali si è trattato della violazione armata di uno Stato sovrano, in buoni rapporti con Israele e alleato degli Stati Uniti. Il presidente del Qatar, Altani, furibondo, ha accusato Israele di terrorismo di Stato e ha convocato a Doha gli Stati arabi e i rappresentanti dei paesi musulmani, per trovare una risposta condivisa all’attacco di Israele. Risultato: fine dei Patti di Abramo, Sospese le relazioni con Israele, sempre più lontani gli accordi per un cessate il fuoco a Gaza.
Trump si è detto “non entusiasta dell’attacco” e ha inviato il Segretario di Stato Rubio in Israele. Ma il malcontento di Trump si è dissolto all’arrivo a Tel Aviv: il sostegno di Trump a Israele non è mutato, come non sono mutati i progetti, Riviera del Medio Oriente e sfruttamento dei giacimenti di gas nei fondali del mar di Gaza.
La costruzione della Grande Israele.Netanyahu nel progetto della Grande Israele, mira anche all’occupazione dei territori dei paesi confinanti. Bombardamenti su Beirut, capitale del Libano. Bombardamenti nel Sud del paese, al confine con Israele. Il pretesto è quello di eliminare gli Hezbollah (organizzazione paramilitare islamista e antisionista, divenuta un partito politico, che fa parte della rete di resistenza), in realtà Israele vuole occupare una zona di confine libanese, controllata da Israele.
I bombardamenti al sud del Libano colpiscono gli insediamenti dell’Unifil (United Nations Interim Force in Lebanon) di cui fa parte un contingente italiano. I compiti di Unifil in Libano sono: monitorare la cessazione delle ostilità e il rispetto della Blue Line (la linea di comunicazione tra il Libano e Israele), accompagnare e supportare le Forze Armate Libanesi (LAF) nel loro dispiegamento, supportare la popolazione locale e pattugliare le zone marittime. L’attacco israeliano é arrivato a pochi giorni dell’ultimo rinnovo della missione di pace Unifil (iniziata nel 1978, durante la guerra civile libanese, 1975-1990, proprio in risposta all’invasione israeliana del Libano).
Il portavoce del Governo di Tel Aviv, accusato di aver colpito deliberatamente il contingente Unifil, dichiara di essere accaduto incidentalmente. “Una scelta precisa” dichiara Crosetto, Ministro della Difesa italiano, “l’obiettivo dell’attacco israeliano non lascia dubbi”. L’obiettivo di Netanyahu é quello di mantenere la pressione sul Libano, per questo, nei cieli di Beirut è costante il rumore dei droni in ricognizione, monito che la guerra non è finita.
Stessa operazione in Siria e nello Yemen contro gli Huthi. In Siria Netanyahu ha bombardato la zona sulle alture del Golan, già occupate dopo la guerra del ’67 con i paesi arabi. I bombardamenti in Siria continuano L’occasione è stata la rivolta popolare condotta Ahmad al-Shara, con la cacciata del tiranno Bashar al-Assad. I bombardamenti in Siria continuano.
Netanyahu proclama: “L’altopiano del Golan fa parte da e per sempre dello Stato di Israele”. Israele prosegue col progetto della Grande Israele, con i bombardamenti alle postazioni militari degli Huthi. Gli Huthi, sono un gruppo di ribelli yemeniti nato nel 1992 contro la dittatura del governo del generale Saleh.
Gli Houthi sono un movimento combattente forte e agguerrito, tanto che i conflitti civili interni hanno portato gli Houthi a prendere il controllo della provincia settentrionale di Saada e delle aree limitrofe, fino a conquistare la capitale Sana’a. Gli Huthi fanno parte della “rete di resistenza” contro lo strapotere israeliano e sono solidali con i palestinesi.
Da quando è iniziata la guerra a Gaza gli Houthi attaccano le navi israeliane e quelle dei suoi alleati in transito sul Mar Rosso, ma i continui bombardamenti israeliani hanno semidistrutto Sana’a, tanto che Katz, Ministro della Difesa israeliano, ha annunciato: “La bandiera di Israele sventolerà su Sana’a”.
Nelle mire di Netanyahu di occupazione-annessione dei territori dei paesi confinanti con Israele non c’è l’Egitto. L’Egitto è uno Stato storicamente consolidato, forte e agguerrito che conta 116 milioni di abitanti; uno dei paesi mediorientali che insieme al Qatar ha organizzato numerosi incontri tra i belligeranti, gli USA e i paesi arabi, in vista di un cessate il fuoco a Gaza, con la restituzione a Israele degli ostaggi e con la fine della guerra. Con questo obiettivo l’Egitto sta addestrando 10 mila palestinesi per farne degli amministratori del futuro Stato di Palestina.
Piano di occupazione di Gaza city: perplessità dei capi dell’IDF, dei servizi di sicurezza, defezione dei riservisti. Nel Gabinetto di guerra del Governo Netanyahu si tiene un’assemblea in cui partecipano gli alti ufficiali dell’IDF. Nella discussione è intervenuto Ejal Zamir, Capo di Stato Maggiore dell’IDF, il quale ha espresso le sue perplessità sull’occupazione di Gaza city: perdite di molti soldati, rischio concreto di trovare tutti gli ostaggi morti, incertezza dei tempi e obiettivi della guerra. Il Generale ha suggerito a Netanyahu di accettare il progetto concordato tra Hamas, l’Egitto, il Qatar e l’inviato USA: tregua di un mese, restituzione di ostaggi in cambio di prigionieri palestinesi.
Lo Shin Bet, organizzazione israeliana di controspionaggio, che si occupa della sicurezza interna di Israele, nei confronti dei palestinesi (e non solo), ha messo in guardia il Governo delle possibilità concrete di una sollevazione popolare massiccia nella Striscia, se Hamas dovesse essere eliminato. La popolazione di Gaza, per quanto estenuata, consta di 2 milioni di persone, che in gran maggioranza appartengono e sostengono Hamas. Netanyahu è irremovibile: l’attacco deve continuare senza tregua fino all’occupazione totale di Gaza city e all’annientamento di Hamas.
Contro Netanyahu, e il suo obiettivo di continuare la guerra senza fine si susseguono manifestazioni a Tel Aviv e in altre città per la liberazione degli ostaggi e la fine della guerra. Netanyahu non ascolta e predispone un reclutamento massiccio di riservisti per rimpolpare il contingente dell’IDF che opera a Gaza. Il reclutamento dei servizi prevede circa 600 mila soldati israeliani, oltre decine di migliaia che saranno reclutati successivamente. Per i soldati in servizio sono previsti tre mesi ulteriori, una decisione vissuta come un’imposizione da chi ha accumulato già centinaia di giornate in uniforme.
La stanchezza di una guerra prorogata senza fine, senza un obiettivo certo, ha provocato una reazione di rifiuto e condanna di molti riservisti. A Tel Aviv centinaia di riservisti, richiamati in servizio, hanno annunciato che non intendono partecipare alla guerra: “Siamo 365 soldati che rifiutano di obbedire a ordini illegali: una decisione politica cinica e pericolosa voluta da un Governo messianico.”
I riservisti accusano il Governo di mettere in secondo piano la liberazione degli ostaggi rimasti vivi e la restituzione alle famiglie delle salme di quelli deceduti, per proseguire una guerra senza fine. Netanyahu, sostenuto da Trump, non si cura delle critiche interne e internazionali: “La guerra non si fermerà finché il nemico non sarà sconfitto”. Nel frattempo in Cisgiordania scatta una nuova ondata di arresti (03/09/2025). Arrestato anche il sindaco di Hebron, Tayseer Abu Sneineh.
Accelerazione della guerra a Gaza city. Per “sfollare” i palestinesi da Gaza city, si obbliga la popolazione ad andare verso Sud, da dove era stata evacuata verso Nord. Non di rado, i gazawi che si avviano verso Sud sono colpiti dall’IDF e/o cadono sotto le bombe o muoiono di fame. (Israele ha soppresso le poche pause per l’approvvigionamento alimentare), vittime soprattutto i bambini.
Difficile l’informazione di quanto sta avvenendo nella Striscia. Ai giornalisti è vietato da Israele l’ingresso a Gaza. Coloro che sono dentro o che riescono a entrare vengono presi di mira dall’IDF o finiscono sotto i bombardamenti. Sono oltre 750 i giornalisti ad essere stati uccisi dall’inizio della guerra, secondo le dichiarazioni delle agenzie umanitarie. Netanyahu si giustifica con la presenza di terroristi infiltrati di Hamas negli edifici abbattuti, ma le verifiche sconfessano le giustificazioni.
Netanyahu e i Ministri del Gabinetto di guerra accelerano l’occupazione di Gaza city. Migliaia di volantini cadono dal cielo insieme alle bombe sulla popolazione di Gaza per indurla a lasciare la città. Netanyahu promette ferro e fuoco a chi rimane.
I Gazawi sono spinti in direzione sud della Striscia, dove è stato approntato un lembo di territorio chiamato città umanitaria: sette metri quadri per ogni palestinese, un lembo di terra da dove i palestinesi non possono uscire (se non per emigrare all’estero), controllati dall’IDF e sottoposti al Governo di Israele.
Solidarietà dal “basso”: la Global Sumud Flotilla. Nell’inerzia e complicità dei paesi occidentali nei confronti di Netanyahu, che procede indisturbato con il massacro del popolo palestinese: affamare o gazawi, distruzione di Gaza, occupazione-annessione della Cisgiordania; si sviluppa in Occidente e non solo, una grande mobilitazione di cittadini, associazioni e agenzie umanitarie.
Tra le iniziative si impone una iniziativa internazionale di intervento via mare in soccorso ai palestinesi, la Global Sumud Flotilla. Si tratta di una iniziativa composta da oltre 50 imbarcazioni di piccolo e medio cabotaggio, cariche di aiuti umanitari, che partono dai porti delle diverse nazioni che si affacciano sul Mediterraneo. Grande è la solidarietà ai naviganti.
In Italia, al porto di Genova, centinaia di persone manifestano in solidarietà con il popolo della Global Sumud Flotilla al grido “Free Palestine”.
Un rappresentante del sindacato dei portuali è intervenuto prendendo la parola: “Se verrà attaccata la Flotilla il porto di Genova si fermerà, i containers diretti a Israele verranno bloccati e tutta Genova si fermerà”. Lo scenario si ripete a Venezia: “Se toccano la Flotilla bloccheremo il porto”.
Obiettivo della Flotilla, non è solo il portare aiuti umanitari e prodotti alimentari, ma testimoniare il diritto dei palestinesi a vivere in pace sulla propria terra col riconoscimento dello Stato di Palestina. La Global Flotilla è anche un monito alla società israeliana di intervenire sul proprio Governo.
La solidarietà al popolo palestinese è espressa dalla parola Sumud, un termine arabo che significa resistenza, una parola che esprime il coraggio e la forza di resistere dei palestinesi nella guerra perpetrata da Israele.
La Flotilla ospita oltre a centinaia di volontari, anche esponenti politici di varie nazioni, tra cui politici e parlamentari francesi, spagnoli, italiani, portoghesi, tunisini. A bordo c’è Greta Thunberg, una delle coordinatrici della Flotilla.
In Israele Netanyahu e il Gabinetto di guerra reagiscono minacciosi verso il popolo della Flotilla. Ben Gvir, Ministro della Difesa ha dichiarato: “Sono terroristi, verranno arrestati e portati in un carcere duro”.
La Flotilla, deve fare più di mille miglia per raggiungere le acque internazionali in prossimità di Gaza, per questo, nel percorso le imbarcazioni fanno scalo in diversi porti. L’imbarcazione ammiraglia con a bordo la Thunberg e un’altra imbarcazione, ancorate nel porto tunisino di Sidi Bou Said, nei pressi di Tunisi, sono state attaccate il 9 settembre 2025, un attacco che ha prodotto un incendio nelle imbarcazioni. I volontari della Flotilla non retrocedono, il Sumud sorregge e sprona i naviganti verso Gaza.
Israele “ferro e fuoco” a Gaza. a Gaza city decine di carri armati spianano la strada, l’IDF, rinforzata con l’immissione di riservisti, procede senza tregua, Dal cielo pioggia di bombe abbattono gli ultimi edifici: scuole, musei grattaceli che si sgretolano, da ultimo l’infamia di colpire quel che resta degli ospedali.
L’IDF utilizza robot, il cui urto comporta l’abbattimento di diverse unità abitative. Giorno dopo giorno, cadono più di 80 palestinesi, quanti sono i bambini tra loro?
Verso una Nakba senza fine. Spinti fuori Gaza city, i Gazawi si avviano per l’ennesima volta verso Sud. Si avviano con le loro poche masserizie, chi a piedi con i ragazzini al seguito e/o i bambini al collo, chi con i carretti sospinti dagli asini, chi con qualche auto o camion sovraccarichi, che ancora funzionano.
Sono già più di 700 mila (24/09/2025) i gazawi che si avviano verso sud; un sud da cui sono stati cacciati verso nord, poi ancora obbligati verso sud, senza vie di uscita. I valichi per la Giordania sono stati bloccati. A sud c’è il valico di Rafah per l’Egitto, ma il valico è bloccato in entrata e in uscita. Dalla parte di Israele, per impedire il transito dei convogli umanitari; dalla parte egiziana per impedire un flusso di immigrati, impossibile da gestire.
Così i gazawi vagano alla ricerca di un posto sicuro dove stare, un “dove” che non c’è. In Cisgiordania, l’Autorità palestinese è al collasso, mentre prosegue l’occupazione violenta di aree sempre più controllate dall’IDF (in vista dell’annessione), i palestinesi, in balia delle forze di occupazione, si ritrovano privi di servizi civili, di una rappresentanza istituzionale.
Chi può salvare la Palestina? All’ Assemblea Generale dell’ONU del 24 settembre 2025, i paesi europei hanno riconosciuto formalmente lo Stato di Palestina, un atto simbolico nella situazione attuale della Palestina. Un Riconoscimento, però, che lascia Israele sempre più isolata nel contesto politico internazionale.
In Israele continuano le manifestazioni della società israeliana. A Gerusalemme i manifestanti picchettano la casa di Netanyahu senza sosta, per chiedere la liberazione degli ostaggi e la fine della guerra; ma, attualmente, si registra un cambiamento nelle proteste contro Netanyahu. Non pochi manifestanti accusano Netanyahu di genocidio.
Qui sta la chiave di volta per salvare la Palestina.
Chi scrive avanza un’ipotesi plausibile. Nello scenario mediorientale, la fine del genocidio e la possibilità di una sopravvivenza della Palestina, sta nella presa di coscienza della società israeliana, una presa di coscienza dell’orrore di cui Israele è responsabile nei confronti dei palestinesi. Un orrore indelebile, che ricadrà come una condanna perenne sul popolo israeliano.
Una presa di coscienza di quella parte della società israeliana che si oppone all’ala sionista messianica dell’ultra destra israeliana e del Governo di Tel Aviv. Un’ipotesi, forse un’utopia, per la salvezza della Palestina, ma un’ipotesi realistica per la società israeliana per evitare “Il suicidio di Israele”, come ha scritto Anna Foa, una coraggiosa ebrea italiana.
Nel mar Mediterraneo, la Global Sumud Flotilla continua veleggiar con la barra in direzione di Gaza, sotto minaccia israeliana. Il Gabinetto di guerra attaccherà la flotilla se le imbarcazioni dovessero oltrepassare le acque internazionali ed entrare nel mare di Gaza. In Israele giovani attivisti israeliani si mobilitano a favore della Sumud Flotilla.
* La foto di apertura: A. Papisca, Università di Padova
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È alquanto discutibile che la «chiave di volta per salvare la Palestina» stia «nella presa di coscienza della società israeliana».
Come ricordava poco tempo faun altro articolo di Contropiano, le manifestazioni organizzate nell’entità sionista vertono quasi esclusivamente sulla questione degli ostaggi, e sui rischi che il proseguimento del genocidio implica per loro e per i militari sionisti. Delle decine di migliaia di palestinesi assassinati non si fa praticamente parola.
D’altronde, un recente sondaggio indicava che l’82% degli israeliani sono a favore del proseguimento della «guerra». Qualche centinaio di riservisti preoccupati dal richiamo, per quanto apprezzabili sul piano umano, non cambiano il quadro. E in ogni caso, anche i soldati nazisti avrebbero sicuramente preferito turni di «servizio» più brevi e licenze più lunghe, ma questo non faceva di loro dei nemici del nazismo.
L’unica presa di coscienza da parte israeliana che risolverebbe definitivamente il problema sarebbe la presa d’atto «che la Palestina è il paese che si estende dal fiume al mare, e che i palestinesi sono tutti coloro che vivono nella Palestina storica e coloro che ne sono espulsi. Sono loro che decideranno il futuro della loro patria» (Ilan Pappe).